T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 11-04-2011, n. 3187

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

La società ricorrente esercita l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ai sensi dell’articolo 10 della Legge regionale Lazio n. 21 del 2006, in forza di autorizzazione n. 75530 del 27.10.2005; in data 26.2.2009 ha presentato al comune l’istanza di rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico in ampliamento per mq. 3,20, nello spazio antistante i locali di esercizio in via dei Crociferi n. 25, di cui al prot. n. CA/15468.

Con il provvedimento impugnato, di cui al prot. n. 87127 del 17.11.2009, il comune ha comunicato il diniego di rilascio della concessione.

Il mancato accoglimento della domanda è motivato con riferimento all’improcedibilità della domanda per la mancata adozione dei piani di massima occupabilità, in corso di redazione, al parere negativo espresso dalla Polizia Municipale in relazione al divieto di sosta 00/24 previsto nel lato della strada interessato (articolo 7 codice della strada ed articolo articoli 4 quater, comma 1, della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005), nonché con riferimento alla riscontrata esistenza a carico della società di abusi di occupazione di suolo pubblico non ancora sanati relativi alle annualità 2008 e 2009 (articolo 5, comma 3, della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005).

Con il ricorso introduttivo la società ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego nonché tutti gli atti presupposti (puntualmente indicati), deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:

1- Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 4 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché eccesso di potere per violazione dell’articolo 41 della Costituzione, dell’art. 4 della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005, per travisamento dei fatti, erroneità nei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta e difetto di motivazione.

Sull’istanza del 26.2.2009 si sarebbe formato il silenzio assenso ai sensi del richiamato articolo 20 della L. n. 241 del 1990 ed in applicazione dell’articolo 4, comma 2, della D.C.C. n. 119/2005 in data 27.4.2009, con la conseguenza che l’amministrazione comunale potrebbe intervenire esclusivamente nell’esercizio del proprio potere di autotutela e nel rispetto della relativa normativa; il mero provvedimento di diniego tardivo sarebbe, invece, illegittimo non avendo né la forma né la sostanza della revoca in autotutela.

2- Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sotto altro profilo, nonché eccesso di potere per violazione dell’articolo 41 della Costituzione, degli articoli 4 e 4 bis della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005, per erroneità nei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta e difetto di motivazione.

Il diniego di rilascio dell’occupazione di suolo pubblico motivato esclusivamente sulla base della mancata adozione dei cd. piani di massima occupabilità (dei quali si è in attesa a fare data dal 2006) sarebbe illegittimo per giurisprudenza pacifica della sezione, non potendo l’inerzia dell’amministrazione ricadere negativamente sul privato e sulle sue aspettative.

3- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 285 del 1992 ed eccesso di potere per violazione dell’articolo 4 quater, comma 1, della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005, per erroneità nei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta e difetto di motivazione.

Vi sarebbe una intrinseca contraddittorietà nell’operato dell’amministrazione comunale che prima ha apposto il divieto di sosta su entrambi i lati della via interessata 00/24 e successivamente ha inserito la detta via nell’elenco di quelle per le quali è prevista l’adozione dei piani di cui in precedenza ai fini del rilascio delle concessioni di occupazione.

4- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 285 del 1992 e degli articoli 3 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ed eccesso di potere per violazione dell’articolo 4 quater, comma 1, della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005, per erroneità nei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta e difetto di motivazione.

La esistenza della determinazione di traffico n. 1664 del 16.11.2005, istitutiva del divieto di sosta su entrambi i lati della via interessata 00/24, non sarebbe ostativa al rilascio della richiesta concessione in quanto né nel codice della strada, né nella D.C.C. n. 119/2005, sarebbe previsto un divieto di tale tenore e comunque la normativa richiamata non sarebbe pertinente.

5- Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ed eccesso di potere per violazione dell’articolo 5, comma 3, della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005, per erroneità nei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta e difetto di motivazione.

In punto di fatto, quanto agli abusi ivi indicati, la ricorrente ne contesta la sussistenza; in punto di diritto, invece, ritiene che l’articolo 5, comma 3, della deliberazione del Consiglio Municipale n. 119/2005 sia illegittimo per contrasto con l’articolo 41 della Costituzione in quanto lesivo dell’iniziativa privata.

Infine ha chiesto la condanna del comune al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimità dei provvedimenti impugnati.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio in data 19.2.2010 con memoria difensiva ed allegata documentazione; con la memoria, in particolare, ha dedotto argomentatamente e diffusamente l’infondatezza nel merito del ricorso del quale ha chiesto il rigetto.

