T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 11-04-2011, n. 722 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. – Con ricorso in riassunzione notificato il 24 dicembre 2007 e depositato il 16 gennaio 2008, gli odierni ricorrenti hanno riproposto la domanda di risarcimento dei danni da occupazione asseritamente illegittima, riferendo:

– di essere proprietari, in qualità di aventi causa dalla precedente titolare, di un terreno sito nel comune di Bolognetta, riportato in catasto al foglio 20, particella 10 (successivamente frazionata nelle particelle 1091 e 1092);

– che tale fondo è stato legittimamente occupato per la realizzazione di un parco urbano, in forza delle ordinanze n. 41 del 22.1.1996, n. 2 del 15.01.1998 e n. 4 del 17.02.2000 e che, tuttavia, detta opera pubblica è stata realizzata senza l’emissione del decreto di espropriazione e previa determinazione di indennità provvisorie non accettate, sebbene parzialmente corrisposte agli odierni ricorrenti;

– che con atto di citazione hanno intrapreso davanti al Tribunale di Termini Imerese, sezione staccata di Corleone, azione di condanna contro il Comune di Bolognetta, al fine di vedere condannare detta amministrazione al risarcimento dei danni causati dall’illegittima apprensione delle porzioni di terreno di loro proprietà, con realizzazione dell’opera pubblica senza l’emissione del decreto di espropriazione; chiedevano, altresì, la condanna del comune alla corresponsione dell’indennità di occupazione legittima; ma che, con sentenza n. 62 del 25.09.2007, il Tribunale su citato ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, ponendo agli attori il termine di novanta giorni dal deposito della sentenza per la riassunzione del giudizio davanti al giudice munito di giurisdizione.

Tutto ciò premesso, nel riassumere il giudizio, hanno chiesto la condanna del Comune di Bolognetta alla corresponsione di una somma pari al valore venale dei terreni occupati alla data di scadenza del termine di occupazione legittima, oltre interessi e rivalutazione monetaria; articolando, in via istruttoria, richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, al fine di accertare l’effettiva estensione del terreno occupato con le ordinanze di occupazione d’urgenza, nonché di determinare il valore di mercato di ciascuna porzione alla data appena indicata.

B. – Si è costituito in giudizio per resistere il Comune di Bolognetta, il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività della riassunzione, nonché per difetto di interesse; nel merito, l’infondatezza della domanda attorea, per asserita sussistenza di una cessione volontaria del terreno, ascrivibile al comportamento acquiescente, quanto all’accettazione del pagamento dell’indennità di espropriazione, degli odierni ricorrenti.

C. – Con memoria di replica parte ricorrente ha controdedotto alle eccezioni e argomentazioni della resistente amministrazione, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

D. – All’udienza pubblica del 25 marzo 2011, su richiesta dei difensori delle parti, presenti come da verbale, la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

A. – Vanno prese in esame preliminarmente le eccezioni in rito sollevate dalla difesa del Comune di Bolognetta.

A.1. – Si eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità dell’atto di riassunzione, in quanto sarebbe stato depositato presso la segreteria di questo Tribunale oltre il termine di novanta giorni fissato dal giudice ordinario nella sentenza declinatoria della giurisdizione.

L’eccezione non può essere condivisa.

Va rilevato, in primo luogo, che, al fine di accertare la tempestività della riassunzione del giudizio – intervenuta, nel caso di specie, in applicazione analogica dell’art. 50 c.p.c. (di cui il giudice ordinario ha fatto concreta applicazione) – deve aversi riguardo al momento di perfezionamento della notifica dell’atto stesso per il soggetto tenuto alla riassunzione del giudizio (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 7 giugno 2010, n. 7237; I, 29 aprile 2009, n. 792).

Ciò premesso, risulta dagli atti di causa che il plico da notificare è stato consegnato all’ufficiale giudiziario in data 19.12.2007 e spedito il successivo 20.12.2007, risultando, quindi rispettato il termine perentorio di novanta giorni dal deposito della sentenza stabilito dal giudice ordinario, anche a ritenere i novanta giorni decorrenti dal 22.09.2007 (giorno successivo al deposito della sentenza) e non dalla pubblicazione della stessa (25.09.2007).

