T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 11-04-2011, n. 3170 Silenzio della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente società P. s.r.l. (d’ora in poi soltanto P.) ha ottenuto da parte del Comune di Roma il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande con la determinazione dirigenziale n. 370/2010 dell’1.4.2010, in ottemperanza alla sentenza di questo Tribunale n. 11500/2009 del 23.11.2009, con la quale è stata annullata la determinazione dirigenziale n. 1142 del 5.10.2009 di rigetto dell’istanza di rilascio del detto provvedimento autorizzatorio.

Intanto la P. aveva presentato al comune, in data 26.1.2010, istanza per il rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico per una superficie totale di mq. 18,70, antistante il locale di esercizio al fine del collocamento di pedane, ombrelloni, tavolini e sedie.

Decorsi 30 giorni dalla ricezione da parte del comune della detta istanza, la P. ha inoltrato, in data 15.6.2010, la comunicazione di inizio dell’attività relativamente alla richiesta occupazione e, a fare data dal 20.6.2010, ha proceduto con l’occupazione, previo pagamento del relativo canone.

Il comune, con la nota di cui al prot. n. 23646 del 6.7.2010, ha, tuttavia, comunicato alla società, ai sensi dell’articolo 10 bis della L. n. 241 del 1990, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

La P. ha, quindi, inoltrato in riscontro una nota di contestazioni in data 23.7.2010; tuttavia, con la determinazione dirigenziale n. 859/2010 del 12.8.2010, il comune ha rigettato definitivamente l’istanza e con la successiva determinazione dirigenziale n. 873/2010 del 15.9.2010 ha ordinato alla P. di provvedere alla rimozione dell’occupazione nel termine dei 7 giorni dalla notificazione.

Con il ricorso in trattazione la società ricorrente ha impugnato le due ultime determinazioni, nonché tutti i provvedimenti a queste presupposti, puntualmente indicate nell’epigrafe.

Ne ha dedotto l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:

1- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché degli articoli 3, 4 e 10, 21 quinquies e 21 nonies della medesima legge ed eccesso di potere per violazione degli articoli 4, 4 bis e 4 ter della deliberazione del Consiglio Comunale n. 119/2005, nonché per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione ed ingiustizia manifesta.

Alla data di adozione del provvedimento di diniego impugnato, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 20 della L. n. 241 del 1990 (che troverebbe applicazione anche nel caso del procedimento di cui trattasi di rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico) e dell’articolo 4 della deliberazione C.C. n. 119/2005, si sarebbe formato il silenzio assenso con il decorso del termine di 30 giorni dalla ricezione da parte del comune dell’istanza di rilascio della concessione di suolo pubblico del 26.1.2010, non avendo l’amministrazione provveduto a richiedere nei termini alla ricorrente un’integrazione documentale; al più, in via subordinata, il detto silenzio sarebbe venuto in essere a decorrere dalla data dell’1.5.2010, ossia dal decorso dei detti 30 giorni dalla data del formale rilascio del titolo autorizzatorio da parte del comune.

La conseguenza sarebbe che il comune avrebbe potuto provvedere in autotutela nei confronti del proprio provvedimento implicito, qualora ritenuto illegittimo, previa comunicazione del relativo avvio procedimentale e nella sussistenza di tutti i presupposti di legge al riguardo e che, pertanto, il tardivo provvedimento esplicito di diniego sarebbe illegittimo.

Inoltre non potrebbe trovare applicazione il richiamato articolo 4 quater, comma 3, della deliberazione C.C. n. 119/2005, in quanto l’esercizio si troverebbe nella viabilità locale e non invece nella viabilità principale e, per la viabilità locale, disciplinata nel successivo comma 4 del medesimo articolo, non sussisterebbero divieti assoluti al rilascio di concessioni di occupazioni di suolo pubblico nelle zone assoggettate a tariffazione.

Peraltro risulterebbe che, in zone aventi le medesime caratteristiche, il comune avrebbe già provveduto al rilascio delle richieste concessioni, con la conseguente disparità di trattamento.

Infine il comune, con la determinazione di diniego impugnata, avrebbe addotto a fondamento della propria scelta un aspetto che non era stato considerato in sede di comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’articolo 10 bis, ossia il mancato rilascio – alla data di presentazione dell’istanza di cui trattasi – del formale provvedimento autorizzatorio alla somministrazione (circostanza che, peraltro, non sarebbe prevista dalla deliberazione C.C. n. 119/2005 quale necessario presupposto dell’autorizzazione in questione).

2- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e del D. Lgs. n. 446 del 1997 ed eccesso di potere per violazione dell’articolo 4 quater della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 119/2005 e delle deliberazioni della Giunta Comunale nn. 257 e 281 del 2008, nonché per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione ed ingiustizia manifesta.

Con la detta censura è stato più approfonditamente argomentata l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di diniego perché motivato con riferimento alla sussistenza di un divieto assoluto di rilascio di concessioni di occupazioni di suolo pubblico nella viabilità locale in zone assoggettate a tariffazione.

In particolare non sarebbe pertinente il richiamo alla deliberazione C.C. n. 84/1999, con la quale si è proceduto all’approvazione del Piano generale del traffico urbano del comune di Roma – nella parte in cui rinvia, al punto 4.2.2., ad un successivo regolamento per l’individuazione delle eventuali deroghe ritenute necessarie al divieto di rilascio delle concessioni di cui trattasi nelle zone tariffate – atteso che il divieto sarebbe decaduto a seguito della mancata adozione del regolamento in questione nel termine perentorio indicato e che la successiva deliberazione C.C. n. 119/2005 disporrebbe il divieto assoluto per le sole zone tariffate ricadenti sulla viabilità principale.

Per quanto attiene, poi, alle successive deliberazioni G.M. nn. 257 e 281 del 2008, le stesse sarebbero irrilevanti in quanto afferenti esclusivamente alla questione del ripristino della tariffazione delle aree a seguito della sentenza di questo Tribunale n. 5218/2008 e non costituirebbero adempimento alla relativa prescrizione regolamentare.

Peraltro il divieto di cui al comma 3 del richiamato articolo 4 non potrebbe comportare, quale conseguenza della mancata adozione del regolamento, ossia dell’inerzia della stessa amministrazione comunale, il divieto assoluto sine die di rilascio di nuove concessioni.

3- Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché eccesso di potere per violazione degli articoli 4 e 4 bis della deliberazione del Consiglio Comunale n. 119/2005 e per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria.

