Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-02-2011) 13-04-2011, n. 15019 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1^) S.A.M. ha proposto ricorso avverso l’ordinanza 23 novembre 2010 del Tribunale di Brescia, sezione per il riesame, che ha rigettato l’appello proposto – ex art. 310 c.p.p. – contro l’ordinanza 29 ottobre 2010 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo che aveva respinto la richiesta di retrodatazione, ai sensi dell’art. 297, comma 3 del codice di rito, dei termini di durata della misura cautelare della custodia in carcere emessa il 6 novembre 2009 (per reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti).

In particolare il ricorrente chiedeva la retrodatazione degli effetti della seconda misura alla data di esecuzione della analoga misura emessa, per reati concernenti la medesima materia, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, il 1 agosto 2008. 2^) Il Tribunale, dopo aver compiuto una disamina dello stato della giurisprudenza sul tema delle c.d. "contestazioni a catena", ha confermato il provvedimento impugnato osservando: che le misure erano state emesse nell’ambito di due procedimenti diversi; che nell’ambito del primo procedimento il ricorrente era stato condannato alla pena detentiva di anni otto di reclusione ridotta in appello ad anni sette; che i fatti di cui alla seconda misura risultavano commessi anteriormente a quelli di cui alla prima ordinanza; che esisteva un rapporto di connessione qualificata tra i fatti di cui alle due ordinanze essendo ravvisabile la continuazione, tra i medesimi; che doveva escludersi che i fatti di cui alla seconda ordinanza fossero desumibili dagli atti di cui all’altro procedimento.

A quest’ultima conclusione il Tribunale è pervenuto rilevando che i fatti di cui alla seconda ordinanza erano emersi da indagini per la gran parte svolte dopo l’emissione della prima misura.

L’ordinanza impugnata evidenzia poi la "non arbitrarietà" della formazione di due autonomi procedimenti, iscritti sulla base di due separate notitiae criminis senza alcun intervento discrezionale del pubblico ministero che, al momento dell’emissione della prima misura non aveva a disposizione gli atti posti a fondamento della seconda.

3^) Contro il provvedimento del Tribunale per il riesame ha proposto ricorso S.A.M. il quale ha contestato integralmente le conclusioni cui è pervenuto il giudice dell’appello.

Con il primo motivo di censura il ricorrente deduce i vizi di violazione di legge e quello di manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il provvedimento impugnato esclude la retrodatazione della seconda misura malgrado l’esistenza della connessione qualificata, riconosciuta dal Tribunale, tra i reati oggetto delle due ordinanze.

Errata sarebbe poi la valutazione del Tribunale secondo cui i fatti di cui alla seconda misura non erano desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima misura.

4^) I temi proposti con il ricorso riguardano il tormentato problema dell’interpretazione del comma 3, dell’art. 297 del codice di rito.

Il ricorrente si duole che il Tribunale abbia ritenuto di negare l’applicabilità dell’istituto delle c.d. contestazioni, "a catena", previsto dalla norma indicata – che consente di far retroagire al momento dell’esecuzione di una prima misura il decorso dei termini di custodia cautelare nel caso in cui la seconda misura riguardi lo stesso fatto ovvero fatti connessi anteriormente commessi – perchè non avrebbe tenuto conto della circostanza che già inizialmente erano desumibili dagli atti gli elementi utilizzati per la seconda ordinanza.

Le censure proposte richiedono una ricostruzione del complesso quadro normativo e giurisprudenziale essendo stata, la materia, oggetto di plurimi interventi sia della giurisprudenza di legittimità (comprese diverse decisioni delle sezioni unite) che di interventi della Corte costituzionale.

Secondo l’orientamento di legittimità prevalente fino ad una certa epoca, la seconda parte del comma 3 dell’art. 3, in esame era ritenuta non prevedere una disciplina alternativa a quella generale prevista dalla prima parte del comma; si affermava infatti che fosse soltanto stabilita una disciplina diversa tra il caso in cui era avvenuto, e quello in cui non era avvenuto, il rinvio a giudizio nel senso di escludere il requisito della desumibilità dagli atti solo in questa seconda ipotesi.

Si riteneva dunque che la norma si limitasse a precisare che, prima del rinvio a giudizio, la sua applicabilità soffriva un’eccezione costituita dalla desumibilità dagli atti dei fatti per i quali è stata emessa la seconda ordinanza.

Se invece il rinvio a giudizio era già avvenuto la conseguenza era che per la desumibilità dagli atti doveva farsi riferimento al momento del medesimo rinvio a giudizio e non più all’emissione della prima misura (in questo senso, sul momento cui occorre far riferimento ai fini della "desumibilità", cons. Cass., sez. 5^, 19 dicembre 2002 n. 3632, Termini, rv. 224283, oltre alla sentenza delle sezioni unite, Atene, di seguito citata).

