Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-04-2011, n. 2251 Pubblicita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di alcune richieste di intervento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi: "l’A.G.C.M.’) comunicava alla soc. D. s.p.a., nella sua qualità di operatore pubblicitario, l’apertura di un procedimento per pubblicità ingannevole ai sensi del Tit. III, Capo II, Sez. I (artt. 1927) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (‘codice del consumo’, nella formulazione ratione temporis vigente) in relazione ad alcuni messaggi diffusi da tale società sul proprio sito internet.

Il procedimento veniva avviato anche nei confronti delle appellanti società V. O. N.V., W. T. s.p.a. e T. I. s.p.a. in qualità di presunti operatori pubblicitari, coautori dei messaggi oggetto di contestazione.

In particolare, l’A.G.C.M. contestava all’operatore pubblicitario e ai gestori telefonici di aver diffuso messaggi ingannevoli per i propri potenziali fruitori in relazione alle effettive condizioni economiche cui sarebbe stata subordinata l’offerta di trasmissione di suonerie e contenuti per telefoni cellulari.

In concreto, era accaduto:

– che la società D. s.p.a. avesse pubblicizzato su alcuni siti internet l’offerta di alcuni servizi c.d. "a valore aggiuntò (es.: relativi allo scaricamento di loghi o suonerie per telefoni cellulari), veicolati attraverso una numerazione telefonica "a decade 4" (ossia, attraverso un’utenza telefonica condivisa e gestita direttamente dagli operatori telefonici, titolari delle utenze in questione rispetto alla propria utenza finale);

– che la soc. D. avesse svolto il ruolo c.d. di "content provider" (fornendo il contenuto ideativo del servizio offerto al pubblico), mentre ciascuno dei gestori telefonici aveva svolto il ruolo di "carrier" dei messaggi, mettendo a disposizione (dietro compenso) le risorse di banda necessarie a veicolare i messaggi pubblicitari oggetto di indagine;

– che il meccanismo di remunerazione del servizio era basato sul c.d. "revenue sharing’, con la conseguenza che ai gestori telefonici venisse versata una percentuale del fatturato telefonico complessivo generato dalla vendita di contratti multimediali da parte della soc. D., anche a titolo di remunerazione per le attività svolte in sede di offerta dei servizi.

Con tre provvedimenti adottati nell’adunanza del 10 gennaio 2008 (e la cui struttura è sostanzialmente analoga, salvo quanto si osserverà nel prosieguo), l’Autorità così decideva:

– riteneva che la soc. D. avesse effettivamente realizzato un’ipotesi di pubblicità ingannevole (sanzionabile ai sensi degli articoli 20 e segg. del d.lgs. 206 del 2005), avendo omesso in maniera sostanzialmente decettiva di informare in modo adeguato i propri clienti effettivi e potenziali circa la tipologia dei servizi offerti e i relativi costi.

In definitiva, l’Autorità riteneva che i messaggi in questione, "attraverso l’uso del termine "gratis" contengono indicazioni contraddittorie circa la totale assenza di corrispettivi da un lato, espressa mediante la promessa in regalo di contenuti gratuiti al momento dell’attivazione del servizio e il carattere oneroso dall’altro, insito nella natura del servizio in abbonamento reclamizzato".

La condotta in tal modo posta in essere, quindi, concretava gli estremi dell’ingannevolezza ai sensi della lettera b) del comma 1 dell’art. 20, d.lgs. 206, cit.

Sul punto non vi è contestazione nell’ambito del presente giudizio;

– riteneva, altresì, che nell’ambito della complessiva vicenda anche gli operatori telefonici odierni appellanti avessero assunto la qualifica di "operatori pubblicitari’, in quanto sostanzialmente coautori dei messaggi contestati ai sensi dell’art. 20, d.lgs., cit.;

