Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-03-2011) 13-04-2011, n. 15065 Bancarotta fraudolenta Reati fallimentari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Perugia, in data 17.11.2009, ha parzialmente riformato, la Sentenza del Tribunale di Terni del 30.5.2000 che condannava G.M. e C.F., qualificando una delle ipotesi incriminatrici ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 3 (223), anzichè la bancarotta impropria fraudolenta, patrimoniale e documentale, conseguente al fallimento di Srl. IMMOBILINVEST, dichiarata fallita il (OMISSIS).

In sintesi, il C. (amministratore dal (OMISSIS) all'(OMISSIS)) ed il G. (qualificato anche amministratore di fatto) sono stati ritenuti amministratori della fallita società, agenti fra loro in concorso nella commissione del reato, avendo commesso diverse ipotesi dell’illecito fallimentare ed, in particolare, per la distrazione:

– del ricavo (L. 779.000.000) della vendita di immobili;

– della somma di L. 1.770.000.000 pari all’importo di cambiali a suo tempo rilasciate dai soci a favore della società, a garanzia delle esposizioni societarie;

per il pagamento preferenziale della somma di lire 1.650.000.000 che furono assegnate ai soci, quale restituzione di pregresse anticipazioni a favore della società, in epoca di sicuro dissesto di quest’ultima;

colpevoli, infine, della tenuta delle scritture contabili in guisa infedele e, comunque, così lacunosa da rendersi insuscettibile di ricostruzione del movimento degli affari.

L’impugnazione della difesa degli imputati si duole:

a) ricorso G., che è accusato di due distinte condotte (ascritte anche a C.): gli effetti per L. 1.770.000.000 che erano in portafoglio alla società e che furono consegnati a Banca di Roma a copertura di debiti estranei all’oggetto sociale (capo 1) e la restituzione delle somme anticipate dai soci alla società (capo o, condotta riqualificata come preferenziale):

– erronea applicazione della legge penale in relazione al titolo di corresponsabilità dell’imputato, erroneamente qualificato amministratore di fatto, essendovi presente un amministratore di diritto (il C.) e dovendosi dar conto di quella qualifica in occasione delle condotte censurate e non già in linea generale; nel caso di specie non sono sufficienti indici la titolarità di quota di partecipazione, totalitaria (considerando quella intestata G.M.), nè i rapporti intercorsi tra la società con altro enti facenti capo al predetto, nè il supposto interesse non essendo stato provato che gli effetti concessi a reciproca garanzia tra dette società ed il comune creditore Banca di Roma giovassero alla sua posizione personale (dovendosi rettificare l’opinione della natura distrattiva della restituzione degli effetti cambiai che intendevano sovvenire ad obbligazioni sociali e, dunque, inerenti all’oggetto sociale e non ad istanze personali dei soci, ipotesi affacciata in linea meramente ipotetica dal CT del PM., nel contesto di generale infedeltà della tenuta della contabilità);

– erronea applicazione della legge penale in relazione all’accusa di bancarotta preferenziale poichè è ignota la causale dei versamenti delle somme da parte dei soci; inoltre la nuova disciplina del finanziamento soci, portata dall’art. 2467 c.c., non può applicarsi retroattivamente e, cioè, ad epoca antecedente al 1995, quando occorsero i finanziamenti in esame e, comunque, riguarda restituzioni occorse nel corso dell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento;

– erronea applicazione della legge penale in relazione poichè, nonostante la nuova qualificazione in un fatto meno grave, la pena è rimasta immutata, in ragione dell’aggravate della pluralità dei fatti di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, n. 2, risultando problematico anche che possa addebitarsi al concorrente nel reato questa specifica circostanza di reato. b) ricorso C. (a cui è ascritta anche la distrazione del provento della vendita di immobili a TRANDE, capo i):

