Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-03-2011) 13-04-2011, n. 15086 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2 febbraio 2009, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città, con la quale erano stata dichiarata, in esito a giudizio abbreviato, la penale responsabilità di D.V.A. per più fatti delittuosi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e per il delitto di cui all’art. 12 quinquies; di S.L. per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 2 e 3, e per plurime violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; T.F. per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e per quello di cui all’art. 629, comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, terza ipotesi;

B.F. per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 2 e 3, e art. 73, art. 628 c.p., comma 3, n. 1, terza ipotesi; L.M. per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 2 e 3, e art. 73; R.I. per il delitto di cui all’art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; F.B. per il delitto cui all’art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, assolveva Antonio D.V. dall’imputazione ex art. 12 quinquies cit., perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, e L. M. dal reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per non aver commesso il fatto; escludeva, quanto a S.L., T.F. e B.F., l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 3, rideterminando la pena inflitta ai predetti; rideterminava la pena inflitta a R.I., ritenuta la continuazione tra il reato ascritto e quelli già giudicati con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 20 ottobre 2004, revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena concessogli con la sentenza suindicata; applicava ad D.V.A., S.L., B.F. e T.F. le pene accessorie; confermava per i suddetti imputati nel resto l’impugnata sentenza.

2. Avverso la suddetta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati con separati atti.

Nell’interesse di B., si deduce:

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 192 c.p.p., nonchè al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74 e art. 110 c.p.. Si denuncia l’illogicità e l’insufficienza della sentenza impugnata, quanto alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato associativo. Mancherebbero tutti gli elementi essenziali della partecipazione di un soggetto ad un sodalizio con le caratteristiche descritte dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. Si evidenzia a tal fine che, dalla lettura delle conversazioni poste a base della stessa, emergerebbero piuttosto interessi contrastanti con quelli propri dell’associazione della quale è accusato di far parte. Il B. risultava infatti debitore del D.V. (presunto capo dell’associazione) di una modesta somma di denaro, dovuta per un acquisto per esclusivo uso personale di droga, e solo per prendere tempo, si era prestato a collaborare con il T., incaricato dal D.V. del recupero del debito, per segnalare l’indirizzo di alcuni suoi amici tossicodipendenti, anch’essi debitori per pregressi acquisti.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla affermazione di responsabilità per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, che risulterebbe priva di dati dimostrativi.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 629 c.p., in quanto la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui si afferma la responsabilità dell’imputato in relazione al delitto di estorsione, risulterebbe del tutto insoddisfacente, posto che l’imputato si era limitato ad indicare l’abitazione degli altri tossicodipendenti debitori di piccole somme di denaro al D.V., mentre la violenza posta in essere nei confronti di uno di questi fu commessa, a distanza di giorni ed in un luogo diverso da soggetti diversi dal B. e con i quali egli non aveva alcuna comunione di interessi.

Nell’interesse di D.V. si denuncia:

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto al raggiungimento della prova della colpevolezza del D.V. per i reati lui ascritti.

Si deduce che l’imputato sarebbe stato ritenuto erroneamente responsabile dei reati relativi alle imputazioni ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capi da B1 a B9), in quanto la condanna del predetto si baserebbe unicamente su alcune intercettazioni telefoniche e ambientali, attraverso le quali sono stati captati discorsi privi di attendibilità relativi a presunti illeciti e di dubbia natura circa gli effettivi interlocutori, o quantomeno circa l’identificazione come uno di essi di D.V.A.. Non vi sarebbero validi e legittimi riscontri in grado di confermare la veridicità dei fatti narrati dagli interlocutori, in quanto non vengono individuate le persone cessionarie, non vengono indicati i quantitativi ceduti, nè contestualizzate le presunte condotte di cui si ignorerebbero le circostanze. Nè, ad avviso della difesa, alle conversazioni intercettate potrebbe attribuirsi il valore di una confessione giudiziale o stragiudiziale, atteso il dubbio sull’intento narrativo (che verosimilmente potrebbe essere millantatorio o semplicemente falso) di chi le ha rese.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 62 bis c.p., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al diniego delle attenuanti generiche, fondato sui precedenti penali dell’imputato.