Con la memoria del 5.3.2010 la ricorrente ha controdedotto insistendo soprattutto sull’intervenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza di rilascio della concessione.

A sua volta il comune ha depositato la propria memoria in data 8.3.2010 con la quale ha ulteriormente dedotto l’inconfigurabilità, nel caso di specie, del silenzio assenso di cui all’articolo 20.

Con l’ordinanza n. 1111/2010 del 9.3.2010 è stata respinta l’istanza di sospensione dell’esecutività dei provvedimenti impugnati.

Con il ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 22.4.2010 e depositato in data 5.5.2010, la ricorrente ha impugnato la deliberazione del Consiglio Municipale n. 3/2010 del 5.2.2010 con la quale è stata prorogata la normativa transitoria di sospensione del rilascio delle concessioni di occupazione di suolo pubblico fino all’adozione dei cd. piani di massima occupabilità sino al 28.2.2010, nonché della successiva deliberazione n. 6/2010 del 25.2.2010 con la quale la detta normativa è stata ulteriormente prorogata sino al 31.1.2011.

Ne ha dedotto l’illegittimità in via derivata per i motivi di censura di cui al ricorso introduttivo, nonché in via principale per vizi propri.

Con la memoria del 21.5.2010 il comune di Roma si è costituito sul detto ricorso per motivi aggiunti, deducendone l’infondatezza nel merito e chiedendone il rigetto.

Con l’ordinanza n. 2269/2010 del 25.5.2010 è stata respinta anche questa istanza di sospensiva.

Il comune ha depositato documentazione integrativa in data 22.12.2010 e ulteriore memoria difensiva in data 31.12.2010.

La società ricorrente ha, a sua volta, depositato memorie conclusive in data 30.12.2010 e 12.1.2011.

Alla pubblica udienza del 2.2.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di censura la ricorrente deduce l’intervenuta formazione del silenzio assenso ai sensi del combinato disposto dell’articolo 20 della L. n. 241 del 1990 e dell’articolo 4 della deliberazione del Consiglio Comunale n. 119/2005 (d’ora in poi soltanto D.C.C. n. 119/2005).

2. La questione preliminare che deve essere affrontata è quella della configurabilità dell’istituto del silenzio assenso con riferimento alla concessione di occupazione di suolo pubblico.

L’articolo 20 della L. n. 241 del 1990 disponeva, nel testo originario, che "1. Con regolamento adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono determinati i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un’attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento, dal medesimo predetto regolamento. In tali casi, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, l’amministrazione competente può annullare l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa….".

A seguito delle modificazioni introdotte, la norma attualmente recita "1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

3. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21nonies.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti….".

L’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005, rubricato "Istruttoria della domanda", dispone che "…2. Il procedimento è concluso in 30 (trenta) giorni, ovvero in 60 (sessanta) giorni per le occupazioni ricadenti nella Città Storica, a decorrere dalla data di ricezione della domanda e, ove questa sia incompleta, dal perfezionamento della stessa…. ".

La norma regolamentare richiamata, pertanto, individua il termine di conclusione del procedimento di cui trattasi, senza, tuttavia, richiamare puntualmente la norma di cui all’articolo 20, né qualificare espressamente la fattispecie in termini di silenzio assenso (a differenza di quanto disposto nei regolamenti delle occupazioni di suolo pubblico di altri comuni, che prevedono testualmente l’operatività del silenzio assenso, e senza sottacere, tuttavia che, invece, altre amministrazioni comunali dispongono in senso diametralmente opposto, escludendo altrettanto puntualmente l’operatività del richiamato istituto con riferimento ai procedimenti concessori di cui trattasi).

Non si ritiene che, tuttavia, la detta circostanza costituisca ostacolo alla ricostruzione nei termini invocati da parte ricorrente; ed infatti la questione attiene essenzialmente all’interpretazione che si ritiene di dovere dare al disposto normativo di cui all’articolo 20.

Attraverso l’istituto del c.d. silenzio assenso, previsto dall’art. 20 della legge sul procedimento amministrativo, l’ordinamento fa discendere dall’inerzia dell’amministrazione la formazione di quell’assetto di interessi previsto soltanto in astratto dalla legge e al quale il privato concretamente aspira con la propria istanza.