– erronea applicazione della legge penale in relazione all’addebito di fraudolenza documentale poichè le considerazioni del CT. contabile – in presenza del corredo dei libri obbligatori – debbono essere trasfuse dalla valutazione giudiziale: così non è occorso a proposito del giudizio di abnormità per i valori in negativo della cassa, circostanza che, invece, risulta logica tenendo conto della situazione deficitaria della società; altrettanto per la segnalazione della carenza di indicazioni analitiche delle voci, essendosi limitati alle indicazioni sintetiche del bilancio, che è in dispensabile nella sua cadenza annuale e che fornisce, se trascritto sul libro inventali un quadro adeguato, incompatibile con la fattispecie di fraudolenza documentale; cosi pure per l’allegazione a sostegno dell’accusa dalla mancata tenuta, per alcune operazioni, delle schede di mastro, che sono scritture ausiliarie, trascurando, ancora, che nel ruolo di amministratore il C. successe ad S.E. e non vi è motivazione sulla pertinenza della condotta contabile al periodo proprio dell’attuale ricorrente; la possibilità di imputare le condotte di fraudolenza patrimoniale sottolineano l’adeguatezza del corredo documentale della società;

– carenza ed illogicità della motivazione per l’affermazione di responsabilità nella distrazione del provento della vendita di immobili a TRANDE, mancando la prova del pagamento per intero del prezzo, essendosi fatto derivare il pagamento dalla clausola dell’assolvimento del debito a stato avanzamento lavori, procedimento meramente presuntivo non essendo mai stata verificato dalla Corte territoriale il completamento dei lavori, considerando anche le incongruenze con le risultanze annotative dei versamenti effettuati (in assenza dell’acquisizione degli atti del contenzioso avviato dal TRANDE verso la società); ancora: il giudice si è fermato alla mancata contabilizzazione delle somme (erroneamente considerata un espediente per coprire la condotta illecita), per dedurne la distrazione; il tutto in un contesto in cui la contabilità societaria denunciava, al momento del fallimento, valori attivi superiori a quelli passivi;

– inosservanza della legge processuale (art. 195 c.p.p.) per avere utilizzato la dichiarazione del CT. che non è stato in grado di riferire la fonte di conoscenza della notizia, quanto al pagamento dei ratei di acquisto degli immobili di cui al capo i);

– carenza ed illogicità della motivazione per l’affermazione di responsabilità nella distrazione degli effetti cambiali poichè essi erano il frutto di garanzie incrociate fornite da diverse società del gruppo a favore di Banca di Roma, non già di posizioni personali, si tratta, quindi, di obbligazioni assunte nell’interesse delle società e, come tali, prive di portato lesivo per gli interessi dei creditori, essendo inerenti all’oggetto sociale; nel caso in esame, inoltre, manca la prova che la società abbia utilizzato gli effetti per fronteggiare impegni personali dei soci, conclusione acquisita in via meramente probabilistica a fonte della ritenuta inattendibilità della contabilità del conto effetti in portafoglio;

– erronea applicazione della legge penale e carenza ed illogicità della motivazione per l’addebito relativo alla restituzione dei prestiti alla società sia perchè il dato è ritratto dalla annotazione di cassa, documento ritenuto inattendibile, sia perchè resta ignota la causale del versamento, accertamento necessario poichè è indispensabile conoscere se il versamento derivò da un finanziamento soci o in versamento in conto capitale, anche alla luce del nuovo art. 2467 c.c., che ascrive a natura illecita soltanto i rimborsi effettuati nell’anno in cui è dichiarato il fallimento;

– erronea applicazione della legge penale in relazione poichè, nonostante la nuova qualificazione in un fatto meno grave, la pena è rimasta immutata, in ragione dell’aggravate della pluralità dei fatti di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, n. 2, risultando problematico anche che possa addebitarsi al concorrente nel reato questa specifica circostanza di reato.
Motivi della decisione

Parecchi dei motivi del ricorso risultano esclusivamente aderenti al merito e, come tali, si presentano inammissibili.

Tali sono, per esempio, quelli che censurano le motivazioni del consulente tecnico contabile acquisite come logiche e concludenti dai giudici di seconde cure. Al giudice di merito non è opponibile la critica di illogicità argomentativa quando, attraverso gli elementi peritali contabili acquisiti, formuli giudizio attenendosi ad un’interpretazione esauriente e motivata, immune dal travisamento del dato.