Il giudice avrebbe dovuto tener conto della presenza di elementi positivi di giudizio, quale in particolare la spontanea ammissione dell’imputato circa la detenzione di stupefacente a fini di spaccio.

Nell’interesse di F. si deduce:

– la mancata assunzione di una prova decisiva, in relazione all’art. 441 c.p.p., comma 5, in quanto l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 risulterebbe fondata esclusivamente sull’interpretazione del contenuto di conversazioni telefoniche, tutt’altro che univoco, che imponeva la rinnovazione del dibattimento al fine di esaminare uno degli interlocutori così da chiarire la natura dei suoi rapporti con l’imputato e soprattutto per fornire una chiave di lettura "autentica" delle espressioni adoperate nel corso dei colloqui telefonici.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per la mancanza totale di motivazione in relazione alla dedotta violazione del principio del ne bis in idem nei motivi di appello.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per la illogicità della motivazione, in relazione alla prova della sussistenza degli elementi costitutivi del reato, fondata soltanto su alcuni passaggi estrapolati delle conversazioni intercettate, mentre la disamina dei verbali integrali delle intercettazioni telefoniche, sollecitata nei motivi di appello, avrebbe consentito di ritenere non fondata l’accusa mossa nei confronti dell’imputato.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in quanto, la telegrafica motivazione della sentenza di appello avrebbe ritenuto ostativa al riconoscimento esclusivamente la "disponibilità di sostanza stupefacente dimostrata nel colloquio con S. e l’entità del quantitativo di cui al sequestro", mentre la droga effettivamente riferibile all’imputato non costituirebbe un quantitativo rilevante ai fini della valutazione de qua.

Nell’interesse di L. si deduce:

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per erronea applicazione di legge penale, nonchè per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato e dai motivi di appello, in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

La Corte di appello avrebbe negato la concessione dell’attenuante speciale, in considerazione dell’ampia disponibilità di sostanza stupefacente, della quale avrebbe goduto l’imputato, consentendogli una irrefrenabile attività di cessione di cocaina. Tuttavia, la Corte di merito non avrebbe considerato che non è ostativa al suo riconoscimento una attività continuativa di spaccio quando si tratti di modeste quantità.

Per R. si denuncia:

– le violazioni previste dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 192 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per motivazione insufficiente e contraddittoria. Il convincimento espresso dai giudici circa la colpevolezza dell’imputato risulterebbe fondato unicamente sull’interpretazione, del tutto personale e soggettiva, del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, totalmente priva di idonei elementi di riscontro. Si evidenzia che, sulla scorta dei medesimi elementi probatori, il giudice del riesame aveva ritenuto il quadro indiziario insufficiente: rispetto a tale valutazione quella contenuta nell’impugnata sentenza non avrebbe indicato alcun elemento nuovo o diverso tale da dare sufficiente contezza del differente convincimento in ordine alla affermazione di responsabilità penale per il delitto di spaccio di sostanza stupefacente.

Per S. si denuncia:

– la nullità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione di legge e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla sussistenza del delitto associativo e della partecipazione dell’imputata al sodalizio criminale. La Corte partenopea avrebbe desunto il vincolo associativo automaticamente ed esclusivamente dal rapporto continuativo di compravendita della sostanza stupefacente, senza motivare sull’affectio societatis, sulla divisione dei ruoli, sulla struttura gerarchica, sulla disponibilità di mezzi e risorse economiche e sul numero degli associati. Gli elementi raccolti si presterebbero soltanto a dimostrare – al più – un’attività concorsuale di vendita e/o cessione di sostanza stupefacente.

Quanto alla partecipazione della S. all’associazione per delinquere, oltre alla condivisione dell’attività di vendita, non sarebbe emerso alcun altro elemento che possa dimostrare l’affectio societatis dell’imputata o, ancor meno, il contributo fornito dalla stessa all’associazione criminosa.

– la nullità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione di legge e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla prova del concorso nei singoli episodi di spaccio contestati.