Peraltro, ritiene il Collegio di dovere evidenziare un’ulteriore ragione, che milita a sfavore della tesi della resistente amministrazione, con particolare riferimento al dies a quo per il computo del richiamato termine perentorio.

Ed invero, anche a ritenere necessario, ai fini della tempestività, il rispetto del termine perentorio anche per il successivo adempimento, relativo al deposito dell’atto di riassunzione notificato – il che, per quanto appena detto, è da escludere -, l’eccezione è, comunque, destituita di fondamento.

Vanno richiamati, sul punto, i principi espressi dal giudice regolatore della giurisdizione – e dai quali il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi – secondo cui: "a) il termine da assegnare alla parte per la riassunzione della causa innanzi al giudice ritenuto competente, deve essere effettivamente a disposizione della parte stessa per il compimento dell’atto; ne consegue che la decorrenza di tale termine non può essere fissata dal giudice (a quo) con riferimento alla data della pubblicazione della sentenza, che è atto interno della cancelleria, di cui la parte non ha notizia, e nel caso, tale statuizione deve considerarsi tamquam non esset e la tempestività della riassunzione va accertata avendo come dies a quo quello della comunicazione della decisione, la quale costituisce l’atto con cui viene portata a legale conoscenza delle parti interessate la giuridica esistenza del provvedimento, ponendole così in condizione, da quel momento, di provvedere alla riassunzione (Cass. 3 maggio 1984 n. 2679); b) il termine per la riassunzione della causa ai sensi dell’art. 50 c.p.c., decorre dalla data di comunicazione della sentenza, che abbia dichiarato l’incompetenza, o, in mancanza, da quella della notificazione, ma non già dal momento del passaggio in giudicato della decisione (Cass. 18 novembre 1982 n. 6206)" (cfr. Cass. Civ., 24 maggio 1996, n. 4805).

Nel caso in specie, parte resistente non ha fornito alcuna prova in ordine al momento, in cui i ricorrenti hanno avuto legale conoscenza della sentenza, non constando agli atti della causa la data della comunicazione della stessa, ma solo quella del deposito.

Né può venire in rilievo il precedente menzionato nella memoria difensiva della p.a. (Cass. Civ. n. 10291/2007), atteso che lo stesso afferisce al diverso procedimento civile, di riassunzione del processo interrotto, ai sensi degli artt. 303 e ss. c.p.c..

Pertanto, poiché grava su chi eccepisce la tardività di una impugnazione fornire una prova rigorosa – la quale, se provata, andrebbe ad inibire l’esercizio del diritto costituzionale di difesa -, rileva il Collegio che il Comune di Bolognetta non ha fornito alcun concreto elemento, da cui possa desumersi con certezza la data della conoscenza della sentenza da parte dei ricorrenti.

A.1. – Del pari destituita di fondamento è l’eccezione di carenza di interesse, in quanto:

– con riferimento alla notifica del ricorso in riassunzione quasi alla scadenza del termine trimestrale fissato dal giudice ordinario, trattasi di scelte difensive, che in nulla possono incidere sull’accertamento della condizione dell’azione;

– con riferimento alla mancata presentazione di istanza cautelare, fermo restando quanto appena detto, in ogni caso la materia (risarcimento dei danni) poco si presta alla tutela cautelare, non essendo ravvisabile alcun pregiudizio grave e irreparabile; né essendovi alcun provvedimento amministrativo, dalla cui esecuzione possa derivarne un pregiudizio alla parte.

Tanto è sufficiente a respingere anche detta eccezione.

B. – Nel merito il ricorso è fondato nei limiti, di seguito precisati.

L’amministrazione comunale fonda la propria difesa essenzialmente sulla dedotta esistenza di un accordo di cessione volontaria del terreno, asseritamente intervenuta inter partes per comportamento concludente.

