T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 11-04-2011, n. 953 Motivazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene impugnato il provvedimento in epigrafe indicato, con il quale il Questore della Provincia di Milano ha decretato nei confronti del ricorrente il rimpatrio con foglio di via obbligatorio al comune di sua abituale dimora, inibendogli di fare ritorno in Milano senza previa autorizzazione per un periodo di anni uno.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno per opporsi all’accoglimento del gravame.

La Sezione, con ordinanza n. 352 del 28 febbraio 2008, ha accolto l’istanza cautelare.

Tenutasi la pubblica udienza in data 16 febbraio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, in quanto meritevole di accoglimento la doglianza che deduce il difetto di motivazione del provvedimento, sotto il profilo della pericolosità del ricorrente e della sua riconducibilità alle categorie di cui all’art. 1 della legge n. 1423/56.

I presupposti per l’emissione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio sono stabiliti negli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423.

Dispone l’art. 2 di tale legge che "qualora le persone indicate nell’articolo precedente siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il Questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel Comune dal quale sono allontanate".

Affinché possa essere adottato il provvedimento di rimpatrio è dunque necessario che:

a) il soggetto nei cui confronti l’atto viene emesso rientri in una delle categorie di "persone indicate nell’articolo precedente";

b) tale soggetto sia pericoloso per la sicurezza pubblica;

c) lo stesso si trovi fuori dal luogo di residenza.

Primo indefettibile presupposto è pertanto quello dell’appartenenza del destinatario del provvedimento ad una delle categorie di persone di cui all’art. 1 della citata legge n. 1423/56.

Occorre dunque accertare quali siano tali categorie di persone.

Stabilisce l’art. 1 della legge n. 1423/56 che le misure di prevenzione possono essere applicate a:

1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

Nel caso concreto il provvedimento impugnato è stato emesso in quanto, a seguito di un controllo effettuato da personale della Polizia di Stato, il ricorrente è stato rinvenuto in possesso di un tesserino falso che attestava la sua appartenenza al Servizio Informativo Centrale del Ministero della Difesa, di un altro tesserino falso che attestava la sua iscrizione all’ordine dei giornalisti, di altri tesserini falsi e di una pistola giocattolo priva del tappo rosso. Per queste circostanze il medesimo è stato denunciato all’autorità giudiziaria per i reati di contraffazione del sigillo dello Stato e uso di sigillo contraffatto, uso di atto falso e usurpazione di titoli ed onori.

Queste circostanze, sebbene idonee a denotare la sussistenza di una personalità incline alla violazione delle regole ed alla predisposizione di false apparenze al fine di procurarsi ingiusti vantaggi, non possono però da sole considerarsi decisive per dimostrare la pericolosità del ricorrente.

In particolare – escluso ovviamente che in ragione del loro ricorrere l’interessato possa essere considerato dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica – le stesse non possono certo far supporre che quest’ultimo sia abitualmente dedito a traffici delittuosi, tanto più che, per stessa ammissione dell’Autorità intimata, non emergono a carico del medesimo altri precedenti di polizia (cfr. doc. 2/2 di parte resistente).

Né si può ritenere che il possesso dei suindicati documenti possa far presumere che il ricorrente viva abitualmente con proventi di attività delittuose, giacché trattasi di circostanze che nulla dimostrano in ordine alle modalità di reperimento dei mezzi di sussistenza..

L’Autorità intimata in verità precisa, nel provvedimento impugnato, che il controllo è stato effettuato in Piazza Luigi di Savoia, nota per essere frequentata da persone pericolose; e che il ricorrente in quell’occasione si trovava a bordo di un’auto di grossa cilindrata.

Anche queste circostanze tuttavia sono tutt’altro che decisive.

Invero, l’ora in cui è stato effettuato il controllo (ore 16:30), la circostanza (non smentita) che il ricorrente si trovava in quel luogo per ragioni di lavoro (l’interessato deduce di essere stato in procinto di incontrare un uomo d’affari statunitense presso un hotel situato proprio in Piazza Luigi di Savoia), l’insussistenza di ulteriori elementi che facciano in qualche modo presumere che l’interessato sia persona dedita a traffici delittuosi o persona che, per il tenore di vita ingiustificato, rinvenga il proprio sostentamento da proventi delittuosi, dimostrano come il provvedimento impugnato si fondi su circostanze poco significative, le quali non permettono assolutamente di comprendere a quale delle categorie di persone pericolose sopra indicate il ricorrente sia ascrivibile (né l’Autorità intimata si è premurata di indicarlo).

Per queste ragioni si deve affermare che il provvedimento impugnato è carente di adeguata motivazione, in quanto esso non permette di comprendere le ragioni per le quali l’Amministrazione procedente abbia ritenuto che il ricorrente possa essere ricondotto ad una delle categorie indicate nell’art. 1 della legge n. 1423/56; né, a maggior ragione, le motivazioni per le quali il medesimo possa essere considerato persona socialmente pericolosa.

Il ricorso va pertanto accolto.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’Amministrazione a rifondere all’interessato le spese di giudizio che liquida in euro 1.000 oltre IVA e c.p.a. se dovuti, fermo l’onere di cui all’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del decretolegge n. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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