– la nullità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione di legge e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla mancato riconoscimento dell’ipotesi associativa lieve, posto che le conversazioni utilizzate riguarderebbero la cessione di dosi di pochi grammi.

– la nullità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione di legge e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p..

– la nullità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione di legge e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla quantificazione della pena non contenuta nei minimi edittali, anche con riferimento all’aumento per il concorso dei reati, e al giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di merito avrebbe omesso di rispondere alla richiesta difensiva avanzata nei motivi di impugnazione.

Il T. denunzia infine:

– la violazione della legge penale, relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in quanto dalle intercettazioni sarebbe emerso soltanto il contatto con D.V.G., venditore di sostanze stupefacenti, che aveva incaricato l’imputato della riscossione di esigue somme di denaro.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, emergendo ictu oculi la assenza degli elementi costitutivi del reato associativo.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, avendo omesso la Corte partenopea di valutare l’ipotesi del fatto di lieve entità per il reato associativo, sollecitata dalla difesa nei motivi di appello, trattandosi di condotte di scarso allarme sociale, nonchè sporadiche e di irrisorio contenuto economico.

– la violazione prevista dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 629 c.p., non avendo trovato la vicenda estorsiva contestata all’imputato alcuno riscontro probatorio.
Motivi della decisione

1. Esaminando i ricorsi singolarmente, l’impugnazione presentata da B.F. deve essere accolta nei termini di seguito indicati.

Appare fondato il primo motivo di ricorso, nella parte in cui il ricorrente lamenta l’illogicità e l’insufficienza della sentenza impugnata, con riferimento alla ritenuta responsabilità per il reato associativo.

La Corte di merito non risulta infatti aver fatto buon governo dei consolidati principi affermati in sede di legittimità in tema di partecipazione all’associazione prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, secondo cui l’adesione dell’imputato al sodalizio criminoso può essere desunta anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, purchè siffatte condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale, e siano espressione non occasionale della adesione al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con l’immanente coscienza e volontà dell’autore di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo (ex plurimis, Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Cannizzo, Rv. 242397).

E’ stato anche stabilito da questa Suprema Corte che l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è configurabile anche nel vincolo che accomuna in modo durevole tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella catena del traffico di stupefacenti – come i fornitori di droga ed i venditori che la ricevono per immetterla nel consumo al minuto -, sempre che vi sia la consapevolezza da parte di ognuno di operare nell’ambito di un’unica associazione, contribuendo con i ripetuti apporti al fine comune di trarre profitto dal commercio della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 7957 del 05/12/2003, dep. 24/02/2004, Giacalone, Rv. 228483; Sez. 6, n. 20069 del 11/02/2008, dep. 20/05/2008, Oidih, Rv. 239643).

Venendo al caso in esame, la sentenza impugnata ha individuato il ruolo del B., all’interno del sodalizio criminoso, nell’"essersi messo a disposizione" di D.V.G. per lo svolgimento, anche in forma violenta, dell’attività di recupero-crediti e dell’attività di spaccio della sostanza stupefacente che costui gli forniva.

Orbene, quanto all’attività di recupero-crediti, la Corte di merito si limita ad affermare che il B. "collaborava" con il T. in tale attività, omettendo di motivare sul perchè il suo concorso sia manifestazione, nel senso sopra indicato, di partecipazione non occasionale all’attività del sodalizio criminoso.

Punto sul quale la motivazione doveva fornire risposta alle specifiche doglianze avanzate dall’imputato in sede di appello, con le quali aveva diffusamente evidenziato che, dal compendio probatorio, era soltanto emerso il casuale ricorso da parte del D.V. e del T. alla sua collaborazione: costoro, constatata la difficoltà di ottenere il pagamento dalla clientela di pregresse cessioni di stupefacenti, avevano pensato di rivolgersi al B. – loro debitore per la stessa causale e anch’egli destinatario delle loro minacce perchè onorasse i suoi impegni – al fine di poter rintracciare gli altri soggetti debitori.