In tal senso, tra l’altro, si riscontra l’inammissibilità dei mezzi che censurano la valutazione di abnormità dei dati del c/cassa in negativo, conclusione – del resto – perfettamente aderente alla scienza ragionieristica non potendosi affermare l’esistenza di una risultanza nummaria (e, dunque, di un dato fenomenicamente riscontrabile) con giudizio di negatività (diverso essendo la valutazione delle risultanze dell’andamento finanziario della società, che può portare in negativo le relazioni del dare/avere con terzi). Al più potrà affermarsi che si tratta di ricchezza che si alimenta da fonti non note e non registrate, in ogni caso non idonea ad una configurazione attendibile. Sfugge al ricorrente il concomitante giudizio di irragionevolezza formulato dalla Corte territoriale anche in ragione dei picchi positivi elevatissimi, a cui non risulta corrispondere effettivo movimento finanziario così ondivago (Sent. pag. 13), circostanza che sorregge plausibilmente la valutazione di infedeltà e di inverosimiglianza dei dati così riportati.

Del pari, del tutto infondata è la critica a proposito del giudizio di insufficienza dell’analiticità delle annotazioni portate sul libro inventari che, insieme al libro giornale, deve esser idoneo – assolvendo una funzione di registrazione della contabilità della gestione – strumento di controllo per la ricostruzione analitica dei singoli rapporti posti in essere nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. E’, quindi, plausibile e ragionevole la conclusione del consulente tecnico che, quale fonte professionalmente qualificata di informazione, è in grado di coniugare la precisione del giudizio con la disamina del dato di fatto: donde l’insufficienza dell’informazione, ancorchè si sia dato riscontro del libro in sè, quando essa manchi della dovuta specificità e nel caso qui esaminato il dato riscontrato è che mancavano gli inventari (cfr. Sent. pag.

12), cioè, il momento essenziale a cui è affidata la funzione ricognitiva del documento.

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, tutte le scritture, obbligatorie e facoltative (o anche atipiche) possono essere oggetto materiale del reato che, si focalizza sull’evento previsto dalla norma inteso quale insuscettibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Pertanto l’osservazione che le annotazioni non siano considerate obbligatorie ma meramente ausiliari non rileva nella valutazione della condotta illecita. E, specificamente per quanto attiene alle schede di mastro, è noto che pur trattandosi di scritture non direttamente previste dal codice, assolvono ad un insostituibile scopo identificativo delle operazioni riportate sul libro Giornale (con tecnica esclusivamente cronologica e non per quadro di complessivi movimenti rapportati ad un soggetto).

Del resto l’art. 2214 c.c., comma 1, prevede la necessità di conservazione di ogni scrittura che sia richiesta dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e la scienza commercialistica attesta che senza l’ausilio di queste schede è impossibile la redazione di un bilancio credibile. I rilievi del consulente sono stati ritenuti logici dai giudici che rammentano la totale assenza di questo strumento nei rapporti con fornitori e clienti e la pratica impossibilità ad addivenire ad una completa ed esauriente rappresentazione di i movimenti (Sent. pag. 12).

Per altro verso, i rilievi dei ricorrenti risultano talora manifestamente infondati.

L’incerta ricostruzione della causale sottostante alla restituzione di effetti detenuti dalla società non potrà mai giungere, nell’interesse degli imputati, a configurare non già la restituzione di meri prestiti, bensì di veri e propri conferimenti, ipotesi ben più grave ed appartenente alla sfera della fraudolenza.

Nè è rilevabile difformità – ai fini di preferenzialità che qui interessano – nella disciplina del nuovo art. 2467 c.c., che sancisce la postergazione del credito rispetto alle ulteriori pretese e, quindi, l’illiceità del pagamento dei soci, prima della soddisfazione degli altri creditori (e men che meno il nuovo art. 217 bis, cit. L. Fall., giustamente non invocato perchè attinente soltanto alla procedura degli accordi L. Fall., ex art. 182 bis).

A proposito dei criteri giovevoli per vagliare la qualità di amministratore di fatto f occorre, necessariamente, valutare non già la totale sovrapposizione di funzioni i esercitate dal soggetto non qualificato rispetto a quelle proprie dell’amministratore, poichè la norma di legge, art. 2639 c.c., prescrive l’accertamento dell’esercizio continuativo nondimeno, "significatività" e "continuità" non comportano necessariamente l’esercizio di "tutti" i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Cass. sez. 5^, 17 ottobre 2005, Carboni, Ced. Cass., rv.

232456): infatti, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitagli, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40 c.p., comma 2, (cfr.