Si era ritenuto che questa interpretazione fosse conforme allo scopo della norma che è quello di evitare che possano eludersi i termini massimi di custodia cautelare frazionando le imputazioni quando queste già risultavano dagli atti ed erano conosciute, o almeno conoscibili, dall’autorità giudiziaria procedente.

Ma se i fatti erano emersi da indagini successivamente svolte non vi sarebbe stata ragione, secondo questo orientamento interpretativo, che giustificasse l’applicazione della disciplina derogatoria prevista dal comma 3 in esame.

Questa interpretazione, espressa dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, era stata accolta anche dalle sezioni unite con la sentenza 25 giugno 1997 n. 9, Atene, rv. 208167, che avevano ritenuto che "la desumibilità dagli atti, espressamente richiamata nel secondo periodo del comma 3, vada a costituire criterio applicativo dell’intera previsione dell’art. 297, comma 3, ad essa conferendo razionalità e certezza, e nel contempo costituisce garanzia verso applicazioni improntate ad un irragionevole automatismo". 5^) Questo quadro interpretativo è mutato radicalmente con la pronunzia delle sezioni unite di questa Corte in data 22 marzo 2005 n. 21957, Rahulia, rv. 231057-59. 1 Con un’interpretazione più aderente al tenore letterale della norma – che prevede esclusivamente nel secondo caso indicato nel comma 3 (rinvio a giudizio per il fatto oggetto della prima misura) il requisito della desumibilità dagli atti per consentire la retrodatazione – le sezioni unite hanno precisato che, nel caso di cui alla prima parte (rinvio a giudizio non ancora avvenuto), l’istituto del divieto delle contestazioni a catena, e quindi la retrodatazione, opera (purchè si tratti del medesimo fatto o purchè sussista la connessione qualificata tra i fatti dei due procedimenti) indipendentemente dalla circostanza che i fatti, cui tali provvedimenti si riferiscono, siano desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza.

Le sezioni unite hanno anche precisato che, nel caso in cui non esista connessione qualificata, la retrodatazione della seconda misura si verifica ugualmente purchè, in questo caso, i fatti di cui alla seconda ordinanza fossero già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza.

L’interpretazione data dalle sezioni unite sulla desumibilità dagli atti per fatti non connessi ha poi trovato conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 2005 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 297 c.p.p., comma 3 proprio nella parte che non consentiva (secondo l’interpretazione difforme prevalente prima della sentenza delle sezioni unite) la retrodatazione nel caso di desumibilità dagli atti al momento della prima ordinanza anche in mancanza di connessione qualificata.

6^) Alla sentenza Rahulia è seguita altra decisione delle sezioni unite (sentenza 19 dicembre 2006 n. 14535, Librato, rv. 235909-11) che ha precisato ulteriormente alcuni aspetti del problema.

In particolare la sentenza Librato ha precisato che la disposizione del comma 1 "riguarda normalmente fatti oggetto del medesimo procedimento, dato che questi, per la loro connessione, sono destinati ad essere trattati congiuntamente".

Ma la retrodatazione opera, nel caso previsto dall’ultima parte dell’art. 297, comma 3, anche nel caso di procedimenti diversi, quando i fatti di cui alla seconda ordinanza erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per i primi.

La sentenza riassume i principi cui il giudice di merito deve attenersi e che possono essere così sintetizzati:

– se si tratta di fatti connessi devono essere riuniti nel medesimo procedimento e la retrodatazione opera in ogni caso;

– se i fatti legati da connessione qualificata formano oggetto di diversi procedimenti l’indagato non deve subirne un pregiudizio e la retrodatazione opera comunque a meno che sia possibile escludere che i fatti fossero già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima misura;

– nell’ambito del medesimo procedimento la retrodatazione opera comunque, indipendentemente dall’esistenza della connessione qualificata, se, al momento dell’emissione della prima misura, i fatti erano già desumibili dagli atti.

Restava da risolvere il problema (che coinvolgeva anche l’estensione della già ricordata dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale) relativo ai casi di ordinanze emesse in procedimenti diversi e relative a fatti non legati da connessione qualificata.

Su questo aspetto del problema la sentenza Librato ha intanto escluso che la retrodatazione possa operare quando i procedimenti siano di competenza di diverse autorità giudiziarie.