Il comune, in assenza della normativa regolamentare di cui in precedenza, avrebbe, pertanto, dovuto, secondo un consolidato orientamento della sezione nella materia, provvedere ad istruire il procedimento con una adeguata comparazione degli interessi coinvolti nella vicenda.

4- Eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità ed ingiustizia manifesta.

Il comune – come da documentazione depositata in copia in atti – avrebbe già rilasciato la richiesta concessione ad altri operatori che si sarebbero travati in situazione analoga (ritenendosi, evidentemente, non ostativa al rilascio la circostanza della tariffazione della zona indicata), con conseguente illegittima disparità di trattamento

5- Illegittimità in via derivata dell’ordinanza di rimozione dell’occupazione di suolo pubblico.

Tutti i dedotti motivi di illegittimità dei provvedimenti presupposti si riverberebbero, altresì, nei confronti della determinazione di cui da ultimo, con la quale è stato ingiunto alla ricorrente lo sgombero dell’area che si è ritenuto essere stata occupata abusivamente da parte della stessa.

Con il decreto n. 4117/2010 del 24.9.2010 è stata respinta l’istanza di sospensione dell’esecutività dei provvedimenti impugnati.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio con comparsa di mera forma in data 11.10.2010, depositando successivamente la memoria difensiva, con allegata documentazione, con la quale ha dedotto argomentatamente l’infondatezza nel merito del ricorso.

Con l’ordinanza n. 4539/2010 del 15.10.2010 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecutività dei provvedimenti impugnati ed è stata fissata l’udienza di trattazione nel merito del ricorso.

Con il ricorso per motivi aggiunti, notificato il 27.10.2010 e depositato il 28.10.2010, la società ricorrente, alla luce della documentazione prodotta da parte del comune, ha più diffusamente argomentato i motivi di censura di cui al ricorso introduttivo del presente giudizio, ed ha, quindi, articolato due nuovi motivi di censura.

In particolare ha dedotto:

6- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della L. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per violazione della deliberazione del Consiglio Municipale n. 7/2008, con la quale è stato disciplinato, in via provvisoria, il rilascio delle concessione di occupazione di suolo pubblico sulla viabilità locale nel territorio municipale nelle ore dell’adozione della necessaria regolamentazione da parte della Giunta Municipale, disponendosi il rilascio fino ad un massimo di n. 2 stalli di sosta tariffata, ciascuno della larghezza di mt. 2 e della lunghezza di mt. 5, per un totale di 20 mq.

7- Eccesso di potere per violazione della deliberazione C.M. n. 7/2008 sotto altro e diverso profilo e per ingiustizia manifesta e contraddittorietà tra provvedimenti.

La concessione richiesta da parte della ricorrente rientrerebbe perfettamente nei limiti indicati nella richiamata deliberazione municipale.

Ha, quindi, insistito per l’accoglimento anche della connessa azione di risarcimento dei danni conseguenti, ritenuti sussistenti nonostante il tempestivo accoglimento della proposta istanza cautelare.

Con al memoria del 15.11.2010 il comune ha ulteriormente ribadito l’infondatezza nel merito del ricorso, insistendo per il suo rigetto.

Con la successiva memoria del 7.12.2010 la società ricorrente ha replicato alle difese avversarie, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.

Alla pubblica udienza del 7.12.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di censura la ricorrente deduce l’intervenuta formazione del silenzio assenso ai sensi del combinato disposto dell’articolo 20 della L. n. 241 del 1990 e dell’articolo 4 della deliberazione del Consiglio Comunale n. 119/2005 (d’ora in poi soltanto D.C.C. n. 119/2005), atteso che l’istanza di rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico è stata presentata ai competenti uffici comunali in data 26.1.2010 ed invece l’impugnato provvedimento formale di diniego è stato adottato soltanto in data 12.8.2010 (previa comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’articolo 10 bis della L. n. 241 del 1990 in data 6.7.2010, cui ha fatto seguito la presentazione di osservazioni da parte della ricorrente protocollate in data 23.7.2010); secondo la tesi della ricorrente, pertanto, alla data del 26.2.2010 (decorso il termine dei 30 giorni di cui all’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005 dalla data di presentazione dell’istanza) o, al più, alla data dell’1.5.2010 (decorso il termine di 30 giorni di cui sopra dalla data del formale rilascio del titolo autorizzatorio per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande relativamente all’esercizio per il quale è stata chiesta l’occupazione), si è perfezionato il provedimento concessorio implicito.

2. La questione preliminare che deve essere affrontata è quella della configurabilità dell’istituto del silenzio assenso con riferimento alla concessione di occupazione di suolo pubblico.

L’articolo 20 della L. n. 241 del 1990 disponeva, nel testo originario, che "1. Con regolamento adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono determinati i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un’attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento, dal medesimo predetto regolamento. In tali casi, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, l’amministrazione competente può annullare l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa….".

A seguito delle modificazioni introdotte, la norma attualmente recita "1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

3. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21nonies.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti….".

L’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005, rubricato "Istruttoria della domanda", dispone che "…2. Il procedimento è concluso in 30 (trenta) giorni, ovvero in 60 (sessanta) giorni per le occupazioni ricadenti nella Città Storica, a decorrere dalla data di ricezione della domanda e, ove questa sia incompleta, dal perfezionamento della stessa…. ".

La norma regolamentare richiamata, pertanto, individua il termine di conclusione del procedimento di cui trattasi, senza, tuttavia, richiamare puntualmente la norma di cui all’articolo 20, né qualificare espressamente la fattispecie in termini di silenzio assenso (a differenza di quanto disposto nei regolamenti delle occupazioni di suolo pubblico di altri comuni, che prevedono testualmente l’operatività del silenzio assenso, e senza sottacere, tuttavia che, invece, altre amministrazioni comunali dispongono in senso diametralmente opposto, escludendo altrettanto puntualmente l’operatività del richiamato istituto con riferimento ai procedimenti concessori di cui trattasi).

Non si ritiene che, tuttavia, la detta circostanza costituisca ostacolo alla ricostruzione nei termini invocati da parte ricorrente; ed infatti la questione attiene essenzialmente all’interpretazione che si ritiene di dovere dare al disposto normativo di cui all’articolo 20.

