Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-03-2011) 13-04-2011, n. 15126 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 16 giugno 2010 il Tribunale di sorveglianza di Potenza rigettava il reclamo proposto da C.U., condannato in espiazione della pena dell’ergastolo inflitta per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio aggravato, violazione alla disciplina in materia di armi, ricettazione, aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7, avverso il decreto con il quale il Magistrato di sorveglianza di Melfi aveva respinto l’istanza di permesso premio.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C., il quale lamenta violazione di legge, mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione al diniego del permesso premio, tenuto conto del fatto che i giudici di merito avevano escluso l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, con conseguente inoperatività di qualsiasi preclusione ad usufruire del beneficio invocato.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. L’art. 4 bis, comma 1, sancisce il divieto di concessione di taluni benefici previsti dall’ordinamento penitenziario ai condannati per determinati delitti. Il divieto cessa nella sola ipotesi in cui il condannato collabori con la giustizia a norma dell’art. 58 ter (art. 4 bis, comma 1 bis), ovvero sia dimostrata la mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva e la collaborazione risulti impossibile, per la limitata partecipazione al fatto o per l’avvenuto integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, o non utile, sempre che, in questo caso, sia stata applicata l’attenuante del risarcimento del danno o quella della minima partecipazione al fatto o sia stato ravvisato il concorso anomalo ex art. 116 c.p. (Corte Cost. seni n. 273 del 2001).

Di conseguenza il beneficio del permesso premio non è concedibile al soggetto condannato per uno dei delitti ricompresi nell’elencazione di cui all’art. 4 bis, comma 1, il quale non abbia collaborato con la giustizia e non abbia integralmente espiato la pena inflitta per il reato ostativo.

I risultati dell’operazione interpretativa della normativa sui permessi rivelano, dunque, la correttezza delle conclusioni accolte nell’ordinanza impugnata, con la quale il Tribunale di sorveglianza ha giustamente negato il permesso premio in una situazione in cui il detenuto è stato condannato, tra l’altro, per il delitto di omicidio volontario aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. 2. Le doglianze formulate dalla difesa in merito alla esclusione, da parte dei giudici di merito, della suddetta aggravante sono prive di pregio.

Occorre, al riguardo, premettere che il provvedimento impugnato, con puntuale richiamo ad alcuni passaggi motivazionali della sentenze d’appello pronunziata nei confronti di C., ha correttamente sottolineato che l’omicidio per il quale è stata affermata la sua penale responsabilità è da inquadrare in un contesto di criminalità organizzata volto a riaffermare l’autorità del clan Genovese nella zona in cui avvenne il grave fatto di sangue.

Ricorrono, pertanto, i presupposti dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, che, come sottolineato nella nota del Presidente della Corte d’assise d’appello di Potenza del 4 febbraio 2010, richiamata nell’ordinanza impugnata, è stata ritenuta in fatto, pur se non ha in concreto esplicato i suoi effetti sul trattamento sanzionatorio.

L’aggravante prevista dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, può essere validamente contestata anche con riferimento ad un delitto astrattamente punibile con l’ergastolo, fermo restando che essa può in concreto operare solo se, di fatto, venga inflitta una pena detentiva diversa dall’ergastolo.

L’interpretazione prospettata dalla difesa, volta a far coincidere la regola d’irrigidimento sanzionatorio della L. n. 203 del 1991 con il solo effetto dell’aumento di pena istituito dall’art. 7 confligge con l’intento perseguito dal legislatore, volto a privilegiare una strategia trasversale e complessiva di contrasto al fenomeno delle criminalità organizzata, assai più ampia e articolata (cfr. relazione al D.D.L. 5367/C sulla conversione in legge del D.L. n. 5, primo della serie conclusasi con il D.L. n. 152, poi convertito nella L. n. 203 del 1991) e destinata a dispiegare una serie più cospicua di effetti giuridici, ben oltre il momento applicativo della pena nel giudizio di cognizione, mediante l’instaurazione di un regime processuale differenziato (art. 51, comma 3 bis, art. 328, comma 1 bis, art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), n. 3, art. 406 c.p.p., comma 5 bis, D.L. n. 306 del 1992, art. 21 bis; art. 275, comma 3; art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a, n. 3 e lett. b, n. 3 bis; art. 304 c.p.p., comma 2; D.L. n. 152 del 1991, art. 13 e art. 295, comma 3 bis; art. 190 bis c.p.p., comma 1; art. 146 bis c.p.p., e art. 147 bis disp. att. c.p.p.; D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies), di meccanismi di esecuzione della pena in termini di più severa effettività ( art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), di un trattamento penitenziario differenziato (art. 4 bis, comma 1 e art. 1 bis, L. n. 354 del 1975, art. 21, comma 1, art. 30 ter, comma 4, art. 41 bis, art. 47 ter, art. 50, comma 2, art. 58 ter, art. 58 quater; art. 37, comma 8, e D.P.R. n. 230 del 2000, art. 39, comma 2), di esclusione dai benefici della sospensione condizionata dell’esecuzione – cd. "indultino" ( L. n. 207 del 2003, art. 1, comma 3, lett. a) – e dell’indulto ( L. n. 241 del 2006 art. 1, comma 2, lett. d).

Di conseguenza la L. n. 203 del 1991, art. 7, comma 1, nel prevedere che la pena sia aumentata da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo, non esclude affatto, con riguardo ai reati puniti con la pena perpetua (come nel caso di specie), l’operatività della speciale aggravante a fini diversi dalla determinazione della pena, quale espressione di un maggior disvalore sociale del fatto (Sez. Un. 18 dicembre 2008, n. 337).

3. In assenza del presupposto della collaborazione con la giustizia, l’ordinanza impugnata ha, pertanto, correttamente ritenuto che il reato di omicidio, aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, per il quale è intervenuta sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di C., fosse ostativo alla concessione del permesso premio.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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