Sotto tale aspetto, l’Autorità riteneva che sussistessero tre elementi/indici rivelatori della richiamata qualificabilità come coautori dei messaggi contestati:

a) in primo luogo, l’esistenza di un potere (preventivo e successivo) di verifica sul contenuto dei messaggi pubblicitari, riconosciuta (sia pure, secondo modulazioni diverse) dai contratti stipulati con il content provider D. (primo elemento di responsabilità editoriale);

b) in secondo luogo, la circostanza per cui i gestori telefonici avessero espressamente consentito l’utilizzo dei propri loghi e segni distintivi nell’ambito delle operazioni pubblicitarie relative ai servizi reclamizzati, in tal modo palesando il proprio coinvolgimento diretto nell’ambito delle operazioni reclamizzate (secondo elemento di responsabilità editoriale);

c) in terzo luogo, il fatto che i gestori telefonici avessero tratto un diretto vantaggio economico dalle operazioni contestate dal momento che (in base al meccanismo del c.d. "revenue sharing’) i proventi derivanti dal traffico telefonico sulla numerazione a decade 4 nella specie utilizzata (numero 48282) venivano ripartiti fra il fornitore di contenuti e gli stessi operatori telefonici.

– L’Autorità riteneva inoltre che, attesa la specifica gravità della condotta posta in essere da ciascuno dei soggetti coinvolti nella vicenda, la sanzione pecuniaria andasse quantificata nei seguenti importi: euro quarantamila a carico della soc. D.; euro sessantamila a carico del gestore V. O., euro cinquantacinquemila a carico del gestore W. T. ed euro settantacinquemila a carico del gestore T. I..

Il provvedimento in questione veniva impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio dai tre operatori telefonici con distinti gravami (ricorso n. 3818/08 – V. O.; ricorso n. 3697/08 – W.; ricorso n. 3694/08 – T. I.).

Con le pronunce oggetto del presente appello, il Tribunale adìto così provvedeva:

– respingeva i ricorsi delle compagnie telefoniche in relazione alla parte del provvedimento sanzionatorio con cui era stata riconosciuta la loro qualificabilità come operatori pubblicitari e coautori dei messaggi pubblicitari contestati;

– osservava che l’argomento dell’A.G.C.M. (fondato sulla figura del soggetto "coautorè del messaggio) non avesse introdotto nell’ordinamento una figura di carattere sistematicamente spurio, in quanto la sua enucleazione risultava compatibile con la previsione di cui all’art. 5 della l. 24 novembre 1981, n. 689 in tema di concorso di persone nell’illecito amministrativo;

– riteneva che il ragionamento svolto dall’Autorità fosse scevro da vizi logici e giuridici per la parte in cui aveva ritenuto la sussistenza di tre elementi/indici rivelatori della richiamata qualificabilità delle compagnie telefoniche come operatori / coautori dei messaggi contestati.

– per quanto concerne il merito fattuale delle censure avanzate da ciascuno dei ricorrenti, il Tribunale riteneva che l’esame dei contratti intercorsi con la soc. D. e la concreta gestione del rapporto confermasse (e non smentisse) il giudizio circa l’esistenza di un apporto determinante dei gestori telefonici nella realizzazione della condotta illecita.

– per quanto concerne, invece, la quantificazione della sanzione, il primo Giudice riteneva illegittimo e incongruo l’operato dell’Autorità, la quale aveva finito per assoggettare ad una sanzione di ammontare inferiore l’autore principale della condotta (la soc. D.) e a sanzioni addirittura superiori i meri coautori (le compagnie telefoniche), in tal modo palesando una assenza di congruità nella ponderazione dei rispettivi ruoli in relazione alla condotta complessivamente realizzata.

Le sentenze in questione venivano fatte oggetto di impugnativa sia da parte degli operatori telefonici, sia da parte dell’Autorità.