Attraverso l’istituto del c.d. silenzio assenso, previsto dall’art. 20 della legge sul procedimento amministrativo, l’ordinamento fa discendere dall’inerzia dell’amministrazione la formazione di quell’assetto di interessi previsto soltanto in astratto dalla legge e al quale il privato concretamente aspira con la propria istanza.

Il meccanismo che è sotteso a tale istituto prevede, com’è noto, che la presentazione da parte del privato di un’istanza alla P.A., ove non seguita entro un termine prestabilito dall’adozione da parte di quest’ultima di un provvedimento espresso, si converta in un assenso all’istanza medesima.

Secondo la consolidata giurisprudenza formatasi sul testo originario del richiamato articolo 20, il provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico non può formarsi per silenzio assenso dal momento che tale ipotesi non è completata nel D.P.R. n. 407 del 1994 che regolamenta le attività cui si applica la disciplina di cui al detto articolo ((TAR Lazio, sez. II ter, 12 ottobre 2005, n. 8367, sez. II, 8 marzo 2002, n. 1853 e 19 maggio 1998, n. 944).

Ed infatti l’istituto in esame, in quanto avente natura eccezionale, non può essere esteso oltre i casi espressamente previsti dalla normativa per la sua portata derogatoria rispetto al generale principio dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, manifestazione della volontà dell’Amministrazione (articolo 2 della legge n. 241 del 1990).

Le diverse ipotesi di silenzio assenso conosciute dal nostro ordinamento, prima delle modifiche sopra richiamate del 2005, erano quelle espressamente previste in via normativa dagli specifici e risalenti ordinamenti settoriali oppure, in via di disciplina generale, dall’art. 20 il quale a sua volta rinviava, per l’individuazione delle singole e tassative ipotesi di applicazione dell’istituto in parola, a specifici decreti di attuazione; e né le leggi di settore, né i detti decreti contemplavano, tra i casi di applicabilità di detto istituto, i procedimenti concessori di suolo pubblico, non essendo questi menzionati espressamente nella tabella "C" del D.P.R. 26 aprile 1992 n. 300 e del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 407 e n. 411, riguardanti le attività sottoposte alla disciplina del silenzio assenso.

Tuttavia, la generale applicazione del silenzio assenso introdotta con la novella della legge n. 80 del 2005 ha radicalmente capovolto la prospettiva risultante dal quadro normativo precedente, nel quale si era demandato ad un atto di normazione secondaria la individuazione delle fattispecie alle quali applicare il meccanismo di semplificazione amministrativa di cui si tratta, con la conseguenza che, nelle ipotesi non espressamente previste, il privato che aspirasse ad un provvedimento esplicito, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione, conservava la possibilità di proporre ricorso avverso il c.d. silenziorifiuto (o silenzioinadempimento).

Se dunque, dapprima, il meccanismo di cui all’art. 20 poteva essere considerato un’eccezione al principio della conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso ed era quindi ammesso solo in ipotesi tassativamente determinate, ora, con la legge n. 80 del 2005, diviene una regola generale, mentre sono divenute tassative le eccezioni a tale regola.

Del resto, tale sovvertimento di prospettiva, in forza del quale il comportamento omissivo della pubblica amministrazione viene equiparato all’atto di accoglimento dell’istanza del privato, si inferisce agevolmente dalla piana lettura del novellato art. 20, che prevede l’applicazione del silenzio assenso "nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi" (comma 1), di guisa che il riferimento alla macrocategoria del "provvedimento amministrativo" appare comprensivo di tutti gli atti di natura autorizzatoria, con la sola esclusione di quelle fattispecie relative a beni sottoposti al vincolo storicoartistico e al vincolo paesaggistico, all’adempimento di obblighi internazionali e alla tutela di interessi pubblici fondamentali, legati all’igiene, all’incolumità ed alla sicurezza pubblica (comma 4).

Ne consegue che la generale applicazione del silenzio assenso, introdotta con la novella della legge n. 80 del 2005, nonché la sicura non riconducibilità del provvedimento gravato alle materie oggetto della deroga prevista dal comma 4 dell’art. 20, consentono di ritenere l’ammissibilità – in via generale – della formazione implicita del provvedimento concessorio di cui trattasi.

Non può, tuttavia, sottacersi che la concessione di occupazione di suolo pubblico comporta l’uso di questo da parte del privato e, pertanto, richiede all’amministrazione, nella cui disponibilità il suolo stesso si trova, una valutazione complessa, che non si limita alla compatibilità di tale uso con l’interesse pubblico, ma si estende alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’amministrazione stessa è portatrice.

La giurisprudenza amministrativa ha condivisibilmente osservato che questo è un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse; con il procedimento concessorio ha, pertanto, luogo la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.

Ed è proprio facendo leva sulla discrezionalità che connota il potere di rilascio del provvedimento di cui trattasi, nonché sulla complessità delle valutazioni sottese, che una parte della giurisprudenza ha adombrato come, anche successivamente alle innovazioni apportate nella materia dalla L. n. 80 del 2005, non sarebbe configurabile la formazione per silenzio del provvedimento concessorio di cui trattasi (vedasi, al riguardo, le considerazioni svolte nella sentenza del C.d.S., sez. V, 9 aprile 2010, n. 2000, ove si legge "anche ammesso, per mera ipotesi, che si fosse potuto formare il silenzio assenso…").

E’ comunque da rilevare che, in caso di intervenuta formazione del provvedimento di concessione per silenzio assenso, il tardivo diniego risulta tecnicamente inconfigurabile alla luce del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 20 più volte menzionato, e ciò a prescindere dalla valutazione sulla conformità a legge o meno della domanda del privato; ed, infatti, in tal caso, l’unica strada percorribile dall’amministrazione è, in astratto, quella dell’annullamento d’ufficio degli effetti del silenzio.

La detta manifestazione di volontà non può, pertanto, essere incorporata in un tardivo provvedimento di diniego poiché come ribadito anche recentemente dal Consiglio di Stato "il nuovo testo (dell’art. 20) al comma 3 esplicitamente accoglie il principio, già enunciato dalla giurisprudenza, che il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall’inoltro dell’istanza, non può essere considerato dall’Amministrazione tamquam non esset, ma può formare oggetto di provvedimenti caducatori nella via dell’autotutela" (cfr. Cons. Stato n. 1339/2007).