Il meccanismo che è sotteso a tale istituto prevede, com’è noto, che la presentazione da parte del privato di un’istanza alla P.A., ove non seguita entro un termine prestabilito dall’adozione da parte di quest’ultima di un provvedimento espresso, si converta in un assenso all’istanza medesima.

Secondo la consolidata giurisprudenza formatasi sul testo originario del richiamato articolo 20, il provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico non può formarsi per silenzio assenso dal momento che tale ipotesi non è completata nel D.P.R. n. 407 del 1994 che regolamenta le attività cui si applica la disciplina di cui al detto articolo ((TAR Lazio, sez. II ter, 12 ottobre 2005, n. 8367, sez. II, 8 marzo 2002, n. 1853 e 19 maggio 1998, n. 944).

Ed infatti l’istituto in esame, in quanto avente natura eccezionale, non può essere esteso oltre i casi espressamente previsti dalla normativa per la sua portata derogatoria rispetto al generale principio dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, manifestazione della volontà dell’Amministrazione (articolo 2 della legge n. 241 del 1990).

Le diverse ipotesi di silenzio assenso conosciute dal nostro ordinamento, prima delle modifiche sopra richiamate del 2005, erano quelle espressamente previste in via normativa dagli specifici e risalenti ordinamenti settoriali oppure, in via di disciplina generale, dall’art. 20 il quale a sua volta rinviava, per l’individuazione delle singole e tassative ipotesi di applicazione dell’istituto in parola, a specifici decreti di attuazione; e né le leggi di settore, né i detti decreti contemplavano, tra i casi di applicabilità di detto istituto, i procedimenti concessori di suolo pubblico, non essendo questi menzionati espressamente nella tabella "C" del D.P.R. 26 aprile 1992 n. 300 e del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 407 e n. 411, riguardanti le attività sottoposte alla disciplina del silenzio assenso.

Tuttavia, la generale applicazione del silenzio assenso introdotta con la novella della legge n. 80 del 2005 ha radicalmente capovolto la prospettiva risultante dal quadro normativo precedente, nel quale si era demandato ad un atto di normazione secondaria la individuazione delle fattispecie alle quali applicare il meccanismo di semplificazione amministrativa di cui si tratta, con la conseguenza che, nelle ipotesi non espressamente previste, il privato che aspirasse ad un provvedimento esplicito, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione, conservava la possibilità di proporre ricorso avverso il c.d. silenziorifiuto (o silenzioinadempimento).

Se dunque, dapprima, il meccanismo di cui all’art. 20 poteva essere considerato un’eccezione al principio della conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso ed era quindi ammesso solo in ipotesi tassativamente determinate, ora, con la legge n. 80 del 2005, diviene una regola generale, mentre sono divenute tassative le eccezioni a tale regola.

Del resto, tale sovvertimento di prospettiva, in forza del quale il comportamento omissivo della pubblica amministrazione viene equiparato all’atto di accoglimento dell’istanza del privato, si inferisce agevolmente dalla piana lettura del novellato art. 20, che prevede l’applicazione del silenzio assenso "nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi" (comma 1), di guisa che il riferimento alla macrocategoria del "provvedimento amministrativo" appare comprensivo di tutti gli atti di natura autorizzatoria, con la sola esclusione di quelle fattispecie relative a beni sottoposti al vincolo storicoartistico e al vincolo paesaggistico, all’adempimento di obblighi internazionali e alla tutela di interessi pubblici fondamentali, legati all’igiene, all’incolumità ed alla sicurezza pubblica (comma 4).

Ne consegue che la generale applicazione del silenzio assenso, introdotta con la novella della legge n. 80 del 2005, nonché la sicura non riconducibilità del provvedimento gravato alle materie oggetto della deroga prevista dal comma 4 dell’art. 20, consentono di ritenere l’ammissibilità – in via generale – della formazione implicita del provvedimento concessorio di cui trattasi.

Non può, tuttavia, sottacersi che la concessione di occupazione di suolo pubblico comporta l’uso di questo da parte del privato e, pertanto, richiede all’amministrazione, nella cui disponibilità il suolo stesso si trova, una valutazione complessa, che non si limita alla compatibilità di tale uso con l’interesse pubblico, ma si estende alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’amministrazione stessa è portatrice.

La giurisprudenza amministrativa ha condivisibilmente osservato che questo è un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse; con il procedimento concessorio ha, pertanto, luogo la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.

