Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 14885 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che F.E., proprietario di un appartamento al primo piano di un edificio sito in (OMISSIS), ha convenuto M.E., proprietario dell’appartamento al piano superiore, dinanzi al Tribunale di Massa e – assumendo che quest’ultimo aveva edificato su una porzione del pianerottolo e del vano scale, sottraendoli all’uso condominiale – ne ha chiesto la condanna al ripristino dello stato dei luoghi;

che il convenuto ha resistito in giudizio, rilevando che le porzioni dell’immobile reclamate erano di sua proprietà;

che il Tribunale di Massa ha rigettato la domanda;

che la Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata in detta 13 maggio 2009, ha accolto il gravame del F. ed ha condannato il M. al ripristino dei luoghi, con demolizione della parte di costruzione edificata sulle parti comuni dell’edificio;

che, in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che, in mancanza di un titolo contrario, è operante nella specie la presunzione di comproprietà di cui all’art. 1117 cod. civ., trattandosi del pianerottolo inserito nelle scale che conducono, come unica via di accesso, alla copertura dell’edificio condominiale;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 9 giugno 2010, sulla base di due motivi;

che l’intimato ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata nella decisione del ricorso;

che con il primo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto) si pone il quesito se l’indagine da svolgere per valutare l’esistenza di un titolo valido che consenta il superamento della presunzione di comproprietà del bene comune di cui all’art. 1117 cod. civ., debba o meno essere svolta avendo riguardo al contenuto complessivo dell’atto e tenendo presenti le regole dell’ermeneutica fissate nell’art. 1362 cod. civ., art. 1363 cod. civ., e segg., ovvero debba limitarsi a riscontrare se nell’atto il bene sia stato espressamente attribuito in proprietà esclusiva;

che il secondo mezzo denuncia omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per la mancata considerazione della espressa ed inequivocabile volontà del donante;

che i motivi – i quali, stante la loro connessione, possono esserci esaminati congiuntamente – sono infondati;

che il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune;

che di tali parti l’art. 1117 cod. civ., fa un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa;

che la disposizione può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacchè la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario; ma principalmente la norma può essere derogata dal titolo, vale a dire da un atto di autonomia privata che, espressamente, disponga un diverso regime delle parti di uso comune (Cass., Sez. 2^, 9 giugno 2000, n. 7889);

che – facendo applicazione di detto principio ed interpretando il negozio di donazione da cui è sorto il condominio – la Corte d’appello ha rilevato che nel titolo non è fatta alcuna menzione espressa dei beni controversi, scale e ballatoio del secondo piano, per attribuirli alla proprietà esclusiva del condomino che ha compiuto le opere in contestazione ; e che, dal punto di vista della natura e della destinazione, "il pianerottolo è inserito nelle scale che conducono, come unica via di accesso, alla copertura dell’immobile", con la conseguenza che "la copertura dell’edificio, parte comune, attrae in sè, ed in tale natura, anche il ballatoio- pianerottolo connesso alle scale che ad essa conducono";

che l’interpretazione del titolo negoziale, essendo sorretta da una motivazione congrua, immune da vizio logico o da errori di diritto, è incensurabile in questa sede;

che il ricorso, al di là del richiamo anche alla violazione e falsa applicazione di norme di legge, si risolve in una critica del risultato raggiunto dal giudice del merito e nel contrapporre alla interpretazione della donazione data da questo giudice la diversa ermeneusi sostenuta e ritenuta esatta dalla parte;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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