Pertanto, in una fase successiva alla formazione del silenzio assenso, l’amministrazione resistente sarebbe potuta intervenire soltanto attraverso l’esercizio di un potere di annullamento (o di revoca, art. 21 quinquies, della legge n. 241 del 1990), così come previsto dall’articolo 20, con l’avvertenza che tale forma di potere, in sede di autotutela decisoria, deve essere esercitata secondo il dettato del nuovo art. 21 nonies (richiamato dal comma 3 dell’articolo. 20), entro un ragionevole lasso di tempo, tenendo, altresì, conto di uno specifico interesse pubblico alla rimozione della situazione delineatasi con il silenzio assenso, nonché degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, sin da prima della citata novella alla legge n. 241 del 1990, gli atti di autotutela (sia l’annullamento che la revoca) sono stati in generale assoggettati ad alcune condizioni ed in particolare l’esistenza e la puntuale indicazione in motivazione di specifiche ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, nonché la considerazione, in sede di ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, del legittimo affidamento del destinatario dell’atto successivamente rimosso in via di autotutela (Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2006 n. 6465; Sez. V, 11 ottobre 2005 n. 5479; 24 settembre 2003, n. 5444; 2 settembre 2002, n. 3492).

Anche con riferimento al detto aspetto deve, tuttavia, rilevarsi come, recentemente, sia stato sostenuto, in senso contrario, che ".. anche ammesso, per mera ipotesi, che si fosse potuto formare il silenzio assenso, gli espressi provvedimenti dovevano essere considerati come revoche o quanto meno come provvedimenti di autotutela dei provvedimenti silenziosi formatisi… essendo fondati su specifici motivi di contrasto tra la richiesta… e le puntuali previsioni del relativo regolamento." (cfr. nei termini la già citata sentenza C.d.S., sez. V, 9 aprile 2010, n. 2000).

3. Tanto premesso nelle linee generali si tratta di verificare se, in concreto, nel caso all’esame, si siano verificati tutti i presupposti per ritenere che il provvedimento concessorio di cui trattasi sia venuto a formazione per silenzio.

3.1. L’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005, rubricato "Istruttoria della domanda", dispone che "…2. Il procedimento è concluso in 30 (trenta) giorni, ovvero in 60 (sessanta) giorni per le occupazioni ricadenti nella Città Storica, a decorrere dalla data di ricezione della domanda e, ove questa sia incompleta, dal perfezionamento della stessa…. ".

Poiché la richiamata disposizione regolamentare distingue, ai fini dell’individuazione del termine di conclusione del procedimento, a seconda della ubicazione dell’area interessata rispetto al perimetro della Città Storica, appare preliminare la verifica al riguardo.

Ed infatti la società ricorrente, sia nel ricorso introduttivo che nelle memorie difensive successive, ribadisce fortemente la non riconducibilità della via P. e della via Cremona all’interno del detto perimetro; in particolare viene sostenuto che non sarebbe stato fornito al riguardo alcun minimo riferimento normativo di carattere legislativo e/o regolamentare, contestandosi sul punto la relazione depositata in atti.

In ordine alla questione che interessa si osserva che il Nuovo PRG propone il concetto di Città storica come superamento di quello di Centro storico; il valore storico si estende, infatti, oltre le mura Aureliane ed è attribuito a tutti gli insediamenti ottonovecenteschi e di architettura contemporanea rappresentativi dell’identità e della memoria della comunità. All’interno della città storica sono individuati i diversi tipi di tessuto (medievale, rinascimentale, ottocentesco, ecc.), gli edifici e i complessi speciali e i diversi tipi di spazi aperti.

La Città storica identificata dal nuovo Piano è, pertanto, molto più estesa della zona A del Prg del 1962; se infatti precedentemente comprendeva la città costruita prima del 1870, sostanzialmente quella dentro le mura aureliane, adesso comprende la città novecentesca, realizzata fino all’ultima guerra.

I tessuti della Città Storica (individuati nell’elaborato 2. "Sistemi e Regole", planimetrie in rapporto 1:5.000ossia dodici carte in cui emergono le componenti della Città storica) sono tessuti urbani omogenei definiti, per i quali la cartografia in scala 1:5.000 e le Norme Tecniche di Attuazione definiscono le procedure e le regole della trasformazione puntuale.

I tessuti della Città Storica, in sostanza, sono le porzioni (isolati o parti di isolato) del territorio del Municipio individuate come tali dal NPRG del Comune di Roma e disciplinate negli artt. 24 e ss. delle NTA dello stesso.

Al riguardo, l’amministrazione comunale (Ufficio contenzioso) nella propria relazione di cui alla nota prot. n. 32814 dell’8.10.2010, dà atto che le vie interessate dalla richiesta occupazione ricadono all’interno del territorio del Municipio Roma III, il quale è interamente ricompreso all’interno del perimetro della Città Storica e, in quanto tale, annoverato tra le aree di indubbio patrimonio storico e culturale.

Alla luce di una puntuale affermazione al riguardo da parte dell’amministrazione procedente, non vi è motivo per dubitare che la dedotta circostanza corrisponda al vero, in mancanza di specifici elementi la cui allegazione è a carico di colui che la contesta; ed invece la difesa della ricorrente si è limitata a rilevare come le vie cittadine interessate dalla richiesta di rilascio della concessione non possano essere ritenute ricomprese nel detto perimetro.

Da quanto sopra esposto, consegue che il termine di conclusione del procedimento in questione, alla luce del chiaro tenore testuale della norma regolamentare di cui all’articolo 4 della D.C.C. n. 119/2005, era di 60 giorni (e non invece, come assunto dalla ricorrente di 30 giorni).

3.2. Tanto premesso quanto al termine di durata massima del procedimento da tenere in considerazione, ai fini dell’individuazione del dies a quo appare necessaria l’esatta ricostruzione in fatto della vicenda di cui trattasi della quale, pertanto, si ripercorrono sinteticamente le relative tappe:

– la sentenza di questa sezione n. 11500/2009, con la quale è stato annullato il diniego di rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, è stata depositata in data 23.11.2009;

– la società ricorrente ha inoltrato al comune la comunicazione di avvio della relativa attività in data 24.11.2009;

– l’istanza per il rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico è stata presentata in data 26.1.2010;

– il formale provvedimento di rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione è intervenuto in data 1.4.2010;

– la comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’articolo 10 bis della L. n. 241 del 1990 è stata effettuata in data 6.7.2010;

– le osservazioni e le controdeduzioni della società ricorrente sono state presentate in data 23.7.2010;

– il formale provvedimento di diniego di rilascio della richiesta concessione è stato, infine, adottato in data 12.8.2010.