Va precisato, in punto di fatto, che:

– la p.a., con i provvedimenti di determinazione dell’indennità provvisoria, ha fatto concreta applicazione dell’art. 12 della l. n. 865/1971; di talché, in base a quanto espressamente previsto sia dalla norma richiamata, sia dai medesimi provvedimenti, non sarebbe stato necessario alcun atto esplicito di rifiuto dell’indennità offerta, in quanto il silenzio del destinatario sarebbe stato inteso come rifiuto, con conseguente obbligo di deposito dell’indennità stessa presso la Cassa Depositi e Prestiti;

– sebbene l’amministrazione ne abbia negato l’esistenza, risulta dalla documentazione versata in atti da parte ricorrente in replica alle deduzioni avversarie, che i ricorrenti, sebbene non necessario, abbiano esplicitamente rifiutato, con la menzionata lettera del 07.01.2000, l’indennità offerta;

– è incontestato, peraltro, che il pagamento delle indennità sia, in parte, avvenuto: del resto, gli stessi ricorrenti chiedono che, dalla somma che in tesi sarà loro riconosciuta, vengano sottratte le somme corrisposte a titolo di indennità provvisoria; risultando, in particolare, pagate: a) l’indennità provvisoria determinata a seguito dell’occupazione di una porzione di terreno per la realizzazione del parco urbano, I stralcio (ord. di occupazione n. 41/1996); b) l’ 80% della somma stabilita per la realizzazione del II stralcio (ord. di occupazione n. 2/98);

– è altrettanto incontestato che la procedura espropriativa non sia stata definita né con un formale accordo di cessione, sebbene i ricorrenti fossero stati invitati alla stipulazione del relativo atto, né con l’emissione del decreto di espropriazione.

Eccepisce, invece, il Comune di Bolognetta che sarebbe presente, nella fattispecie in esame, la cessione volontaria del terreno – perfettamente sostitutiva del decreto di espropriazione – ascrivibile al comportamento dei ricorrenti, i quali, per un verso, hanno accettato e riscosso parte delle indennità determinate in via provvisoria; per altro verso, non hanno accolto l’invito alla stipulazione dell’atto di cessione volontaria.

L’argomentazione è priva di pregio giuridico, in quanto nessun accordo di cessione volontaria dell’area è intervenuta tra le parti.

Va richiamato, sul punto, il consolidato orientamento, anche del giudice del riparto, secondo cui "la cessione volontaria costituisce un contratto cosiddetto ad oggetto pubblico i cui elementi costitutivi, indispensabili per configurarla e che valgono, altresì, a differenziarla dalla compravendita di diritto comune, sono: a) l’inserimento del contratto nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità del quale, dunque, la cessione costituisce un momento avente la funzione di realizzarne il risultato peculiare (acquisizione della proprietà dell’immobile all’espropriante) con uno strumento alternativo di natura privatistica; b) la preesistenza, nell’ambito del procedimento, non solo della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera realizzanda ma anche del subprocedimento di determinazione dell’indennità da parte dell’espropriante, che deve essere da quest’ultimo offerta e dall’espropriando accettata con la sequenza e le modalità previste dalla L. n. 865 del 1971, art. 12; c) il prezzo per il trasferimento volontario dell’immobile che deve correlarsi in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per la determinazione dell’indennità spettante per la sua espropriazione, dai quali non è possibile in alcun modo discostarsi" (Cass. Civ., I, 20 marzo 2009, n. 6867).

Da tale premessa deriva, come logica conseguenza, che "l’accordo sull’indennità di espropriazione, per effetto di accettazione da parte dell’espropriando dell’ammontare offerto dall’espropriante, non ha alcun effetto traslativo della proprietà del bene, ma si inserisce nel procedimento ablativo – avendo pertanto natura negoziale pubblica – nel senso che le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi del procedimento stesso, ma sono tuttavia condizionate alla sua conclusione, cioè alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall’espropriato all’espropriante e conseguentemente, qualora tali condizioni manchino, l’accordo sull’indennità resta caducato e privo di qualsiasi effetto giuridico (Cass. 2001/11864)" (Cass. Civ., n. 6867/2009 cit.; nello stesso senso: Cass. Civ., I, 29 luglio 2009, n. 17686; II, 22 maggio 2009, n. 11955; Consiglio di Stato, IV, 22 luglio 2010, n. 4809).

Nel caso in specie, come constatato, all’offerta dell’indennità provvisoria di espropriazione, non è seguita alcuna accettazione, ciò che è da intendersi, ai sensi dell’art. 12 della l. n. 865/1971, come rifiuto; pur essendo poi stato accettato il pagamento della predetta indennità riferita al primo e al secondo stralcio della realizzazione del parco urbano, la circostanza che i ricorrenti abbiano tenuto tale condotta non può in alcun modo essere equiparata alla stipulazione di un atto di cessione.

Assodato, quindi, che nessun accordo di cessione volontaria dei terreni si è perfezionato ai sensi del richiamato art. 12, va rilevato che il mancato trasferimento legittimo della proprietà – per assenza della cessione volontaria e del decreto di espropriazione – comporta che il titolo sul quale si fonda la definitiva acquisizione del bene al patrimonio dell’ente pubblico è unicamente quello della occupazione appropriativa, direttamente derivante dalla illegittima occupazione, con i profili risarcitori che ne derivano.

L’eccezione del Comune va quindi respinta, con contestuale declaratoria della illegittimità dell’acquisizione del bene.

Altro argomento addotto a sostegno della legittimità dell’operato della P.A. è dato dalla circostanza che la predetta ha invitato i ricorrenti alla stipulazione della cessione volontaria, con riferimento ai terreni, per i quali l’indennità era stata liquidata e percepita, senza che i predetti si siano mai presentati, rifiutando di stipulare l’atto pubblico (cfr. note del Comune di Bolognetta del 10.07.2000 e del 14.07. 2000, in atti al fascicolo della P.a. resistente).

Tale dato di fatto, tuttavia, non può elidere il dato dell’illegittima occupazione, mentre ha certamente un rilievo ai fini della complessiva quantificazione del quantum risarcitorio.

Si consideri, invero, che, nella vigente legislazione ( d.P.R. n. 327/2001), l’ipotesi del rifiuto di addivenire alla stipulazione dell’atto di cessione trova puntuale disciplina nell’art. 20, comma 9, del d.P.R. n. 327/2001: sebbene tale disposizione normativa non possa trovare applicazione, ratione temporis, al caso in esame, ritiene il Collegio che, dovendo decidere di una domanda di risarcimento dei danni, il comportamento tenuto dalle parti ricorrenti debba costituire oggetto di valutazione, in relazione alla disposizioni generali in tema di risarcimento del danno, ed in particolare per la diversa disciplina di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 1227 c.c., richiamata dall’art. 2056 c.c..

Emerge, in particolare, che i ricorrenti sono stati invitati a stipulare l’atto di cessione con le menzionate note, in relazione alle occupazioni effettuate, rispettivamente per il I stralcio e per il II stralcio, con ordinanze n. 41 del 22.11.1996 e n. 2 del 15.01.1998: quindi, in una fase temporale, in cui la P.a. avrebbe potuto ancora emanare i decreti di espropriazione (il che non è avvenuto).

In quel momento nessuna fattispecie dannosa si era ancora verificata, potendo l’ente espropriante adottare, in luogo del negozio traslativo di diritto pubblico, l’atto autoritativo.

La mancata adozione del decreto di espropriazione da parte del Comune di Bolognetta non lo esime dal risarcire il danno, la cui misura, tuttavia, deve essere limitata, con i criteri che saranno di seguito indicati, tenendo conto del comportamento tenuto dalle parti, cui vanno ascritti profili di responsabilità; il che andrà ad incidere sul quantum risarcitorio da corrispondere alla parte ricorrente, con particolare riferimento alla quantificazione degli interessi moratori, e al momento di loro decorrenza.

D.1. – In punto di diritto, è necessario premettere che la scadenza dei termini di occupazione legittima dell’area in interesse, unitamente alla sua irreversibile trasformazione, senza che sia stato mai adottato il decreto di espropriazione, ha determinato il venir meno del titolo di legittimo possesso dei beni occupati, e obbliga l’Amministrazione a porre rimedio alla descritta situazione non conforme al diritto; e che, anche se l’Amministrazione Comunale ha ormai la piena disponibilità dell’area occupata, la stessa non è giuridicamente entrata a far parte del patrimonio dell’Ente.

Ed invero, mentre in passato la giurisprudenza si era orientata, attraverso l’applicazione dell’istituto dell’accessione invertita, nel senso di considerare, in casi come quello in esame, il bene giuridicamente acquisito al patrimonio dell’ente espropriante – residuando in capo al privato solo il diritto al risarcimento del danno causato dall’illegittima procedura ablatoria -, più di recente il Giudice Amministrativo ha ritenuto il predetto istituto di creazione pretoria definitivamente espunto dall’ordinamento giuridico, allineandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 aprile 2005, n. 2; Sez. IV, 30 novembre 2007, n. 6124; sez. VI, 21 maggio 2007, n. 2582; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 30 luglio 2009, n. 740).

Il Consiglio di Stato, in particolare, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea, ha affermato il principio di diritto, secondo cui l’irreversibile trasformazione del fondo non costituisce più un ostacolo alla restituzione del bene al privato, rilevando solo come mero fatto, dal quale non può scaturire l’effetto giuridico del trasferimento della proprietà in capo alla P.A.: quest’ultima, autrice di un illecito di natura permanente consistente nella perdurante utilizzazione di un fondo altrui, resta obbligata alla restituzione dell’area, essendo l’acquisizione dell’area subordinata all’adozione di un apposito provvedimento costitutivo dell’amministrazione (C.g.a., 18 febbraio 2009, nn. 49, 51 e 52, e 25 maggio 2009, n. 483; in senso conforme, anche: T.a.r. Sicilia, Catania, sez. II, 18 novembre 2008, n. 2098, e T.a.r. Puglia, Bari, Sez. III, 18 marzo 2009, n. 603).

Pertanto, l’irreversibile trasformazione del fondo, per la giurisprudenza prevalente, non produce più l’effetto di trasferire la proprietà.

Va, peraltro, rilevato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 293 del 04.10.2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del T.U. Espropriazioni, con l’inevitabile conseguenza circa l’inutilizzabilità, in atto, dell’istituto della cd. "acquisizione sanante" e, quindi, del peculiare strumento normativo posto a disposizione delle pubbliche amministrazioni per l’acquisizione del bene al patrimonio dell’ente.

D.2. – Ciò premesso, vanno ora stabilite le condizioni, in presenza delle quali alla domanda di risarcimento del danno per equivalente – qual è, nel caso di specie, quella proposta dai ricorrenti – possa riconoscersi l’effetto dell’abdicazione al diritto di proprietà sul bene irreversibilmente trasformato.

A tal proposito giova ricordare che, durante la vigenza dell’art. 43 cit., si è ritenuto che la proposizione della domanda espressa di risarcimento del danno subito, in luogo di quella restitutoria, non portasse con sé l’implicita rinuncia al diritto di proprietà del bene illegittimamente occupato, neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica (in tal senso, Consiglio di Stato, Ad. plen., 29 aprile 2005, n. 2; Consiglio di Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1° luglio 2010; T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 29 aprile 2010, n. 6065; T.A.R. Campania, Napoli, V, 1° settembre 2009, n. 4865; T.A.R. Campania, Napoli, V, 27 maggio 2008, n. 5083; T.A.R. Puglia, Bari, III, 14 luglio 2008, n. 1751 e 22 settembre 2008, n. 2176; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 25 giugno 2008, n. 601; T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 28 maggio 2008, n. 583; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 12 maggio 2008, n. 894 e 18 novembre 2008, n. 2098); con la conseguente necessità che l’amministrazione facesse ricorso all’apposito rimedio di cui al citato art. 43.

Secondo una diversa interpretazione, al momento della proposizione della domanda risarcitoria per equivalente si sarebbe verificato anche l’effetto abdicativo del diritto di proprietà in favore dell’amministrazione (cfr. C.G.A., 10 novembre 2010, n. 1410; 18 febbraio 2009, nn. 49, 51 e 52; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 23 febbraio 2010, n. 373), alla cui data, pertanto, andrebbe determinato il valore venale del bene ai fini della quantificazione del danno.

Tale tesi, formatasi nel vigore dell’art. 43 cit., prevedeva, comunque, in base a detta norma, l’adozione dell’atto formale di trasferimento, con trascrizione del decreto nei registri immobiliari.

Oggi, pur essendo venuto meno l’istituto della c.d. acquisizione sanante, ritiene il Collegio di mantenere fermo il proprio precedente orientamento, secondo il quale il trasferimento del diritto di proprietà in capo alla P.A. non è effetto della rinuncia al diritto di proprietà esplicitamente o implicitamente connessa alla domanda di risarcimento del danno per equivalente, sospensivamente condizionata all’accoglimento dell’azione proposta dinanzi al giudice, bensì, dell’apposito accordo di cessione conseguente al riconoscimento giudiziale della sussistenza di un danno ingiusto risarcibile (ipotesi, peraltro, già applicabile in alternativa all’istituto dell’acquisizione sanante, prima della dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultimo).