Anche relativamente all’attività di spaccio, che, secondo la Corte di merito, costituiva ulteriore manifestazione della partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso, la sentenza impugnata non offre elementi dimostrativi di tale assunto, non riuscendo neppure a superare la pertinente obiezione difensiva avanzata in sede di appello (assertivamente liquidata dai giudici di appello come "assolutamente irrilevante"), secondo cui la sentenza di primo grado aveva evidenziato dai contatti telefonici soltanto la mera aspettativa del B. di entrare a far parte, stabilmente, nel numero dei clienti del D.V..

La sentenza di primo grado aveva spiegato che l’imputato ambiva a svolgere anche il ruolo di spacciatore per conto di quest’ultimo, dopo essersi accreditato nella fiducia degli associati nell’attività di esazione dei crediti, evidenziando a tal fine le confidenze fatte dall’imputato al D.V.G. sull’andamento della attività di spaccio che stava svolgendo (in particolare, il nuovo cliente trovato e le spese incontrate per procurarsi un bilancino di precisione) e la esplicita richiesta di farlo "lavorare con lui".

Per tali ragioni, a fronte di tale deficit argomentativo si impone limitatamente a tale capo di imputazione l’annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio per un nuovo giudizio sulla partecipazione del B. al reato associativo.

2. Inammissibile, perchè generico, è invece il secondo motivo di ricorso del B.. Il ricorrente lamenta il difetto di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, senza tuttavia dedurre concrete censure in ordine all’apparato argomentativo del provvedimento impugnato. La Corte di appello ha evidenziato gli elementi da cui ha tratto la prova dello svolgimento del B. di un’attività di spaccio (quali, in particolare il debito contratto con D.V. relativo ad un acquisto non modico di stupefacente e le confidenze fatte dall’imputato a costui sull’andamento della attività di spaccio che stava svolgendo).

Infondato è l’ultimo motivo, con cui si censura la motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato per il concorso nel delitto di estorsione. La Corte ha ripercorso tutta la vicenda relativa all’estorsione ai danni di G.A. (pagg. 20 e 21), nella quale la partecipazione del B. non si è risolta – come sostenuto dalla difesa – nella mera indicazione dell’abitazione degli altri debitori di somme di denaro al D.V., bensì nella diretta gestione dell’"affare (OMISSIS)" con il T. e sotto la direzione del D.V., che aveva chiesto ai due di rintracciare l’inadempiente G. e di costringerlo a pagare anche "picchiandolo". E’ lo stesso B. a concordare con D. V. la strategia estorsiva e riferire a costui degli esiti delle pressioni fisiche e delle minacce rivolte al G., eseguite materialmente e anche in sua presenza da altri emissari chiamati a dare loro man forte per ottenere il recupero.

3. Inammissibile è il ricorso di D.V.A., in ogni sua articolazione.

Il primo motivo è in gran parte generico, perchè replica doglianze già esposte con i motivi d’appello e debitamente disattese dalla Corte di merito: il carattere autonomo di ogni impugnazione postula che essa rechi in sè tutti i requisiti voluti dalla legge per provocare e consentire il controllo devoluto al giudice superiore, sia perchè in tal caso i motivi non assolvono la loro funzione tipica di critica, ma sì risolvono in una mera apparenza (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Candita, Rv. 244181).

Manifestamente infondata appare la doglianza mossa alla sentenza impugnata, con la quale il ricorrente lamenta che la prova della responsabilità dell’imputato per i singoli episodi di spaccio a lui ascritti sarebbe stata tratta esclusivamente da colloqui intercettati, che non costituiscono prova diretta dei fatti raccontati, in quanto privi di riscontri. La valutazione effettuata dalla Corte di appello risulta pienamente logica e convincente ed i suoi risultati sono idonei a sostenere la ritenuta responsabilità.

La Corte di merito ha invero spiegato che il quadro probatorio risultante dalle conversazioni intercettate riguardanti il D. V., dimostrativo di un intenso traffico di stupefacenti gestito da costui, che lungi da essere il frutto di mere vanterie o boutades dell’imputato (come obiettato dalla difesa), nel riferire di una grande disponibilità di stupefacente e delle cessioni di droga fatte a terzi (anche nominativamente indicati), era stato corroborato dalle conversazioni intercettate intercorrenti tra altri soggetti e dai sequestri di sostanze stupefacenti effettuati e dagli arresti in flagranza eseguiti.