Ed è proprio facendo leva sulla discrezionalità che connota il potere di rilascio del provvedimento di cui trattasi, nonché sulla complessità delle valutazioni sottese, che una parte della giurisprudenza ha adombrato come, anche successivamente alle innovazioni apportate nella materia dalla L. n. 80 del 2005, non sarebbe configurabile la formazione per silenzio del provvedimento concessorio di cui trattasi (vedasi, al riguardo, le considerazioni svolte nella sentenza del C.d.S., sez. V, 9 aprile 2010, n. 2000, ove si legge "anche ammesso, per mera ipotesi, che si fosse potuto formare il silenzio assenso…").

E’ comunque da rilevare che, in caso di intervenuta formazione del provvedimento di concessione per silenzio assenso, il tardivo diniego risulta tecnicamente inconfigurabile alla luce del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 20 più volte menzionato, e ciò a prescindere dalla valutazione sulla conformità a legge o meno della domanda del privato; ed, infatti, in tal caso, l’unica strada percorribile dall’amministrazione è, in astratto, quella dell’annullamento d’ufficio degli effetti del silenzio.

La detta manifestazione di volontà non può, pertanto, essere incorporata in un tardivo provvedimento di diniego poiché come ribadito anche recentemente dal Consiglio di Stato "il nuovo testo (dell’art. 20) al comma 3 esplicitamente accoglie il principio, già enunciato dalla giurisprudenza, che il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall’inoltro dell’istanza, non può essere considerato dall’Amministrazione tamquam non esset, ma può formare oggetto di provvedimenti caducatori nella via dell’autotutela" (cfr. Cons. Stato n. 1339/2007).

Pertanto, in una fase successiva alla formazione del silenzio assenso, l’amministrazione resistente sarebbe potuta intervenire soltanto attraverso l’esercizio di un potere di annullamento (o di revoca, art. 21 quinquies, della legge n. 241 del 1990), così come previsto dall’articolo 20, con l’avvertenza che tale forma di potere, in sede di autotutela decisoria, deve essere esercitata secondo il dettato del nuovo art. 21 nonies (richiamato dal comma 3 dell’articolo. 20), entro un ragionevole lasso di tempo, tenendo, altresì, conto di uno specifico interesse pubblico alla rimozione della situazione delineatasi con il silenzio assenso, nonché degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, sin da prima della citata novella alla legge n. 241 del 1990, gli atti di autotutela (sia l’annullamento che la revoca) sono stati in generale assoggettati ad alcune condizioni ed in particolare l’esistenza e la puntuale indicazione in motivazione di specifiche ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, nonché la considerazione, in sede di ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, del legittimo affidamento del destinatario dell’atto successivamente rimosso in via di autotutela (Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2006 n. 6465; Sez. V, 11 ottobre 2005 n. 5479; 24 settembre 2003, n. 5444; 2 settembre 2002, n. 3492).

Anche con riferimento al detto aspetto deve, tuttavia, rilevarsi come, recentemente, sia stato sostenuto, in senso contrario, che ".. anche ammesso, per mera ipotesi, che si fosse potuto formare il silenzio assenso, gli espressi provvedimenti dovevano essere considerati come revoche o quanto meno come provvedimenti di autotutela dei provvedimenti silenziosi formatisi… essendo fondati su specifici motivi di contrasto tra la richiesta… e le puntuali previsioni del relativo regolamento." (cfr. nei termini la già citata sentenza C.d.S., sez. V, 9 aprile 2010, n. 2000).

3. L’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005, rubricato "Istruttoria della domanda", dispone che "…2. Il procedimento è concluso in 30 (trenta) giorni, ovvero in 60 (sessanta) giorni per le occupazioni ricadenti nella Città Storica, a decorrere dalla data di ricezione della domanda e, ove questa sia incompleta, dal perfezionamento della stessa…. ".

Poiché la richiamata disposizione regolamentare distingue, ai fini dell’individuazione del termine di conclusione del procedimento, a seconda della ricadenza dell’area interessata nell’ambito del perimetro della Città Storica o meno, appare preliminare la verifica al riguardo.

Tuttavia non sussistendo contrasti in ordine alla detta circostanza, la si può dare per assodata.

Da quanto sopra esposto, consegue che il termine massimo di conclusione del procedimento in questione, alla luce del chiaro tenore testuale della norma regolamentare di cui all’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005 era di 60 giorni.

3.1. Tanto premesso nelle linee generali si tratta di verificare se, in concreto, nel caso all’esame, si siano verificati tutti i presupposti per ritenere che il provvedimento concessorio di cui trattasi sia venuto a formazione per silenzio.