In particolare:

– la sentenza n. 10466/08 veniva impugnata dalla soc. V. O. per il capo relativo alla sua qualificazione come soggetto "coautorè del messaggio (ricorso n. 1976/09) e dall’A.G.C.M. per il capo relativo alla determinazione del quantum della sanzione (ricorso n. 2612/09);

– la sentenza n. 10468/08 veniva impugnata dalla soc. W. per il capo relativo alla sua qualificazione come soggetto "coautorè del messaggio (ricorso n. 2468/09) e dall’A.G.C.M. per il capo relativo alla determinazione del quantum della sanzione (ricorso n. 2610/09);

– la sentenza n. 10467/08 veniva impugnata dalla soc. T. I. per il capo relativo alla sua qualificazione come soggetto "coautorè del messaggio (ricorso n. 2599/09) e dall’A.G.C.M. per il capo relativo alla determinazione del quantum della sanzione (ricorso n. 2611/09);

All’udienza pubblica del 21 gennaio 2011, presenti i Difensori delle parti costituite come da verbale d’udienza, i ricorsi venivano trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

1. Giungono alla decisione del Collegio tre ricorsi in appello proposti da altrettanti gestori operanti nel settore della telefonia mobile avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui sono stati accolti (ma solo in parte) i ricorsi proposti avverso i provvedimenti del 2008 con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi: "l’A.G.C.M.’) li ha qualificati come "operatori commercialì e "coautorì di alcuni messaggi pubblicitari ingannevoli assoggettati a sanzione ai sensi degli articoli 20 e segg. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (nella formulazione ratione temporis vigente), rigettando per il resto i ricorsi in questione.

Giungono, altresì, in decisione i tre distinti ricorsi proposti dall’A.G.C.M. avverso i capi delle richiamate sentenze con cui è stata annullata per irragionevolezza la parte dei provvedimenti contestati in cui veniva in concreto determinato il quantum della sanzione irrogata, assoggettando i gestori telefonici (nella loro veste di coautori della condotta) ad una sanzione di importo superiore rispetto a quella disposta per il content provider autore in senso principale della medesima condotta.

2. In primo luogo, il Collegio ritiene di disporre la riunione degli appelli in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di connessione oggettiva e in parte soggettiva (art. 70, c.p.a.).

3. Con il ricorso in appello n. 1976/09, la soc. V. O. N.V. lamenta sotto svariati profili il contenuto della sentenza n. 10466/08 per la parte in cui ha ritenuto la complessiva correttezza del giudizio reso dall’A.G.C.M. in relazione alla propria qualificabilità come "operatore pubblicitariò coautore del messaggio ai sensi della lettera d) del comma 1 dell’art. 20, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

Con un primo argomento, la società lamenta l’erroneità della pronuncia gravata per non aver rilevato che l’operato dell’appellante fosse del tutto difforme rispetto al paradigma di cui all’art. 20 del d.lgs. 206 del 2005.

In secondo luogo, la soc. V. O. sottolinea che il soggetto genuinamente autore del messaggio (la soc. D.) sarebbe del tutto distinto dall’appellate, la quale non avrebbe potuto in alcun modo ingerirsi sull’impostazione, sull’assetto e sul contenuto delle campagne pubblicitarie ideate dal content provider.

In terzo luogo, la società appellante osserva che, laddove il Tribunale avesse correttamente esaminato ed interpretato il contenuto del contratto di diffusione intercorso con la soc. D., avrebbe necessariamente dovuto concludere nel senso dell’esclusiva responsabilità del content provider per le eventuali responsabilità connesse all’operazione pubblicitaria in concreto diffusa.

Con un quarto motivo, la soc. V. lamenta l’erroneità degli argomenti svolti dall’Autorità (e sostanzialmente confermati dal T.A.R.) relativi all’esistenza di tre elementi / indici rivelatori della qualifica di coautore del messaggio.

Al riguardo, l’appellante osserva che nessuno degli indici in questione risulterebbe effettivamente sintomatico di un coinvolgimento dell’appellante nell’ideazione, realizzazione e diffusione delle campagne in questione.

In particolare, la mera circostanza di aver fornito una risorsa di banda dietro remunerazione non determinerebbe in alcun modo un coinvolgimento nel contenuto pubblicitario dell’operazione posta in essere, a meno di non voler configurare in capo agli operatori telefonici un’ipotesi di vera e propria responsabilità di tipo oggettivo.