Se invece i procedimenti appartengono alla competenza della medesima autorità giudiziaria la sentenza Librato ha escluso che la retrodatazione possa operare automaticamente se i fatti di cui al secondo procedimento, pur fondandosi su elementi già presenti nel primo, siano fondati su "elementi probatori che non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato", quando cioè "la presa di conoscenza e la elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede tempi non brevi, che danno ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento penale".

Se invece – è la conclusione della sentenza Librato – la separazione è frutto di una scelta discrezionale del pubblico ministero opera la retrodatazione anche in mancanza di connessione qualificata. E la medesima sentenza precisa come sia da escludere, in linea di massima, che la separazione sia frutto di una scelta del p.m. nei casi di diverse notizie di reato pervenute al p.m. a distanza di tempo.

7^) Per ragioni di completezza espositiva del quadro della giurisprudenza su questo tema va infine ricordato che le sezioni unite di questa Corte (v. sentenza 23 aprile 2009 n. 20780, Iaccarino, rv. 243322) hanno affermato che la disciplina prevista dall’art. 297, comma 3 del codice di rito – e la conseguente retrodatazione ai fini della determinazione dei termini massimi di carcerazione preventiva quando si verifichino i presupposti previsti dalla norma medesima – non opera nell’ipotesi in cui per i fatti contestati con la prima ordinanza l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato prima dell’adozione della seconda misura.

Le sezioni unite hanno infatti rilevato che, una volta passata in giudicato la sentenza che ha concluso il primo procedimento vengono meno, anche da un punto di vista lessicale, i riferimenti cui occorre aver riguardo per l’applicabilità della norma: l’esistenza di un imputato e di una misura cautelare.

Con la formazione del giudicato ci si trova infatti in presenza di un condannato e dell’espiazione di una pena; di talchè viene anche meno la possibilità di ipotizzare un "prolungamento" dell’esecuzione della misura cautelare così come diviene difficile, in questi casi, ipotizzare un atteggiamento "strumentale" del pubblico ministero per prolungare artificiosamente la carcerazione preventiva.

Si consideri ancora come l’ipotesi più grave prevista dalla norma in esame (quella che si proceda per il "medesimo fatto") trovi un’adeguata tutela nel disposto dell’art. 649 del codice di rito che fa divieto di iniziare un nuovo procedimento, anche di natura cautelare, per lo stesso fatto.

E’ ancora da aggiungere, sempre per ragioni di completezza espositiva, che la prima sezione di questa Corte, con ordinanza 28 ottobre 2010, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3 nella parte in cui impedisce la retrodatazione della custodia cautelare nelle ipotesi in cui per i fatti contestati nella prima ordinanza l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato prima dell’adozione della seconda misura con riferimento agli artt. 3, 13 e 27 Cost..

8^) Quali sono le conseguenze che derivano, nel presente procedimento, dell’applicazione dei principi enunciati? Sul primo presupposto – l’esistenza della connessione qualificata tra i fatti oggetto delle due ordinanze di custodia cautelare – si è già precisato che il provvedimento impugnato ha motivato in senso positivo sull’esistenza di tale requisito ravvisando la continuazione tra i reati oggetto delle due ordinanze.

Ma, contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, l’esistenza della connessione qualificata, in base ai principi affermati dalle sezioni unite nelle ricordate sentenze, non è sufficiente per consentire la retrodatazione perchè – trattandosi di procedimenti separati (oltre tutto pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie per cui neppure potrebbe affermarsi l’esistenza di un’artificiosa separazione dei procedimenti da parte del pubblico ministero) – occorre accertare altresì che i fatti oggetto della seconda ordinanza fossero desumibili dagli i atti al momento dell’emissione della prima ordinanza, come precisato dalla sentenza Librato.

Ciò è stato motivatamente escluso dall’ordinanza impugnata che ha precisato come i fatti oggetto della seconda ordinanza siano i emersi nel corso di una complessa indagine su un’organizzazione di narcotrafficanti operanti a livello internazionale protrattasi, anche nel 2009 e con sequestri di sostanze stupefacenti avvenuti in quest’anno.

Si tratta di un apprezzamento incensurabile perchè riguardante la valutazione del materiale probatorio o indiziario e dunque riservato al giudice di merito che ha adeguatamente e logicamente motivato il proprio convincimento.

Ne consegue l’infondatezza delle censure proposte che peraltro neppure affrontano, se non in modo assertivo, i temi riguardanti la desumibilità dagli atti e la pendenza davanti a diverse autorità giudiziaria essendosi, il ricorrente, limitato a sostenere che l’esistenza della connessione qualificata avrebbe giustificato la richiesta retrodatazione.

9^) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito nella L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 23, comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *