Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-03-2011) 13-04-2011, n. 15134 Affidamento in prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 18 giugno 2010 il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava la domanda di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da V.M., detenuto in espiazione della pena di quattro anni e due mesi di reclusione, inflitta con sentenza della Corte d’appello di Messina dell’11 febbraio 2008, per i delitti di violenza sessuale su minore e minaccia. Il Tribunale giustificava la propria decisione con la scarsa capacità autocritica di V. che, sostenuto dalla famiglia, continuava a proclamarsi estraneo ai reati, tanto da indurre l’equipe del trattamento a formulare un programma inframurario privo della previsione di qualsiasi misura premiale, nonchè con l’omesso risarcimento del danno nei confronti delle parti offese.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione personalmente V., il quale lamenta violazione di legge, mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, avendo il Tribunale di sorveglianza omesso qualsiasi apprezzamento critico dei verbali di indagine difensiva ritualmente depositati in udienza, contenenti la ritrattazione delle accuse in precedenza mosse, sì da giustificare la proposizione della richiesta di revisione. Pertanto, la proclamata estraneità di V. ai delitti per i quali era intervenuta sentenza di condanna non poteva essere riduttivamente intesa come una scarsa capacità di autocritica, atteso che l’attività propedeutica alla promozione del giudizio di revisione è, all’evidenza, incompatibile sia con l’ammissione di colpa che con il risarcimento delle parti offese.

Infine, era mancato un adeguato approfondimento della relazione di sintesi, evidenziante la regolarità della condotta serbata e l’assenza di rilievi disciplinari.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

1. In attuazione della direttiva n. 3 della L. n. 81 del 1987, art. 2 l’ art. 121 c.p.p. accorda a parti e difensori il diritto di presentare al giudice in ogni stato e grado del procedimento memorie e richieste scritte (cd. ius postulanti). Il comma 1 della disposizione in esame trova il proprio, pressochè identico precedente nel l’art. 145 c.p.p. del codice di rito del 1930, mentre il secondo comma – di portata più ampia rispetto al previgente art. 305 dell’abrogato codice di procedura penale – è del tutto innovativo. La disposizione in esame è coerente con il principio della parità tra accusa e difesa, che permea il nuovo impianto processuale ed era assolutamente sconosciuta al codice previgente. Il legislatore del 1988 ha inteso accordare il diritto di presentare memorie e richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento. Come si desume dalla relazione al testo definitivo del codice, l’originario riferimento al processo è stato rimosso, al fine di consentire l’applicazione generalizzata della norma in qualsiasi fase procedimentale.

L’esercizio del diritto di presentare memorie scritte, lungi dall’essere incompatibile con un processo ispirato al principio di oralità, si risolve in un’attività diretta a integrare o a puntualizzare elementi conoscitivi già emersi ed acquisiti e costituisce un’espressione della struttura dialettica del processo, costantemente permeato dalla regola del contraddittorio. La memoria ha, infatti, un contenuto argomentativo, volto a dimostrare e supportare le ragioni della parte circa questioni di fatto e/o di diritto oppure su aspetti tecnici.

La peculiarità dell’art. 121 c.p.p., comma 2, consiste, quindi, nello stabilire come immediata l’insorgenza del dovere di provvedere da parte del giudice e nel definire l’ampiezza dello spatium deliberandi concesso prima di far scattare il meccanismo che tramuti tale dovere in obbligo di pronunciarsi su domande determinate delle parti (Sez. 1^, 14 ottobre 2005, n. 45104; Sez. 1^, 7 luglio 2009, n. 31245). L’ampiezza e la portata della facoltà di presentare memorie è inversamente proporzionata agli spazi dialettici riservati alla difesa. Essa, pertanto, assume una maggiore pregnanza nelle situazioni processuali, quali le procedure de liberiate, in cui gli spazi concessi alla difesa sono più contratti. Il giudice al quale viene presentata una memoria deve, perciò, prendere in considerazione il contenuto della stessa e assumerlo a tema dell’indagine, facendolo (direttamente o indirettamente) oggetto della formulazione del proprio giudizio. Una conclusione del genere deriva dal principio generale secondo cui le esigenze di giustizia impongono il vaglio di tutte le ragioni delle parti e di tutti i fatti e le circostanze addotti e riferiti dall’interessato.

La mancata valutazione da parte del giudice delle memorie presentate dalle parti o dai difensori si traduce in una carenza della motivazione della decisione, posto che la stessa può risultare indirettamente viziata per la mancata illustrazione di quanto illustrato nella memoria. In siffatta ipotesi si verifica la nullità prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto l’omesso e ingiustificato esame delle deduzioni difensive impedisce all’interessato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto- reato e si risolve nella violazione del diritto, riconosciuto dalla legge, di difendersi provando.

Negare tali conseguenze, invero, significherebbe ridurre le parti alla situazione di comparse eventuali, disconoscendone la funzione di protagoniste della dialettica processuale (Sez. 1^, 4 aprile 1990, n. 8573; Sez. 6^, 28 maggio 1995, Lajne in Giust. pen. 1996, 3^, 218, 97; Sez. 5^, 15 aprile 1996, Lemmi in Dir. pen. e proc. 1996, 1480;

Sez. 1^, 6 maggio 2005, n. 23789; Sez. 1^, 7 luglio 2009, n. 31245).

2. Il provvedimento impugnato non ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto nello sviluppo dell’iter argomentativo ha omesso qualsiasi valutazione della documentazione difensiva prodotta in udienza, direttamente incidente sull’apprezzamento del processo rieducativo e sulle ragioni sottese al mancato risarcimento del danno alle parti offese.

S’impongono, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di sorveglianza di Roma.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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