Cass. sez. 5^, 11 gennaio 2008, Salamida, Ced Cass., rv. 239040).

Ed, ancora, la previsione di cui all’art. 2639 c.c., non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Cass. pen., sez. 5^, 22 novembre 2007, Cristiano, Ced. Cass., rv. 238893).

Del resto, per ciò che trae ai rilievi articolati sulla posizione del G., occorre precisare che questa persona risponde direttamente venendo a rivestire i contorni della soggettività dettata dall’art. 2392 c.c. e ss.. Risulta, allora, sufficiente paradigma di imputazione il criterio di cui all’art. 2639 c.c., per renderlo oggettivamente responsabile di ogni attività propria della competenza amministrativa. Ovviamente la possibilità di ricondurre la responsabilità a chi riveste il ruolo gestorio, privo dei formali requisiti per la nomina, impone la disamina sulla conoscenza della singola operazione illecita posta in essere, scrutinio a cui può sovvenire anche l’accertamento del solo dolo eventuale. La deduzione che sottolinea l’interesse immediato del prevenuto nella dismissione degli effetti in portafoglio, di cui al capo 1), è sufficiente a dimostrare la conoscenza dell’azione connotata da fraudolenza (Sent. pag. 15 e cfr. anche pag. 16 sulla valenza personalistica del G. in quella vicenda).

La motivazione concernente la responsabilità nella condotta di fraudolenza documentale del C. pur essendo stata nominata amministratrice la S., risulta corretta e manifestamente infondato appare, conseguentemente, il motivo che ritiene carente l’argomentazione giudiziale, sol che si osservi come il periodo ricoperto da costei ((OMISSIS), Sent. pag. 8) è così ristretto da rendere inutile il rilievo, considerando che l’inquinamento documentale è risultato interessare l’intero periodo precedente (con conseguente riferibilità ad esso della relativa responsabilità in presenza di rappresentazioni contabili non reali, Sent. pag. 12).

Sono infondati i residui motivi.

La previsione di cui all’art. 2639 c.c., non esclude che l’esercizio dei poteri o, delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Cass. pen., Sez. 5^, 22 novembre 2007, Cristiano, Ced. Cass., rv. 238893).

Nel caso in esame i giudici di appello hanno osservato che il quesito sulla responsabilità del G. si prospetta all’inverso del dubbio offerto dal ricorrente, dovendosi domandare, piuttosto, se non fosse il C. un prestanome del G., ipotesi scartata per l’effettiva conduzione, in alcuni momenti della gestione societaria ad opera del primo (Sent. pag. 10/11).

La doglianza formulata dal G. è, al riguardo, piuttosto generica, poichè ricalca il gravame d’appello (ritenendo che l’argomentazione poggi sulla titolarità della quota di capitale, circostanza logica – attestando un diretto interesse alle opzioni di gestione – ma non esclusiva nel giudizio della decisione), ma trascura la risposta fornita dai giudici perugini, che ricordano non soltanto i continui rapporti intrattenuti dalla fallita con altre imprese e società ad esso facenti capo, ma anche le testimonianze degli ufficiali di polizia giudiziaria sul punto e del curatore che potè esaminare lo sviluppo della vicenda societaria (Sent. pag. 11), rilievi che rendono esauriente e congruo al discorso argomentativo al proposito.

Ogni più approfondita disamina si traduce in una valutazione sul fatto e diverso apprezzamento sulle risultanze istruttorie, esegesi non consentita a questo giudice.

Allo stesso modo, la notazione che il conto "fideiussioni soci Banca di Roma" fosse appostato all’attivo, circostanza ritenuta incompatibile con la connotazione distruttiva dell’azione posta in essere dai soci, è ragionevolmente presa in esame e contraddetta a pag. 15 della sentenza impugnata, poichè la fuoriuscita dall’economia dell’organismo di poi fallito veniva a concretare un credito sociale verso i soci.

Neppure la doglianza sulla statuizione sanzionatoria è fondata.

Invero, i giudici di merito hanno inflitto ai prevenuti una pena – corrispondente alla fattispecie aggravata dalla pluralità dei fatti di bancarotta fraudolenta – allineata sul minimo edittale, insuscettibile, pertanto, di ulteriore diminuzione.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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