Con un quinto argomento, la soc. V. lamenta l’erroneità della pronuncia in questione per la parte in cui ha ritenuto l’applicabilità al caso di specie della disciplina in tema di concorso di persone nell’illecito amministrativo (art. 5, l. 24 novembre 1981, n. 689).

Del resto, in numerosi casi di pubblicità ingannevole assimilabili a quello in esame, la stessa Autorità avrebbe in tempi recenti escluso la responsabilità del carrier, riconoscendola in via esclusiva in capo al content provider.

Con un ulteriore motivo (rubricato come secondo – pag. 32 e segg. dell’appello -), la soc. V. lamenta che la pronuncia in questione sia viziata per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e contraddittorietà per la parte in cui ha individuato una responsabilità dell’operatore / carrier, nonostante quest’ultimo non avesse in alcun modo partecipato all’attività di ideazione, realizzazione e diffusione dei messaggi contestati ed anzi, non fosse mai stata informata del relativo contenuto da parte del content provider.

Ed ancora, l’Autorità avrebbe omesso di valutare in concreto le posizioni dei singoli operatori, accomunandoli in un’unica e indimostrata fattispecie di responsabilità, in tal modo venendo meno a un puntuale onere istruttorio e motivazionale.

Con un sesto argomento (rubricato come terzo motivo di appello – pag. 37 e segg. dell’atto di appello -), la soc. V. sottolinea che nessun operatore telefonico accetterebbe mai di fare pubblicità assieme a un suo diretto concorrente (circostanza, quest’ultima, che sarebbe invece stata ascritta a carico della società appellante).

Con un ulteriore argomento (rubricato come quarto motivo – pag. 38 e segg. del ricorso -) la soc. V. osserva che il provvedimento impugnato in prime cure fosse viziato per sviamento dalla causa tipica del potere attribuito, per avere inteso coinvolgere nell’attività sanzionatoria alcuni soggetti (gli operatori telefonici) in alcun modo coinvolti dalla previsione normativa di riferimento (il più volte richiamato art. 20, d.lgs. 206 del 2005).

In tal modo operando, oltretutto, l’Autorità avrebbe configurato in capo agli operatori telefonici una inammissibile ipotesi di responsabilità di tipo oggettivo e avrebbe inteso surrettiziamente (e nel silenzio della norma) imporre in capo ai gestori telefonici oneri di controllo tipicamente spettanti in capo alla stessa Autorità procedente.

4. Con il ricorso in appello n. 2468/09 la soc. W. T. articola motivi di doglianza che possono essere così sintetizzati:

In primo luogo, la società in questione lamenta l’erroneità della pronuncia del T.A.R. per la parte in cui ha ritenuto che essa fosse qualificabile come operatore pubblicitario (rectius: coautore dei messaggi all’origine del procedimento sanzionatorio), sussistendo i due requisiti della responsabilità editoriale e del vantaggio economico connesso alla loro diffusione.

Ancora, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che le previsioni di cui all’art. 18 del d.m. 2 marzo 2006, n. 145 (‘Regolamento recante disciplina dei servizi a sovraprezzo’) non avrebbero in alcun modo consentito di estendere la responsabilità da illecito amministrativo anche alla società carrier.

Del resto, il sostanziale esonero da responsabilità in capo ai carrier per il contenuto ingannevole dei messaggi diffusi dai content providers sarebbe conforme a una consolidata prassi applicativa che l’Autorità avrebbe interrotto (con sostanziale soluzione di continuità rispetto al passato) solo in sede di valutazione del dossier in questione.

A questo punto, l’appellante soc. W. si sofferma sul contenuto concreto del contratto per la diffusione di contenuti intercorso con la soc. D. e afferma che nessuna previsione del contratto in parola consentisse di ritenere che l’operatore carrier condividesse la responsabilità editoriale dei messaggi diffusi,

Inoltre, ai fini del decidere, sarebbe rilevante osservare che la soc. D. ha violato i richiamati obblighi contrattuali, omettendo di fornire al carrier informazioni dettagliate sul contenuto dei messaggi oggetto di indagine.