La società ricorrente sostiene, in via principale, che il richiamato termine di conclusione debba decorrere dalla data di presentazione dell’istanza di rilascio della concessione (26.1.2010), atteso che, dalla data di deposito della sentenza di questa sezione n. 11500/2009 (23.11.2009), si doveva ritenere che la stessa fosse già titolare dell’autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.

La tesi, in realtà, non persuade.

In primo luogo si evidenzia come, con la richiamata sentenza, il diniego (motivato dall’amministrazione comunale, testualmente, "sulla base di quanto disposto dall’art. 25 della L.R. n. 21/2006 per cui vi sarebbe il divieto assoluto di rilascio di autorizzazioni sino all’emanazione dei criteri comunali in materia") sia stato annullato con la salvezza dei provvedimenti ulteriori dell’amministrazione comunale, sotto l’assorbente motivo di censura per cui "sono illegittimi i dinieghi e le limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali che si fondano esclusivamente su quote di mercato predefinite o calcolate in modo astratto e autoritativo" e "le limitazioni previste in materia hanno perso i loro presupposti normativi statali con l’entrata in vigore della normativa dettata dal D.L. n. 223/2006, convertito in L. n. 248/2006. Peraltro la L.R. Lazio n. 21/2006 prevede (in disparte ogni suo eventuale contrasto con i principi comunitari della concorrenza e della libera circolazione delle merci e dei servizi) la determinazione di criteri da parte dei Comuni (nel rispetto degli indirizzi definiti dalla G.R. come pubblicati in BURL 30.8.2007) ma tale attività non è ancora stata posta in essere dal Comune di Roma, configurando un’omissione dell’amministrazione che non può risolversi a danno degli istanti.".

In sostanza, l’accoglimento ha avuto ad oggetto i motivi di censura di cui al ricorso con i quali è stato dedotto il difetto di motivazione e di idonea istruttoria.

Ne consegue che non possa legittimamente ritenersi che, in virtù dell’esecutività della sentenza di primo grado, a decorrere dalla data del deposito della detta sentenza, si potesse legittimamente ritenere che la ricorrente fosse in possesso del relativo titolo autorizzatorio; l’amministrazione, sulla base delle scarne indicazioni fornite, era, invece, tenuta a dare avvio all’istruttoria della pratica che, nel caso di specie, era stata omessa proprio in virtù del richiamato divieto, ritenuto di per sé ostativo al rilascio.

Ne consegue che non può sostenersi fondatamente che il dies a quo nel caso di specie sia da rinvenirsi nella data di presentazione dell’istanza di rilascio della concessione.

Si ritiene, invece, che il detto termine debba essere individuato nella data del formale rilascio del relativo titolo autorizzatorio (1.4.2010); ed infatti soltanto alla predetta data si è realizzato il presupposto legittimante la richiesta di rilascio della concessione di occupazione.

La difesa della ricorrente sostiene al riguardo, da un lato, che trattasi di argomentazione nuova, dedotta in sede di diniego, ma non contenuta nel relativo preavviso di rigetto, e, dall’altro, che nessuna delle norme di cui alla D.C.C. n. 119/2005 richiederebbe necessariamente che, al momento della presentazione dell’istanza di rilascio della concessione di occupazione, l’interessato sia nel materiale possesso del titolo autorizzatorio alla somministrazione, che sarebbe, invece, necessario esclusivamente al momento dell’ottenimento della concessione.

Nessuna delle due argomentazione persuade.

Quanto alla prima, sebbene è vero che nella comunicazione dei motivi ostativi non è stata effettuata alcuna puntuale indicazione relativamente alla mancanza del titolo autorizzatorio al momento di presentazione dell’istanza di rilascio della concessione, tuttavia, è anche vero che questa è soltanto una delle molteplici argomentazioni addotte da parte dell’amministrazione al fini di addivenire alla negazione del richiesto rilascio e, peraltro, nemmeno quella ritenuta decisiva, e, d’altronde, l’argomento è stato diffusamente trattato negli scritti difensivi.

Quanto alla seconda, invece, dalla complessiva lettura della D.C.C. n. 119/2005 emerge come l’occupazione di suolo pubblico sia necessariamente strumentale ad un esercizio di somministrazione del quale costituisce l’estrinsecazione nell’area esterna immediatamente prospiciente che ne rappresenta, pertanto, l’espansione verso l’esterno. Ne consegue che deve ritenersi che il termine per la conclusione del procedimento di rilascio della relativa concessione non può se non decorrere dalla data in cui il richiedente sia in possesso del titolo autorizzatorio che ne costituisce il presupposto legittimante.

Ed infatti, in particolare, l’articolo 3 bis, rubricato "Contenuto della domanda", dispone che "1. La domanda di concessione deve contenere i seguenti dati:… f) attività che si intende esercitare sul suolo pubblico con gli estremi della relativa autorizzazione -ove prescritta- e dell’autorità che ha provveduto al suo rilascio;… "; inoltre l’articolo 4 ter, rubricato "Limiti soggettivi al rilascio delle concessioni", dispone che "1….sono legittimati all’ottenimento della concessione soltanto i titolari di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande…".

Poiché nel caso di specie l’attività che si intende esercitare con l’occupazione del suolo pubblico richiesta è proprio quella della somministrazione al pubblico di alimenti e bevande per la quale è necessario il previo rilascio del relativo titolo autorizzatorio, è evidente che, ai fini della procedibilità della domanda, sia necessaria l’indicazione, nel corpo della stessa, dell’autorizzazione in questione; ne consegue che, come in precedenza rilevato, soltanto dalla data del rilascio del detto titolo decorre il termine massimo di conclusione del procedimento per la concessione di occupazione.

Al fine di suffragare la propria tesi, da ultimo, la difesa della ricorrente ha ritenuto di dovere valorizzare la circostanza che, in sede di sopralluogo effettuato in data 1.3.2010 ai fini del riscontro in ordine alla occupazione del suolo pubblico, nulla sia stato rilevato da parte degli organi competenti presenti relativamente all’eventuale illegittimità dell’attività di somministrazione in quanto effettuata in assenza del formale titolo autorizzatorio (che sarebbe, invece, stato rilasciato soltanto in data 1.4.2010).

Anche la predetta osservazione non coglie nel segno.