Si tratta, pertanto, a questo punto di verificare se, al fine della formazione del provvedimento implicito per silenzio, sia sufficiente l’inutile decorso del termine massimo di durata del procedimento.

L’amministrazione comunale, infatti, nei propri scritti difensivi insiste, in modo particolare, sulla rilevanza ostativa al riguardo del mancato rilascio dei pareri di cui all’articolo 4 bis della D.C.C. n. 119/2005.

La richiamata disposizione regolamentare, rubricata "Pareri preventivi obbligatori", dispone che "2. L’ufficio comunale competente al rilascio della concessione deve chiedere, inoltre, i pareri preventivi ed obbligatori dei seguenti uffici:

a) del Servizio Giardini,…;

b) della Sovrintendenza ai beni culturali del Comune di Roma,quando le occupazioni di suolo pubblico interessano ville, palazzi,manufatti con interesse storico ed archeologico, nonché zone, strade e piazze con valore artistico e paesaggisticomonumentale;

c) del Dipartimento Politiche della Mobilità,….

3. Per il rilascio delle concessioni per l’occupazione del suolo pubblico, sia permanente che temporanea, ricadenti nel territorio della Città Storica, deve essere acquisito il parere preventivo ed obbligatorio dell’Ufficio per la Città Storica e della Sovrintendenza ai beni culturali del Comune di Roma….

5. I pareri previsti dal comma 1 e dalle lettere a), b) e c) del comma 2 devono essere comunicati all’Ufficio comunale richiedente entro 15 (quindici) giorni dal ricevimento della richiesta. La mancata espressione nei termini vale come parere favorevole, salvo i casi previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

I pareri di cui al comma 3 devono essere comunicati all’Ufficio comunale richiedente entro 30 (trenta) giorni dal ricevimento della richiesta.".

Da quanto esposto consegue che, rientrando le vie interessate nel perimetro della Città storica, ai fini del rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico, era necessario il previo rilascio del parere obbligatorio della Sovrintendenza ai beni culturali del Comune di Roma, che avrebbe dovuto essere comunicato nel termine dei 30 giorni dalla ricezione della richiesta.

Peraltro, per quanto attiene al parere in questione, la norma regolamentare richiamata non prevede che, in mancanza di espressione dello stesso nel termine indicato, l’inerzia valga quale rilascio di parere favorevole (a differenza di quanto previsto per gli altri pareri); e la circostanza si spiega in quanto il comma 2 comprende i pareri rilasciati da organi comunali dotati di diverse specifiche competenze, e, tra questi, anche il parere della Sovrintendenza comunale, al quale deve intendersi riferita la clausola di salvezza rappresentata dal richiamo ai limiti di cui alla legge generale sul procedimento.

La conseguenza è che il meccanismo del silenzio assenso non può trovare applicazione nel caso di specie, attesa la rilevanza degli interessi coinvolti ed alla cui tutela è preordinato il rilascio del parere di cui trattasi.

Ed infatti l’articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 dispone che "4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico…".

E, ai sensi del richiamato comma, non può ritenersi che, alla scadenza del sessantesimo giorno dalla presentazione dell’istanza di rilascio di una concessione temporanea di occupazione di suolo pubblico, si sia formato il silenzio assenso, ricadendo il relativo procedimento, in virtù della chiara previsione dell’art. 4 bis, comma 3, della deliberazione consiliare n. 119 del 2005, tra quelli esclusi dall’ambito applicativo dell’articolo 20, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (cfr. nei termini T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter, 9 luglio 2008, n. 6474).

Né si ritiene che possa essere richiamata, in senso contrario, quella giurisprudenza secondo la quale, premesso che i procedimenti che riguardano le autorizzazioni all’insediamento di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande non rientrano in nessuna delle materie di cui al comma 4 dell’articolo 20, la circostanza che si faccia questione di provvedimenti assoggettati a "contingentamento" o a "parametri numerici" o a "criteri di programmazione" non preclude l’applicazione della disciplina relativa al silenzio assenso (cfr. T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 18 giugno 2008, n. 1799): quella giurisprudenza non considera infatti l’ipotesi, rilevante in questa sede, che il procedimento subordini il rilascio del titolo al parere preventivo obbligatorio da parte dell’organo comunale deputato alla tutela del patrimonio culturale ed artistico della città.