Così, la grande disponibilità di cocaina destinata allo spaccio che l’imputato aveva rivelato al fratello G. (i fratelli discutono delle modalità di pagamento da parte delle clientela), risultava riscontrata dal sequestro di un grosso quantitativo di cocaina nei pressi dell’abitazione di D.V.A. (il quale aveva confidato al fratello il timore che la droga potesse essere trovata nel luogo, dove l’aveva celata, da qualche contadino nel corso dell’aratura del terreno).

Così, l’attività di spaccio gestita dall’imputato, oggetto di altra conversazione intercettata, nella quale costui aveva confidato al fratello G. di aver acquisito la clientela dell’altro fratello N., dopo il suo arresto, e di vendere in dosi di cinque e dieci grammi, così da guadagnare meglio, tanto da permettersi l’acquisto in contanti di un frigorifero da Euro 3000, risultava riscontrata nei giorni successivi dal rinvenimento in possesso di Q.F., in uscita dall’abitazione dell’imputato, di grammi 8,87 di cocaina. Anche altra persona, C.G., qualche mese più tardi, veniva bloccato dalla Polizia mentre usciva dall’abitazione dell’imputato in possesso di grammi 2,13 di cocaina.

Ulteriore riscontro dell’attività illecita svolta dall’imputato è tratta dai giudici dell’appello da altra conversazione nella quale costui riferisce a T.F. che, quando il fratello G. si era dovuto recare a (OMISSIS) per sottoporsi ad una cura disintossicante, aveva messo a disposizione del fratello alcuni soggetti ( F.M., M.D. e L. M.) perchè spacciassero sostanze che l’imputato vendeva agli stessi.

E ancora dalla conversazione tra P.E. e D.V. G. era emerso che il primo si era recato dall’imputato per l’acquisto di sostanze stupefacenti da smerciare a terzi, ricevendo risposta della sua disponibilità soltanto per quantitativi di almeno trenta grammi.

I floridi guadagni tratti dall’imputato con il traffico di stupefacenti sono riscontrati inoltre da altra conversazione intervenuta tra S.L. e D.V.G., nella quale la prima fa notare che dal fratello A. comprano anche la "munnezza" e gliela pagano profumatamente.

Quanto ai singoli episodi per i quali, ad avviso della difesa, le conversazioni intercettate non avrebbero trovato riscontri esterni (capi B4, B5 e B6), va qui richiamato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui "gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi e cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o anche più verosimile, perciò non equivoci; c) concordanti e cioè che non contrastano tra loro e più ancora con altri dati o elementi certi" (Sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003, dep. 21/05/2003, Qehalliu Luan, Rv. 224962).

Esaminata in quest’ottica, la sentenza impugnata resiste alle dedotte censure, in quanto le conversazioni riferiscono in modo preciso le concrete circostanze fattuali enunciate nell’imputazione.

Così, l’episodio della cessione di cocaina a F.M. (capo B4), è desunto dalla confidenza fatta dall’imputato al fratello G. di aver venduto un quantitativo di quindici grammi di cocaina a F.M. e di avergli negato una dilazione, ottenendo, la sera stessa della trattativa, il pagamento alla consegna.

Così, la cessione di cocaina a due clienti in dosi di cinque e dieci grammi (capo B5) è oggetto di una ammissione fatta dallo stesso imputato al fratello G. nel corso di una conversazione intercettata.

Così, infine, la cessione di cocaina ai clienti acquisiti dopo l’arresto del fratello N. (capo B6) è tratta dall’ammissione fatta ancora una volta dall’imputato al fratello G., nella quale rivela che sta facendo affari molto consistenti perchè costoro comprano tutti da lui.

Quanto alle obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici di merito delle dichiarazioni intercettate, va ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Gionta, Rv. 239724).