Ancora, ai fini della decisione sarebbe rilevante l’esame delle specifiche clausole contrattuali (es.: art. 5, art. 6.1, art. 10) che addossavano al solo content provider le eventuali responsabilità in relazione ai contenuti editoriali oggetto di diffusione, specificando che i tempi e i modi per la diffusione dei messaggi non potessero che essere determinati da tale operatore.

Né un coinvolgimento diretto della soc. W. nella pratica ingannevole sarebbe individuabile a causa del consenso all’utilizzo dei propri segni distintivi nell’ambito della campagna pubblicitaria oggetto di indagine.

Ed ancora, un coinvolgimento diretto del carrier non sarebbe configurabile neppure in considerazione del particolare meccanismo di remunerazione nella specie individuato (si tratta del meccanismo c.d. di "revenue sharing’).

Ed infatti – per un verso – l’opzione del meccanismo di remunerazione in parola non arrecherebbe al carrier alcun vantaggio (se non mediato e indiretto) a seguito della diffusione del messaggio; mentre – per altro verso – la scelta di tale sistema di remunerazione sarebbe dipesa unicamente da "ragioni tecniche e contabili’.

Sotto tale aspetto, l’appellante paventa gli effetti dell’indifferenziato ricorso al criterio del c.d. "vantaggio economico’, il quale comporterebbe un coinvolgimento sanzionatorio dei soggetti carrier, anche in assenza di un qualunque effettivo apporto in termini ideativi e -lato sensu – editoriali.

5. Con il ricorso in appello n. 2599/09, la soc. T. I. chiede la riforma della sentenza n. 10467/08 per i seguenti motivi.

In primo luogo, anche la società in questione lamenta l’erroneità della pronuncia del T.A.R. per la parte in cui ha ritenuto che essa fosse qualificabile come operatore pubblicitario (rectius: coautore dei messaggi all’origine del procedimento sanzionatorio), sussistendo i due requisiti della responsabilità editoriale e del vantaggio economico connesso alla loro diffusione.

Con un secondo argomento, T. I. osserva che, laddove i primi Giudici avessero esaminato con sufficiente approfondimento le pattuizioni contrattuali intercorse con la soc. D., non avrebbero potuto che escludere la sussistenza di una qualunque responsabilità di tipo editoriale in capo al soggetto carrier.

Né una siffatta forma di responsabilità sarebbe configurabile in base alle disposizioni di cui all’art. 18, d.m. 145 del 2006, atteso che tale decreto (come si è detto in precedenza) si limiterebbe a configurare un’esclusiva responsabilità del content provider per il contenuto dei messaggi oggetto di diffusione, esonerando il soggetto carrier da qualsiasi tipo di responsabilità di tipo editoriale.

Del resto, il decreto in questione limiterebbe il coinvolgimento dell’operatore telefonico ai soli profili di natura tecnica connessi al servizio di trasporto dei dati offerto.

Ed ancora, una forma di diretta responsabilità in capo all’operatore telefonico non sarebbe individuabile:

– né in conseguenza del consenso all’utilizzo del proprio logo;

– né in considerazione del particolare meccanismo di remunerazione convenuto (si tratta del più volte richiamato meccanismo del c.d. "revenue sharing’);

– né – più in generale – alla luce delle previsioni di cui all’art. 20 del d.lgs. 206 del 2005, il quale considera "operatore pubblicitariò anche il proprietario del mezzo di diffusione, ma alla sola condizione (che qui non sussisterebbe) in cui il carrier non consenta all’identificazione del content provider.

6. Gli argomenti dinanzi sinteticamente richiamati, che possono essere esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.

7.1. Come si è detto in premessa, l’Autorità ha ritenuto che il complesso delle pertinenti circostanze deponesse nel senso che le società appellanti fossero a pieno titolo individuabili quali soggetti coautori delle campagne pubblicitarie in contestazione e che, pertanto, esse fossero responsabili a titolo proprio per la fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 20, d.lgs. 206 del 2005.

