Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-03-2011) 13-04-2011, n. 15124

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 16.6.2010, la corte d’Appello di Milano respingeva l’istanza formulata dalla difesa di R.R., condannato alla pena di anni quindici di reclusione ed Euro 45.000 di multa, con sentenza Corte d’Appello Milano 9.11.2006, volta a fare dichiarare non esecutiva la sentenza suddetta e ad ottenere la restituzione in termini per impugnarla, essendo stato il R. irritualmente dichiarato latitante, laddove non ricorrerebbe prova di una sua volontaria sottrazione al processo. Secondo la corte territoriale, dall’esame del fascicolo era emerso che con il mandato di arresto europeo relativo alla procedura di consegna del predetto, erano state specificate le garanzie giuridiche di cui godeva chi era stato giudicato in contumacia, ed era fatta espressa indicazione della facoltà di chiedere di essere riammesso in termini per l’impugnazione della sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 175 c.p.p.. Tale Informazione era idonea a garantire l’effettività del diritto di accesso all’istituto in questione, poichè lo stesso fu reso edotto, nella lingua da lui conosciuta, della norma di cui poteva avvalersi e che egli avesse compreso il significato di questa norma, era comprovato dal fatto che risulta aver scritto al legale, che si poteva riaprire il processo. Sta di fatto che egli fu consegnato dalla Francia all’Italia, il 23.12.2009 in esecuzione di MAE e che il termine per avvalersi della facoltà spirava il 22.1.2010, laddove l’istanza di restituzione nel termine fu presentata il 25 febbraio, con il che andava ritenuta inammissibile.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’istante per dedurre:

violazione ed erronea applicazione dell’art. 175 e art. 2 bis c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) ed illogicità della motivazione in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e): secondo la difesa il termine di trenta giorni di cui al comma 2 bis della norma in parola sarebbe troppo ridotto, a fronte delle decisioni della Corte Costituzionale e della Corte dei diritti dell’uomo, secondo cui il diritto di accesso alla misura ripristinatoria deve essere effettivo. I dubbi di costituzionalità della norma citata dipenderebbero dalla sua applicabilità al condannato che, avuta effettiva conoscenza del provvedimento, o essendo stato consegnato alle autorità statuali, non sia stato avvertito di avere facoltà di essere rimesso in termini; affinchè l’accesso al mezzo ripristinatorio sia effettivo, deve ritenersi necessario che l’avente diritto sia informato della facoltà di potersene avvalere, nei limiti temporali strettissimi che sono stati stabiliti, in ossequio al principio della durata ragionevole dei processi, principio quest’ultimo che però non può soffocare il diritto di difesa. All’interessato dovevano essere fatti presente non solo la facoltà di impugnare, ma anche i limiti temporali per esercitare detto diritto. I giudici avrebbero fatto valere un’effettività formale, ma non sostanziale del diritto di remissione, dando per scontato che tutti i difensori si comportino diligentemente, notiziando subito l’interessato del breve termine a disposizione, quando così non è.

Pertanto, la difesa chiede l’annullamento dell’impugnata ordinanza e in subordine solleva l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 175 c.p.p., comma 2 bis, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui non prevede che il termine stabilito a pena di decadenza dall’art. 175 c.p., comma 2 bis decorra dal momento in cui risulti che dello stesso il condannato contumace abbia effettiva conoscenza.

3. Il PG ha chiesto di rigettare il ricorso, tenuto conto che la precisa dizione contenuta nel MAE è ampiamente idonea a mettere il condannato nella condizione di conoscere della facoltà di riaprire il processo, in esito al quale la condanna in esecuzione è stata inflitta. Il termine di trenta giorni risulta ampiamente congruo, avuto riguardo al bilanciamento delle garanzie di difesa, con la necessità di conferire certezza ai rapporti giuridici. Nessun profilo di incostituzionalità è quindi apprezzabile, visto che il termine di trenta giorni non è altro che il termine previsto per le impugnazioni ordinarie.

4. Nelle more è stata presentata una memoria con cui è stato risottolineato che l’effettività della difesa non coincide con la nomina di un difensore, ma con l’instaurazione del rapporto fiduciario; l’eventuale negligenza del difensore non può ricadere sul condannato, privandolo di uno dei suoi diritti fondamentali che caratterizza il giusto processo. Viene fatto rilevare che ciò che ostacola l’effettiva, concreta e incondizionata fruibilità del mezzo ripristinatorio non è la previsione del termine di trenta giorni, quanto la decorrenza di detto termine dalla consegna del condannato.

E sotto questo profilo insiste sulla censura di illegittimità costituzionale dell’interpretazione dell’art. 175 c.p., comma 2 bis, secondo cui tale termine debba sempre decorrere dal momento della consegna del condannato, anche quando questi non sia stato inequivocabilmente notiziato dei trenta giorni a sua disposizione. considerato in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato e come tale inammissibile.

La Corte territoriale ha dato atto che risulta pacificamente che l’istante venne messo in condizioni di conoscere che era stato condannato in contumacia e che per detta condanna veniva consegnato al nostro stato che lo richiedeva per fargli scontare la pena, ma che aveva il diritto, ove non avesse avuto conoscenza del processo che portò alla sua condanna, di essere riammesso in termini per l’impugnazione della sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 175 c.p.p.; ha altresì sottolineato che l’interessato aveva ben compreso che il processo poteva essere "riaperto di nuovo", se vero è che si espresse in questi testuali termini, con l’atto scritto diretto al suo difensore. E da questi dati pacifici ha correttamente desunto la piena presa di conoscenza della facoltà ad esercitare il diritto, nei termini di cui all’art. 175 c.p.p..

Il mancato coordinamento con il difensore nominato d’ufficio, a cui sarebbe imputabile il ritardo, non può indurre a lettura alternative dei dati storici, nè a forzate interpretazioni della norma, poichè il limite temporale entro cui è data facoltà di mettere in discussione il giudicato è indispensabile per rispettare il principio della durata ragionevole di processi.

Nessuna forzatura delle garanzie fondamentali è dato scorgere nella norma suddetta che realizza il doveroso contemperamento degli interessi al rispetto dei diritti di garanzia dell’imputato a impugnare la sentenza non conosciuta, ancorchè definitiva, e della collettività di vedere definite le controversie giudiziarie in un tempo ragionevole. L’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla difesa è manifestamente irrilevante, poichè presuppone che l’interessato non abbia avuto contezza del termine in questione, laddove invece è stato ampiamente provato che il R. ebbe effettiva conoscenza del tempo entro cui avrebbe potuto avvalersi delle facoltà di cui all’art. 175 c.p.p., termine che non venne adeguatamente sfruttato, verosimilmente solo per negligenza del difensore, non già per un difetto di informazione dell’interessato.

Corretta è stata la dichiarazione di inammissibilità essendo intervenuta oltre il lasso di trenta giorni dalla notificazione del MAE (che conteneva l’avvertimento della facoltà), la richiesta di restituzione nel termine da parte del ricorrente.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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