Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-03-2011) 13-04-2011, n. 14964

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 29.4.2010 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, in data 28.10.2009, aveva condannato M. D., alle pene ritenute di giustizia per con concorso con un minore in rapine aggravate continuate e ricettazione di un ciclomotore.

La Corte Territoriale, considerato che le censure dell’appellante non contenevano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal primo giudice, richiamava integralmente la ricostruzione dei fatti e la motivazione poste a fondamento della decisione di condanna e ribadiva che alla stregua di un articolato quadro probatorio che riassumeva, non poteva che condividersi il giudizio di responsabilità.

Riteneva congruamente motivata la pena e corretta la sua quantificazione alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p., così come riteneva corretta in considerazione della gravità del fatto e dei precedenti penali, la mancata concessione delle attenuanti generiche.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è:

1. nulla per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione al reato contestato. Lamenta il ricorrente che la Corte Territoriale ha fornito una motivazione assolutamente riduttiva che non spiega le emergenze processuali utilizzate per ritenere infondati i motivi d’appello limitandosi a richiamare e a condividere il giudizio di responsabilità adottato dal primo giudice.

2. Nullità della sentenza per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla quantificazione della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

I motivi del ricorso sono manifestamente infondati.

Il ricorrente censura l’apparato motivazionale della sentenza della Corte d’Appello di Napoli lamentando un’assenza di motivazione in ordine alle specifiche censure mosse alla sentenza di primo grado.

Questa Corte, nel precisare i limiti di legittimità della motivazione per relationem della sentenza di appello, ha avuto modo di affermare che l’integrazione della motivazione tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice.

Più specificamente, l’ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. (Cass. N. 6221 del 2006 Rv.

233082, N. 38824 del 2008 Rv. 241062, N. 12148 del 2009 Rv.

242811;Cass. Sez. 6, 20-4-2005 n. 4221). Nel caso in esame, il giudice d’appello, seppure con una motivazione stringata ha risposto in modo specifico a tutte le doglianze avanzate dall’appellante, richiamando la completa motivazione del giudice di primo grado solo con riguardo alle questioni di fatto già adeguatamente esaminate dal GUP presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere.

Ha infatti dato contezza con argomentazione logica e coerente di tutti gli elementi posti a fondamento della decisione sia con riguardo alle rapine che alla ricettazione.

Deve aggiungersi che le censure in argomento pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dai giudici del merito.

Va aggiunto che dal controllo di legittimità restano escluse le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi probatorio e la scelta di quelli determinanti, poichè la verifica di legittimità è limitata alla sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito il controllo sul contenuto della decisione.

Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dal ricorrente nè su altre spiegazioni fornite dalla difesa, per quanto plausibili.

Quanto alla dedotta inosservanza dell’art. 133 c.p. e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche con correlativa illogicità o mancanza di motivazione nella determinazione della pena deve osservarsi che il giudice di secondo grado ha correttamente affermato che "la pena è stata congruamente determinata, con corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. anche sotto il profilo del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo ravvisabile a fronte dei precedenti penali del prevenuto e degli aspetti di gravità del fatto valutati dal primo giudice, alcun elemento rilevante ex art. 62 bis c.p.".

L’imputato non può dolersi della mancata motivazione in ordine alla fissazione della pena quando, come nel caso di specie, il giudice ha indicati in sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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