E’ possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, Donno, Rv. 237994). Tuttavia, la difesa non ha dedotto illogicità evidenti desumibili dal testo della sentenza impugnata, nè ha assolto il peculiare onere di rappresentare in modo adeguato l’eventuale vizio di travisamento della prova (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, Buzi, Rv. 241023).

4. Inammissibile è anche il secondo motivo del ricorso di D. V.. Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è infatti necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, dep. 23/09/2010, Giovane, Rv.

248244).

4. Inammissibile deve ritenersi il ricorso di F.B..

In relazione al primo motivo di ricorso, osserva il Collegio che, nell’ambito di procedimento celebrato con il giudizio abbreviato, la richiesta di assumere una prova, alla quale non è stata tuttavia condizionata la scelta del rito, non è idonea a far risorgere in capo all’istante, nè in primo grado nè tantomeno nel giudizio d’impugnazione, quel "diritto alla prova" al cui esercizio ha rinunciato formulando la richiesta di rito alternativo non condizionato. Sicchè il mancato accoglimento di tale sollecitazione non può costituire vizio censurabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), (Sez. 5, n. 5931 del 07/12/2005, dep. 16/02/2006, Capezzuto, Rv. 233845).

Generico è il secondo motivo, in quanto, per il principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente doveva documentare l’acquisizione da parte della Corte di merito della sentenza, con la quale la difesa intendeva far valere la presenza di un precedente giudicato. Dal testo del provvedimento impugnato emerge soltanto che la difesa del F. aveva chiesto di "esibire" copia di una sentenza (tra l’altro non ancora irrevocabile).

5. Inammissibili sono anche le restanti doglianze del F..

Quanto al terzo motivo, deve rilevarsi che la Corte di merito, sollecitata dalla difesa, ha ripercorso il contenuto delle intercettazioni dalle quali è stata tratta la prova dell’attività di spaccio ad opera dell’imputato, sottolineando i passaggi significativi ed i riscontri (segnatamente, il sequestro di grammi 8,13 di cocaina) al significato del linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori. A fronte di questa ricostruzione, priva di vizi logici, il ricorrente propone una lettura alternativa del significato delle conversazioni intercettate, inammissibile in questa sede.

Quanto infine al diniego della invocata circostanza attenuante del fatto di lieve entità, la Corte di appello, se pur con motivazione sintetica, ma sufficiente, ha ritenuto ostativa la circostanza della "disponibilità di sostanza stupefacente dimostrata nel colloquio con S. e l’entità del quantitativo di cui al sequestro", facendo buon governo dei principi consolidati in materia, secondo cui "la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n, 35737 del 24/06/2010, dep. 05/10/2010, Rico, Rv. 247911).

6. Identiche conclusioni vanno avanzate anche per il ricorso di L.M..

Il diniego della circostanza attenuante speciale è stato correttamente argomentato dalla Corte di appello sull’assorbente rilievo, in punto di pericolosità della condotta, attribuito alla "ben ampia disponibilità di sostanza stupefacente, della quale godeva il L., e che gli consentiva un’irrefrenabile attività di cessione di cocaina, tale da permettere al L. quella tranquillità economica negli adempimenti, tanto ammirata da D. V.G. e che sarà causa del suo arresto". 7. Fondato è invece il ricorso di R.I..

La Corte di merito ha tratto la prova dell’attività di spaccio ad opera dell’imputato dalla sola circostanza che costui era ricercato dal D.V. e dal T. per un "debito" di Euro 900.

Peraltro, nessun elemento dimostrativo è offerto dalla sentenza impugnata per collegare tale debito ad un pregresso acquisto di droga e tantomeno ad una attività di spaccio.

La grave carenza della motivazione comporta l’annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio per un nuovo giudizio.

8. Inammissibile, per manifesta infondatezza, è il ricorso di S.L..

Quanto al primo motivo, va ribadito il principio che la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, ovvero dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, dep. 19/10/2009, Il Grande, Rv. 245282).