Si può, dunque, concludere affermando il necessario collegamento tra il diritto al risarcimento del danno subito e la perdita del diritto di proprietà del bene stesso, non potendo certo il privato ottenere un ristoro per equivalente superiore al danno medesimo. Evidenziandosi come il conseguimento del risarcimento debba essere accompagnato dal formale trasferimento della titolarità della proprietà in capo all’Amministrazione, in applicazione del principio che vieta l’arricchimento senza causa, derivandone altrimenti l’illegittima locupletazione del privato, che rimarrebbe titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il valore (cfr. T.a.r. Sicilia, Palermo, III, 2 dicembre 2010, n. 14232; 17 dicembre 2010, n. 14322).

Sempre a proposito della richiesta di risarcimento del danno, poiché, come rilevato, una parte della somma determinata a titolo di indennità di espropriazione è stata effettivamente percepita da parte ricorrente – la quale ha ricevuto un bene capitale, produttivo di frutti – deve certamente ritenersi che, dalla somma pretesa a titolo risarcitorio, la somma effettivamente percepita debba essere decurtata, in base al principio della compensatio lucri cum damno.

E. – Da quanto sopra segue l’accoglimento del ricorso, con conseguente condanna del Comune di Bolognetta, subordinatamente alla stipulazione del negozio traslativo del diritto di proprietà, al pagamento, in favore dei ricorrenti, del risarcimento dei danni.

Il Comune resistente provvederà a stipulare con i ricorrenti un atto di natura contrattualeprivatistica, idoneo a determinare il trasferimento della proprietà del bene de quo, che, altrimenti, continuerebbe a rimanere sine die nella sfera di proprietà dei predetti, con tutte le conseguenze anche giuridiche e fiscali connesse, e dovrà essere quantificato il danno risarcibile secondo i criteri di seguito indicati, ai sensi dell’art. 34 c.p.a.:

a) determinazione di una somma corrispondente al valore venale del terreno al momento della cessazione dell’occupazione legittima, detratte le somme già corrisposte ai ricorrenti a titolo di indennità provvisoria di espropriazione; con la precisazione che tale valore dovrà essere individuato, in contraddittorio con i ricorrenti, sulla base dell’effettiva attitudine edificatoria del terreno, in base agli strumenti urbanistici in vigore alla predetta data; su tale importo (al netto delle somme già corrisposte) vanno calcolate le somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria, dal momento della proposizione della domanda davanti al giudice ordinario (19.12.2005) fino al momento della stipulazione dell’accordo di cessione;

b) su tale somma, costituente la sorte capitale di un debito di valore, andranno, altresì, corrisposti, gli interessi moratori al tasso legale sulle somme anno per anno rivalutate secondo indice ISTAT dei prezzi al consumo, dal momento della proposizione della domanda davanti al giudice ordinario (19.12.2005), fino al momento della stipula dell’accordo di cessione;

c) sulla somma così determinata, andranno calcolati e corrisposti gli interessi legali dal momento della stipulazione dell’accordo di cessione fino a quella di effettivo soddisfo;

d) qualora il Comune e la parte ricorrente non concludano alcun accordo, quest’ultima potrà chiedere a questo Tribunale l’esecuzione della presente sentenza, per l’adozione delle misure consequenziali, salva la trasmissione degli atti alla Corte dei conti per la valutazione dei fatti che hanno condotto alla medesima fase del giudizio.

F. – Conclusivamente, nei sensi e nei limiti predetti, il ricorso va accolto e, per l’effetto, va pronunciata la condanna del Comune di Bolognetta a risarcire il danno cagionato alla parte ricorrente a causa dell’occupazione (divenuta sine titulo) dell’area di sua proprietà, secondo le statuizioni sopra enunciate.

G. – Tenuto conto dell’accoglimento solo parziale della pretesa attorea, le spese vanno per metà compensate, e per la restante metà seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione; condanna il Comune di Bolognetta a risarcire il danno causato ai ricorrenti, da liquidare secondo i criteri e le modalità dettati in motivazione.

Compensa per metà le soese del giudizio tra le parti; condanna il Comune di Bolognetta al pagamento in favore dei ricorrenti della restante metà, che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00) oltre oneri accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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