Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-03-2011) 13-04-2011, n. 14955 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

. Alonzi Fabio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di colpevolezza di E.A. in ordine ai reati: a) di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, nn. 1) e 2); b) di cui all’art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1), a lui ascritti per essersi impossessato, minacciando le persone offese con una pistola e legando le caviglie di una di loro, della somma di Euro 1.800,00 e di cinque telefoni cellulari, che sottraeva a F.K. e Z.O., nonchè per avere costretto le predette parti lese a compiere e subire atti sessuali, facendole denudare, facendo compiere alle stesse atti sessuali tra loro, nonchè palpeggiandole e baciandole nelle parti intime.

Secondo la ricostruzione fattuale della vicenda riportata nella sentenza l’azione criminosa sì è svolta nell’appartamento che le predette persone offese, di origine ungherese, avevano preso in affitto in (OMISSIS) e ove esercitavano la prostituzione. L’ E., che si era recato nell’appartamento come potenziale cliente, con la minaccia di una pistola aveva rapinato le ragazze del danaro e dei cellulari e costretto le stesse a compiere e subire gli atti sessuali di cui all’imputazione. A seguito della denuncia presentata dalle persone offese l’imputato veniva identificato attraverso i tabulati dai quali erano risultati i contatti telefonici che egli aveva avuto con le parti lese per prendere appuntamento. L’imputato inoltre, allorchè è stato fermato, è stato trovato in possesso di parte del danaro sottratto e dei telefoni cellulari.

In sintesi, l’ E. ammetteva sostanzialmente di avere commesso la rapina, dichiarando di aver commesso il fatto per ritorsione nei confronti delle ragazze dovuta a questioni attinenti al prezzo della prestazione, mentre negava gli atti di violenza sessuale.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva contestato l’attendibilità delle parti lese con riferimento a tale punto del narrato.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che la denuncia per vizi di motivazione e violazione di legge.
Motivi della decisione

Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente denuncia carenza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, nonchè violazione ed errata applicazione dell’art. 192 c.p.p.. Si deduce in primo luogo che erroneamente la sentenza ha affermato che le dichiarazioni delle persone offese avrebbero trovato riscontro nelle ammissioni dello stesso imputato, in quanto l’ E. ha sempre contestato di avere commesso gli atti di violenza sessuale che gli sono stati attribuiti.

Vengono riproposti, poi, i rilievi già dedotti nella sede di merito in ordine alle ragioni di inattendibilità delle persone offese, denunciando carenza e illogicità della motivazione della sentenza sul punto.

In proposito si allega come illogica la spiegazione data dai giudici di merito al fatto che le ragazze non denunciarono immediatamente le violenze sessuali e, cioè, che la mancata denuncia sarebbe dovuta alla assenza di un interprete in quella sede, facendosi rilevare che si era dedotto in contrario che le due ragazze si erano mostrate in grado di organizzare il viaggio per venire a Roma, prendere in affitto un appartamento in pieno centro storico e prendere contatto con i clienti senza l’ausilio di alcun interprete.

Nel prosieguo sì rileva che, secondo quanto riferito dalle denunzianti, l’imputato avrebbe fatto uso di guanti di lattice e legato una di loro con il nastro adesivo, materiali che non sono stati trovati dagli organi di polizia giudiziaria.

Anche sul punto si denuncia la illogicità della motivazione della sentenza per avere i giudici di merito ipotizzato che lo stesso imputato avesse portato via tale materiale, in quanto l’assunto contrasta con la dimostrazione del carattere sprovveduto dell’ E..

Si rileva ancora che non è stata acquisita prova degli atti sessuali subiti dalle parti lese, che sarebbero consistiti anche in morsi nelle parti intime, in quanto le ragazze non si erano sottoposte a visita medica.

Si rilevano infine discrasie nella indicazione della durata dell’azione posta in essere dall’imputato tra quanto indicato nella pronuncia di primo grado (circa cinquanta minuti) e quella di appello (circa un’ora, un’ora e mezza); che sul punto della durata della permanenza dell’imputato nell’appartamento le dichiarazioni delle parti lese hanno progressivamente dilatato il relativo periodo nelle successive narrazioni della vicenda.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Costituisce consolidato principio di diritto, reiteratamente affermato da questa Suprema Corte, che, anche a seguito delle modificazioni apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), rimane esclusa la possibilità che la verifica della correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, sicchè il vizio di motivazione è ravvisabile solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste ovvero su risultanze probatorie incontestabilmente diverse da quelle reali (cfr. sez. 4, 10.10.2007 n. 35683, Servirei, RV 237652; sez. 1, 15.6.2007 n. 24667, Musimeci, RV 237207; sez. 5, 25.9.2007 n. 39048, Casavolaed altri, RV 238215).

L’esame del materiale processuale previsto dalla norma non può mai comportare per la Corte di legittimità una nuova valutazione del risultato probatorio e delle sue ricadute in termini di ricostruzione del fatto e delle responsabilità, ma deve limitarsi a verificare che la sentenza impugnata non sia incorsa nel vizio di travisamento della prova.

Nè i vizi logici, che devono essere manifesti, possono essere ravvisati nel fatto che il ricorrente abbia ritenuto non soddisfacenti le argomentazioni con le quali la sentenza impugnata ha risposto ai rilievi formulati nei motivi di gravame.

Orbene, appare evidente dall’esame dei numerosi motivi di ricorso, con i quali sono stati denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata, che gli stessi si esauriscono in una richiesta di riesame e rivalutazione del materiale probatorio con riferimento alla attendibilità delle parti lese.

Riesame del materiale probatorio che, per quanto osservato, è inammissibile in sede di legittimità.

Peraltro, la sentenza ha sostanzialmente esaminato tutti i rilievi dell’appellante sui punti riproposti in sede di legittimità, confermando il giudizio di piena attendibilità di quanto dichiarato dalle persone offese.

In particolare, è evidente che il riferimento della sentenza impugnata alle ammissioni dell’imputato deve intendersi riferito a quanto accaduto nel suo complesso ed al reato di rapina.

La valutazione in ordine ai motivi per cui le persone offese non parlarono della violenza sessuale allorchè vi fu il primo intervento dei C.C. è esclusivamente di merito e non può formare oggetto di contestazione in sede di legittimità sulla base di argomentazioni riferite ad altre risultanze che non sono certamente dirimenti rispetto alle ragioni indicate in sentenza.

Ad analoga conclusione si deve pervenire con riferimento al mancato rinvenimento del nastro adesivo e dei guanti di lattice, che secondo le dichiarazioni delle parti lese, riportate nella sentenza di primo grado, vennero portati via dall’imputato; alla natura dei segni che avrebbero potuto costituire riscontro alla violenza sessuale ovvero alla esatta determinazione del periodo di tempo durante il quale l’imputato si trattenne nell’appartamento delle persone offese, essendo stati esaminati tutti tali punti dai giudici di merito, che hanno dato adeguata risposta, immune da vizi logici, ai rilievi dell’imputato.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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