Sul punto, la Corte ha evidenziato l’esistenza di un sodalizio criminoso dedito allo smercio di sostanza stupefacente ad una fitta rete di spacciatori, capeggiato da D.V.G., e al quale avevano partecipato attivamente la sua convivente S. ed il T.F.. Dal complesso della motivazione, emerge il "concorde, febbrile" traffico di stupefacenti effettuato dal D. V. e dalla sua convivente, la cui immissione nel mercato veniva affidata ad una rete di spacciatori.

Elementi sintomatici dell’esistenza del sodalizio criminoso sono tratti dalla Corte di appello dalle numerose intercettazioni, dalle quali sono emerse non solo le continue vendite di stupefacenti e l’ampia disponibilità di stupefacente da parte dei due conviventi, ma anche la pianificazione da parte di costoro delle forme organizzative dei traffici illeciti e le loro specifiche modalità esecutive. Così, la scelta dei luoghi dove imporre il loro monopolio, le modalità di taglio per aumentare i guadagni e consentire il futuro sviluppo dell’attività, l’organizzazione dello smercio e la conquista della fiducia del mercato.

In tale sodalizio, oltre al D.V.G., mandante delle numerose cessioni e codetentore dei quantitativi forniti ai clienti abituali o ad altri partecipi, e alla S., quale codetentrice e talvolta come mandataria di tali cessioni, figura anche F.T. che sì interessa dello specifico compito di "stabilizzazione" del sodalizio del "recupero dei crediti", percependo una retribuzione da parte del G.. Il recupero dei crediti costituiva infatti una delle preoccupazione del gruppo che era solito vendere la droga "a cavallo di ritorno", riuscendo con difficoltà a rientrare delle somme pattuite.

9. Manifestamente infondato è il secondo motivo relativo alla partecipazione della S. al sodalizio criminoso.

Devono essere richiamati i principi espressi da questa Corte Suprema in tema di partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso, esposti nei paragrafi precedenti.

La Corte di merito ha fatto buon governo di tali principi, evidenziando diffusamente non solo i numerosi episodi di cessione nei quale da S. è direttamente coinvolta, ma anche il ruolo gestionale assunto dalla stessa nel pianificare le modalità operative del gruppo. Così, le continue istigazioni della donna a che la droga che i due immettevano nel mercato fosse tagliata ulteriormente, così da aumentare gli introiti da destinare agli acquisti di altra sostanza; la diretta gestione nelle attività delittuose, attraverso il controllo che la droga fosse destinata al commercio anzichè alla consumo personale del proprio convivente, le modalità di confezionamento delle partite da cedere, i sistemi di nascondimento, le modalità di pagamento ed il prezzo delle vendite, le strategie di controllo del mercato locale e di vendita dello stupefacente.

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo relativo alla prova del concorso nei singoli episodi di spaccio contestati. La Corte partenopea ha diffusamente motivato sugli elementi probatori posti a fondamento della ritenuta responsabilità della S. in ordine al reato di cui al capo C), in concorso con il convivente D. V.G..

In particolare, dalle intercettazioni era emerso: la preparazione, il confezionamento e il nascondimento da parte dei due conviventi della "roba" da distribuire a varie persone (in particolare, celata dietro il frigorifero), della quale l’imputata era nel materiale possesso;

le pregresse vendite di dosi effettuate dai due (a Q. F.; a G.M.; a P.G.; P. E.); le concordate vendite di droga da effettuare (a Q. F., a F.M., a P.M., a D.V.R.; a P.G.; a B. F.; a D.S.A.; a G.M.; a F. G.; a G.M.; L.M.; a D.R. E.); le dirette vendite effettate dalla donna (a G. M.).

Ulteriore conferma dei traffici effettuati dai due è data dal sequestro di oltre 23 grammi di cocaina, celata proprio dietro il frigorifero.

10. Manifestamente infondati sono anche i motivi relativi al mancato riconoscimento dell’ipotesi associativa lieve e dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p..

La Corte ha ritenuto ostativi alla concessione dell’attenuante, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, i rilevanti traffici di sostanza stupefacente, per nulla sussumibili nel paradigma di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Il giudizio espresso, privo di vizi logici-giuridici, non è sindacabile in questa sede di legittimità trattandosi di valutazione in fatto.