Ed infatti non può attribuirsi alcuna rilevanza dirimente al riguardo, potendosi osservare che se effettivamente l’amministrazione avesse dato per scontato che la ricorrente fosse nel possesso del titolo avrebbe potuto esimersi dal provvedere successivamente al rilascio del titolo formale.

In realtà deve ritenersi che il sopralluogo avesse esclusivamente ad oggetto la verifica dell’effettiva occupazione del suolo pubblico e la relativa estensione.

3.3. Tanto premesso, atteso che l’amministrazione comunale ha provveduto alla comunicazione del preavviso di rigetto di cui all’articolo 10 bis della L. n. 241 del 1990 soltanto in data 6.7.2010, deve ritenersi che, a quel momento, il termine di conclusione del procedimento in questione era già ampiamente decorso.

4. Si tratta, pertanto, a questo punto di verificare se, al fine della formazione del provvedimento implicito per silenzio, sia sufficiente l’inutile decorso del termine massimo di durata del procedimento.

L’amministrazione comunale, infatti, nei propri scritti difensivi insiste, in modo particolare, sulla rilevanza ostativa al riguardo del mancato rilascio dei pareri di cui all’articolo 4 bis della D.C.C. n. 119/2005.

La richiamata disposizione regolamentare, rubricata "Pareri preventivi obbligatori", dispone che "2. L’ufficio comunale competente al rilascio della concessione deve chiedere, inoltre, i pareri preventivi ed obbligatori dei seguenti uffici:

a) del Servizio Giardini,…;

b) della Sovrintendenza ai beni culturali del Comune di Roma,quando le occupazioni di suolo pubblico interessano ville, palazzi,manufatti con interesse storico ed archeologico, nonché zone, strade e piazze con valore artistico e paesaggisticomonumentale;

c) del Dipartimento Politiche della Mobilità,….

3. Per il rilascio delle concessioni per l’occupazione del suolo pubblico, sia permanente che temporanea, ricadenti nel territorio della Città Storica, deve essere acquisito il parere preventivo ed obbligatorio dell’Ufficio per la Città Storica e della Sovrintendenza ai beni culturali del Comune di Roma….

5. I pareri previsti dal comma 1 e dalle lettere a), b) e c) del comma 2 devono essere comunicati all’Ufficio comunale richiedente entro 15 (quindici) giorni dal ricevimento della richiesta. La mancata espressione nei termini vale come parere favorevole, salvo i casi previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

I pareri di cui al comma 3 devono essere comunicati all’Ufficio comunale richiedente entro 30 (trenta) giorni dal ricevimento della richiesta.".

Da quanto esposto consegue che, rientrando le vie interessate nel perimetro della Città storica, ai fini del rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico, era necessario il previo rilascio del parere obbligatorio della Sovrintendenza ai beni culturali del Comune di Roma, che avrebbe dovuto essere comunicato nel termine dei 30 giorni dalla ricezione della richiesta.

Peraltro, per quanto attiene al parere in questione, la norma regolamentare richiamata non prevede che, in mancanza di espressione dello stesso nel termine indicato, l’inerzia valga quale rilascio di parere favorevole (a differenza di quanto previsto per gli altri pareri); e la circostanza si spiega in quanto il comma 2 comprende i pareri rilasciati da organi comunali dotati di diverse specifiche competenze, e, tra questi, anche il parere della Sovrintendenza comunale, al quale deve intendersi riferita la clausola di salvezza rappresentata dal richiamo ai limiti di cui alla legge generale sul procedimento.

La conseguenza è che il meccanismo del silenzio assenso non può trovare applicazione nel caso di specie, attesa la rilevanza degli interessi coinvolti ed alla cui tutela è preordinato il rilascio del parere di cui trattasi.

Ed infatti l’articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 dispone che "4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico…".

E, ai sensi del richiamato comma, non può ritenersi che, alla scadenza del sessantesimo giorno dalla presentazione dell’istanza di rilascio di una concessione temporanea di occupazione di suolo pubblico, si sia formato il silenzio assenso, ricadendo il relativo procedimento, in virtù della chiara previsione dell’art. 4 bis, comma 3, della deliberazione consiliare n. 119 del 2005, tra quelli esclusi dall’ambito applicativo dell’articolo 20, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (cfr. nei termini T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter, 9 luglio 2008, n. 6474).

Né si ritiene che possa essere richiamata, in senso contrario, quella giurisprudenza secondo la quale, premesso che i procedimenti che riguardano le autorizzazioni all’insediamento di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande non rientrano in nessuna delle materie di cui al comma 4 dell’articolo 20, la circostanza che si faccia questione di provvedimenti assoggettati a "contingentamento" o a "parametri numerici" o a "criteri di programmazione" non preclude l’applicazione della disciplina relativa al silenzio assenso (cfr. T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 18 giugno 2008, n. 1799): quella giurisprudenza non considera infatti l’ipotesi, rilevante in questa sede, che il procedimento subordini il rilascio del titolo al parere preventivo obbligatorio da parte dell’orgono comunale deputato alla tutela del patrimonio culturale ed artistico della città.

Peraltro la ricorrente, come si evince dalla lettura dell’epigrafe nonché del testo del ricorso, si è premurata di impugnare la D.C.C. n. 119/2005 esclusivamente con riferimento agli articoli 4 ter, 4 quater, 1, 8 e 14 (attinenti, tuttavia, a diversi aspetti della vicenda che interessa).

Non si è, invece, premurata di impugnare la detta deliberazione anche relativamente al disposto dell’articolo 4 bis nella parte in cui, richiedendo i pareri preventivi ed obbligatori in questione, possa (ed anzi debba) essere interpretato in senso ostativo all’intervenuta formazione del silenzio assenso nel caso di specie; ha, invece, esclusivamente diffusamente argomentato l’interpretazione dalla stessa propugnata della detta norma.

Peraltro, si conferma la coerenza della disciplina regolamentare con la norma legislativa che individua i principi generali nella materia, in precedenza già rilevata.

5. Passando alla valutazione del merito del diniego opposto alla ricorrente, deve rilevarsi come, con l’impugnato provvedimento, l’amministrazione comunale abbia richiamato sul punto il parere negativo della Polizia Municipale di cui alla nota prot. n. CC/3556 del 31.3.2010; con il detto parere è stato posto in rilievo che l’occupazione richiesta ricade integralmente sulla sede stradale sulla quale è vigente la segnaletica orizzontale e verticale indicante la sosta tariffata.