Peraltro, dalla lettura dell’epigrafe del ricorso introduttivo è possibile verificare come la deliberazione C.C. n. 119/2005 sia stata impugnata limitatamente ai disposti degli articoli 4 quater, comma 1 e 5, comma 3, nella parte in cui possano essere interpretati in senso ostativo al rilascio della richiesta concessione; non risulta, invece, che sia stato anche puntualmente impugnato l’articolo 4 bis nella parte che interessa; se ne propugna, invece, un’interpretazione che permetta di suffragare la tesi sostenuta dell’intervenuta formazione del silenzio assenso.

Peraltro va ribadita la coerenza sul punto della disciplina regolamentare con la norma legislativa che individua i principi generali nella materia, come in precedenza già evidenziato.

5. Passando alla valutazione del merito del diniego opposto alla ricorrente, deve rilevarsi come, con l’impugnato provvedimento, l’amministrazione comunale abbia richiamato sul punto il parere negativo della Polizia Municipale di cui alla nota prot. n. VA/72184 del 6.4.2009; con il detto parere è stato posto in rilievo che su entrambi i lati della via interessata vi è il divieto di sosta ai sensi della determinazione di traffico n. 1664 del 16.11.2005.

La ricorrente ritiene, al riguardo, che la presenza di un divieto di sosta permanente su entrambi i lati di via dei Crociferi non giustifichi l’adozione del provvedimento sfavorevole (perché non ricompreso nei divieti di rilascio delle concessioni di occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 4 quater della delibera C.C. n. 119/2005).

La tesi non può essere condivisa per le considerazioni che questa sezione ha recentemente evidenziato in una fattispecie analoga: "I divieti al rilascio delle occupazioni di suolo pubblico nel territorio comunale imposti dalla delibera C.C. n. 119/2005 non esauriscono i casi in cui non possono essere rilasciate le concessioni di che trattasi, residuando comunque all’amministrazione l’esercizio del potere discrezionale in relazione a concrete situazioni, pur non direttamente contemplate dalla predetta deliberazione, che necessitano di una valutazione comparativa tra le diverse esigenze pubbliche e private.

Le ipotesi fissate nella delibera C.C. n. 119/2005 costituiscono, invero, un autovincolo che il Comune di Roma si è imposto ma che, tuttavia, non hanno il carattere della esclusività né esauriscono le possibilità per l’amministrazione di continuare ad esercitare in concreto il proprio potere discrezionale.

Nel caso di specie, la valutazione discrezionale esercitata dall’amministrazione non risulta inficiata dai vizi dedotti dalla ricorrente né risulta irragionevole ovvero illogica.

A ciò si aggiunga che il richiamo all’art. 158 del Codice della strada ha attinenza con il caso in esame in quanto, seppure la norma citata si riferisca alla sosta di veicoli, non può essere escluso, come peraltro ribadito nel provvedimento di autotutela impugnato, che il divieto ivi imposto sia funzionale non solo alla tutela del centro storico ma anche a garantire una migliore fluidità (e quindi maggiore sicurezza) della viabilità in quel tratto (largo metri 4,45), che potrebbe quindi essere compromessa anche dalla presenza di una occupazione di suolo pubblico.

La valutazione operata dall’amministrazione non può quindi dirsi irragionevole tanto che una diversa ponderazione da parte del giudice rischierebbe di tradursi in un intervento sostitutivo delle prerogative della amministrazione, precluse al giudice nell’esercizio della giurisdizione di legittimità.

Allo stesso modo infondata è la censura riguardante la contraddittorietà della condotta tenuta dall’amministrazione resistente in diverse ma analoghe fattispecie nelle quali, invece, avrebbe rilasciato la concessione di occupazione di suolo pubblico.

Al riguardo, va osservato che l’amministrazione resistente ha smentito tale affermazione precisando, altresì, che, con riferimento ad analoga situazione (in Piazza dei Crociferi), in data 19 novembre 2010, ha avviato un altro procedimento di annullamento in autotutela della concessione" (TAR Lazio, Roma, sez. II ter, 18.2.2011, n. 1560).

6. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che sull’istanza della ricorrente non si sia formato il dedotto silenzio assenso e che il diniego impugnato sia esente dai vizi di illegittimità dedotti con riferimento ad almeno uno dei motivi addotti da parte dell’amministrazione ed idoneo da solo a supportarlo (ossia l’esistenza su entrambi i lati della via che interessa del divieto di fermata).

Il ricorso va quindi respinto.

7. Attesa la complessità delle questione dedotte si ritiene opportuno disporre tra le parti costituite la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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