Quanto al difetto di motivazione in ordine alla richiesta difensiva di concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., deve rilevarsi che la Corte partenopea ha fornito puntuale e corretta risposta, ritenendola incompatibile con i reati plurisoggettivi (Sez. 5, n. 38847 del 30/10/2002, dep. 20/11/2002, Hannan, Rv. 222825).

Quanto ai reati-scopo, va ribadito che non sussiste il dovere di una motivazione esplicita, quando – come nella specie – la esclusione dell’attenuante prevista dall’art. 114 c.p. nei confronti del correo che l’abbia invocata possa desumersi implicitamente dal giudizio relativo alla pari efficienza delle cause concorrenti (Sez. 6, n. 22456 del 03/03/2008, dep. 05/06/2008, Zito, Rv. 240364). La Corte di merito ha infatti valutato come "ben considerevole" il ruolo rivestito dalla S. nel traffico di stupefacenti.

11. Manifestamente infondata è anche la doglianza della S. avente ad oggetto la dosimetria della pena. La ricorrente lamenta il difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche in misura prevalente alle aggravanti contestate.

Peraltro, nessuna aggravante è stata ritenuta in grado di appello (la Corte ha invero eliminato l’unica aggravante contestata, segnatamente quella di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 3) e quindi la censura è del tutto destituita di fondamento.

Per il resto, i motivi enunciati (mancata riduzione della pena nei minimi edittali anche in relazione all’aumento dovuto per il concorso tra reati) non sono sviluppati nel corpo del ricorso e sono quindi da ritenersi inammissibili perchè generici.

12. Venendo al ricorso di T.F., i motivi di ricorso sono da ritenersi inammissibili.

Manifestamente infondato è il primo motivo, con cui lamenta la violazione di legge, relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in quanto dalle intercettazioni sarebbe emerso soltanto il contatto con D.V.G..

La circostanza che risultino rapporti solo con uno degli appartenenti all’associazione non esclude certo la prova dell’adesione dell’imputato al sodalizio criminoso. Ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto infatti un "patto espresso" fra gli associati. Quel che conta, come già esposto in precedenza, è che possa desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale.

Nel caso in esame, la Corte di appello ha evidenziato che il T. si era messo "al servizio" di D.V.G., svolgendo con continuità precise attività funzionali alla vita dell’associazione criminale: dalla tenuta della contabilità e dal recupero crediti, ricorrendo anche all’impiego della forza nelle riscossioni, alla custodia degli stupefacenti. Si è già detto, esaminando la posizione di S.L., che il recupero dei crediti costituiva una delle preoccupazioni del gruppo criminale, viste le modalità con cui era solito vendere la droga ("a cavallo di ritorno"), che, se consentivano di allargare la clientela, necessitavano poi di una più laboriosa attività degli associati per rientrare delle somme pattuite.

Inammissibili sono il secondo ed il quarto motivo di ricorso, perchè del tutto generici. Invero, il ricorrente non prospetta precisamente le ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica (Sez, 3 n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Cecco, Rv. 246980), lamentandosi soltanto in via meramente assertiva che sono insufficienti gli elementi di colpevolezza. Posto che una motivazione sull’affermazione di responsabilità del T. per i reati a lui ascritti sussiste e appare priva di vizi logico-giuridici, la genericità dei motivi impedisce l’esercizio del controllo di legittimità sulla stessa.

Quanto al terzo motivo, relativo al diniego dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, la correttezza della vantazione della Corte di merito è già stata affermata in precedenza, esaminando l’analogo ricorso di S.L., al quale si rinvia.

13. Le considerazioni sin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio nei confronti di R.I. e, limitatamente all’imputazione di associazione finalizzata allo spaccio, nei confronti di B.F.. Deve essere invece rigettato nel resto il ricorso di B..

Devono essere dichiarati inammissibili i restanti ricorsi, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, (mille), in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.I. e, limitatamente all’imputazione di associazione finalizzata allo spaccio, nei confronti di B.F. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso del B.. Dichiara inammissibili gli altri ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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