In sostanza il diniego è stato motivato per il contrasto con la disposizione di cui all’articolo 4 quater, comma 3, della D.C.C. n. 119/2005 e, quindi, con il punto 4.2.2. del P.G.T.U.Piano generale del traffico urbano, approvato con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 84/1999 del 28.6.1999.

L’articolo 4 quater, rubricato "Limiti derivanti dall’attuazione del punto 4.2.2. del P.G.T.U.", dispone, al comma 1, che "1. Il rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico è subordinata al rispetto delle disposizioni del Nuovo Codice della Strada e del vigente Piano Generale del Traffico Urbano (P.G.T.U.)."; il successivo comma 2, aggiunge che "Sulle sedi stradali della viabilità principale non sono consentite nuove occupazioni di suolo pubblico. Con successivo provvedimento la Giunta Comunale individuerà le aree sulla cui viabilità locale è possibile rilasciare le occupazioni di suolo pubblico eliminando la tariffazione della sosta. Lo stesso provvedimento definirà i criteri e le modalità per il rilasciosuddetto.".

Infine, per quanto di interesse in questa sede, il comma 5 precisa che per viabilità principale si intende l’insieme delle strade classificate tali dal Piano Generale del Traffico Urbano approvato con deliberazione consiliare n. 84 del 28.06.1999 e successive integrazioni ed aggiornamenti (di cui alla deliberazione del Consiglio Comunale del 25.2.2005) "nonché le strade che saranno classificate viabilità principale da successivi provvedimenti dell’amministrazione comunale".

Si premette, al riguardo che, con la deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 30/31 luglio 2010 sono state apportate modificazioni all’articolo che interessa; in particolare è stato riformulato proprio il comma 3, relativo alle occupazioni sulle aree di sosta tariffate, in quanto si è ritenuto che il testo previgente avesse dato luogo a diverse interpretazioni ed all’insorgere di contenziosi. E’ stato, infatti, eliminato il secondo capoverso in cui si faceva riferimento alla possibilità che, con un successivo provvedimento della Giunta comunale, potessero essere individuati i criteri per il rilascio di autorizzazioni di occupazione di suolo pubblico su aree di viabilità locale con l’eliminazione della tariffazione della sosta.

Nelle intenzioni dell’amministrazione comunale la nuova formulazione del testo valorizzerebbe il carattere precettivo della norma contenuta nel primo capoverso del comma in esame, che stabilisce espressamente il divieto di consentire nuove occupazioni sulle aree di sosta tariffate insistenti sulla viabilità principale, non esprimendosi più in senso programmatico sulla circostanza che in futuro possano essere deliberati i menzionati criteri per l’individuazione di ulteriori aree autorizzabili per occupazioni di suolo pubblico.

Tuttavia, deve ritenersi che, in ogni caso, essendo intervenuta successivamente alla comunicazione di avvio ed alla presentazione delle osservazioni da parte della ricorrente (sebbene non anche della conclusione formale del procedimento di cui trattasi intervenuto in data 12.8.2010), la modificazione contenuta nella richiamata recente deliberazione C.C., in quanto operante in senso peggiorativo per l’interessato (poiché preclude in assoluto il rilascio delle concessioni nella viabilità locale su cui insista la tariffazione), non possa trovare applicazione nel caso di specie.

Ne consegue che la sopra richiamata norma regolamentare non lascia alcun margine di apprezzamento in capo all’amministrazione, escludendo recisamente la possibilità di rilascio di concessioni di occupazione di suolo pubblico sulla viabilità principale e, in tal senso, depone, altresì, chiaramente l’elencazione tassativa dei casi di possibile deroga al detto divieto.

L’Allegato1 alla deliberazione del Consiglio Comunale del 25.2.2005, avente ad oggetto l’aggiornamento del PG.T.U. di cui alla precedente deliberazione n. 84/1999, contiene l’ "Elenco strade della viabilità principale"; nel detto elenco non compaiono né via Cremona né via P. che, pertanto, devono essere ricondotte alla viabilità locale.

Si premette, in linea generale, che le ipotesi fissate nella delibera C.C. n. 119/2005 costituiscono un autovincolo che il Comune di Roma si è imposto; ciò vale, in particolare, anche per la fattispecie all’esame.

Il secondo capoverso del comma 3 dell’articolo 4 quater, nel suo testo originario, in vigore alla data di adozione del provvedimento impugnato, faceva puntuale riferimento alla possibilità che, con un successivo provvedimento della Giunta comunale, venissero individuati i criteri per il rilascio di autorizzazioni di occupazione di suolo pubblico su aree di viabilità locale con l’eliminazione della tariffazione della sosta; è evidente che, pertanto, non sussistesse un divieto assoluto per le zone tariffate della viabilità locale..

Al riguardo, se in un primo momento, è stato affermato che "In mancanza del regolamento che la Giunta dovrà adottare, gli organi comunali non possono rilasciare permessi. Di conseguenza, l’inerzia in ordine alla domanda di rilascio di concessione di occupazione di suolo pubblico non è colpevole, ma è giustificata dall’assenza della regolamentazione generale in materia." (T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter, 4 dicembre 2006, n. 13666), si è successivamente avuto un mutamento di orientamento; si è, quindi, rilevato che, essendo le aree oggetto della richiesta di concessione classificate come aree di viabilità locali, e non sussistendo per le stesse, ai sensi del vigente regolamento del traffico urbano, il divieto assoluto di occupazione, previsto solo per le aree tariffate di viabilità principale, in definitiva l’amministrazione era obbligata a valutare in concreto la possibilità di eliminare la sosta e di rilasciare la concessione (T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter, 24 luglio 2008, n. 7388 e, idem, 8 luglio 2009, n. 6580). Ne consegue, evidentemente, l’obbligo di una nuova valutazione dell’istanza avanzata dall’interessato da parte dell’amministrazione, senza poter addurre a fondamento del diniego la mera mancanza della delibera della giunta attuativa dei principi fissati nell’atto regolamentare.

Ed infatti "la norma suddetta non può essere interpretata nel senso che fino all’adozione dei provvedimenti da parte della Giunta comunale è inibito agli organi competenti dell’Amministrazione il rilascio delle concessioni; posto che una tale opzione ermeneutica avrebbe l’effetto di provocare, sulla base di una norma regolamentare (la delibera C.C. n. 119/2005), l’interruzione dell’esercizio del potere riconosciuto dalla legge all’ente pubblico (ovvero il rilascio delle concessioni di occupazione di suolo pubblico, sulla base dei DD.Lgs n. 446/1997 e n. 285/1992, in combinato disposto con l’art. 2 della legge n. 241/1990), ciò in ragione del comportamento inerte di un altro organismo facente parte dello stesso ente.

Inerzia che, oltre a non essere preventivabile temporalmente, dura da circa quattro anni, inibendo così la valutazione in concreto delle istanze di concessione di occupazione di suolo pubblico nelle aree di viabilità locale.

La mancata individuazione delle aree e dei criteri di rilascio delle concessioni di cui trattasi non consente comunque all’Amministrazione, a fronte di apposite istanze degli interessati, di trincerarsi dietro l’inerzia degli organi competenti per non valutare nel merito il contenuto delle domande di concessione in quell’area, sottraendosi così alle proprie prerogative consistenti nell’esercitare il potere discrezionale in modo tale da verificare, nel caso concreto, la possibilità di giungere ad un punto di incontro in grado di contemperare le esigenze dei privati con quelle della collettività…. Il principio di efficienza dell’azione amministrativa, sotteso dall’art. 97 della Costituzione e ripreso dalla legge generale sui procedimenti delle pubbliche amministrazioni ( L. 7.8.1990 n. 241) esclude la legittimità di arresti soprassessori sulle istanze degli amministrati, se genericamente posti e senza limite di durata.

Pertanto, la mancanza delle preliminari attività amministrative di indirizzo e di direttiva, peraltro rese obbligatorie dall’art. 4 quater, comma 3, della delibera C.C. n. 119/2005, non può concretare causa lecita di reiezione delle domande di occupazione di suolo pubblico fondate su qualificato titolo all’esercizio dell’iniziativa economica in campo commerciale.

L’Autorità amministrativa è tenuta a pronunciarsi sulle domande di occupazione, e può respingerle per mancanza dei requisiti (qualora accertata), ma non per l’assenza di attività che essa stessa è tenuta a porre in essere.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto con assorbimento delle altre censure e conseguente annullamento" (T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter, 8 luglio 2009, n. 6580).

Il comune ha richiamato al riguardo nel testo del provvedimento impugnato le deliberazioni della Giunta Municipale nn. 257 e 281 del 2008, delle quali, tuttavia, la ricorrente ha contestato la rilevanza ai fini che interessano.

Effettivamente, con le predette deliberazioni, si è proceduto all’approvazione della nuova perimetrazione della zona di particolare rilevanza urbanistica e della nuova disciplina per la sosta tariffata, non risulta, invece, che sia anche stata data contestualmente attuazione al disposto di cui al secondo capoverso del comma 3 dell’articolo 4 quater della D.C.C. n. 119/2005.

Ne consegue che, per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto e per l’effetto deve essere annullata la determinazione dirigenziale n. 859 del 4 agosto 2010 avente ad oggetto il diniego di concessione di occupazione di suolo pubblico, nonché la consequenziale determinazione dirigenziale n. 873 del 6 agosto 2010 con cui, sul presupposto dell’intervenuto diniego, è stata disposta la rimozione dell’occupazione abusiva di suolo pubblico

Per quanto attiene, poi, agli ulteriori provvedimenti impugnati, come risultanti dall’epigrafe del ricorso introduttivo nonché del ricorso per motivi aggiunti, si rileva che gli stessi attengono alla questione di merito da ultimo affrontata e relativa alla esistenza della sosta tariffata sulla viabilità principale; la relativa questione è stata affrontata e risolta nei termini che precedono.

5. Con il ricorso introduttivo e con il successivo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha insistito ai fini della condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento dei danni conseguenti.

La domanda non può essere accolta.

Rileva, infatti, la circostanza che dall’annullamento dei provvedimenti impugnati non deriva in modo diretto ed immediato l’accoglimento dell’istanza di concessione di occupazione di suolo pubblico, dovendo pur sempre l’amministrazione provvedere ad istruirla in modo completo e corretto, verificando se sussistano i presupposti per l’emanazione del provvedimento richiesto, il che già di per sé esclude la possibilità del riconoscimento del risarcimento del danno conseguente al mero accoglimento del ricorso di primo grado (in termini, tra le altre, C.d.S., sez. VI, 25 settembre 2009, n. 5776, secondo cui la mera adozione di un atto amministrativo illegittimo rappresenta solo uno degli elementi costitutivi di una fattispecie a formazione progressiva, che colloca il diritto al risarcimento del danno al momento in cui, dopo la rinnovazione del procedimento annullato, l’amministrazione abbia adottato, spontaneamente o a seguito del giudizio di ottemperanza, un provvedimento favorevole all’interessato).

Inoltre, secondo un consolidato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, ai fini del risarcimento dei danni asseritamente provocati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo l’interessato, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2697 C.C., è tenuto a fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno (C.d.S., A.P. 30 luglio 2007, n. 10; sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; sez. IV, 2 marzo 2004, n. 973).

Con il ricorso introduttivo si è fatto rinvio ai futuri scritti difensivi (salva l’indicazione delle spese, non quantificate, per l’acquisto e la collocazione degli arredi con i quali è stata materialmente posta in essere l’occupazione); con il ricorso per motivi aggiunti è stato dato atto che l’accoglimento dell’istanza cautelare ha scongiurato la produzione di danni irreparabili e che, tuttavia, la ricorrente sopporta i danni "legati alle spese che la stessa sta sopportando ogni qual volta decida di intraprendere (o di estendere) la propria attività commerciale all’interno del Comune di Roma", e ancora che i danni sarebbero stati meglio specificati nel proseguo; infine, con la memoria di replica, ha ribadito la natura dei danni richiesti (derivanti dalla necessità di agire giudizialmente per la tutela dei propri interessi) quantificandoli in euro 2.000,00.

Non si ritiene che, pertanto, sussistano i presupposti per l’accoglimento della relativa domanda risarcitoria.

Attesa la complessità delle questioni sottese, si ritiene di dovere disporre la compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte, lo accoglie ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione e per l’effetto annulla le determinazioni dirigenziali n. 859 del 4 agosto 2010 e n. 873 del 6 agosto 2010, salvi i provvedimenti dell’amministrazione e, per la parte che residua, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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