Si è, altresì, detto che l’Autorità ha fondato tale affermazione a) sull’elemento di responsabilità editoriale riferito al potere di verifica sui contenuti dei messaggi; b) sull’elemento di responsabilità editoriale derivante dal consenso all’utilizzo dei propri segni distintivi nell’ambito della campagna pubblicitaria; c) dall’elemento di vantaggio economico derivante dal particolare meccanismo di remunerazione del c.d. "revenue sharing’.

7.2. Le società appellanti hanno contestato la richiamata prospettazione osservando:

– quanto all’elemento a), che nessuno effettivo apporto fosse stato arrecato dagli operatori telefonici all’attività di ideazione, realizzazione e diffusione dei contenuti;

– quanto all’elemento b), che l’utilizzo del proprio logo non avesse alcuna finalità pubblicitaria (né avrebbe in alcun modo potuto averla), ma servisse unicamente a fornire un apporto informativo di carattere "neutralè alla clientela circa i servizi offerti;

– quanto all’elemento sub c), l’esistenza di un meccanismo di remunerazione delle risorse di banda poste a disposizione del content provider non testimonierebbe in alcun modo una cointeressenza circa gli obiettivi e i risultati della campagna pubblicitaria, ma rappresenterebbe un’ordinaria operazione svolta a condizioni di mercato, oltretutto resa necessaria dalla necessità (di tipo proconcorrenziale) di rendere possibile l’offerta di servizi informativi che altrimenti non presenterebbero un adeguato carattere di rimuneratività.

8. Il Collegio ritiene che tali argomenti non possano essere accolti.

8.1. Ad avviso del Collegio, infatti, la chiave di volta sotto il profilo logico e strutturale nell’esame della questione appena divisata è rappresentata dalla scelta (tradotta in puntuali pattuizioni negoziali) di individuare un meccanismo di remunerazione per la realizzazione delle campagne pubblicitarie oggetto di censura tale da determinare una diretta cointeressenza degli operatori telefonici che veicolavano i messaggi (c.d. "carrier’) nella diffusione dei messaggi e, in ultima analisi, nella migliore riuscita della campagna pubblicitaria in termini di diffusione e remuneratività.

8.2. Il funzionamento del richiamato meccanismo di remunerazione è adeguatamente descritto nell’ambito del ricorso n. 1976/2009 (V. O.) al quale, per comodità espositiva, si farà qui integrale rinvio.

Si è affermato al riguardo che "in base (al regolamento contrattuale definito con il content provider, l’operatore telefonico) si impegna a riconoscere a D., a titolo di corrispettivo, una quota del costo addebitato al cliente per ogni contenuto/servizio da questi acquistato (c.d. quota riconosciuta all’Azienda (…)). La parte restante del prezzo corrisposto dal cliente per i servizi forniti da D. è trattenuta da V. a titolo di "revenue share’, ossia di percentuale sul fatturato complessivo generato dalla vendita dei contenuti multimediali da parte di D., anche quale remunerazione per le attività svolte da V. nell’offerta dei servizi".

Ebbene, il Collegio ritiene che la scelta di collegare la messa a disposizione delle proprie risorse di banda all’operatività del richiamato meccanismo di remunerazione non si traduca nella pura e semplice cessione delle richiamate risorse a un operatore terzo e distinto secondo normali condizioni di mercato, ma si risolva nella volontaria e consapevole partecipazione a un’iniziativa di tipo imprenditoriale finalizzata alla messa a disposizione dei richiamati servizi e alla massimizzazione degli utili conseguentemente ritraibili.

Ora, l’aver consapevolmente optato per un meccanismo di remunerazione il quale collegava in modo inscindibile l’apporto degli operatori telefonici (indispensabile alla realizzazione e diffusione della campagna pubblicitaria) al ritorno economico dell’iniziativa, mediante un sistema di sostanziale compartecipazione sul ricavato, giustifica appieno il giudizio dell’Autorità, la quale ha ritenuto che in tal modo operando le compagnie telefoniche avessero giustificato un giudizio di riferibilità soggettiva delle campagne pubblicitarie nel loro complesso.

Al riguardo si osserva:

– che la circostanza per cui le compagnie telefoniche ritraessero una quota percentuale dei proventi del traffico telefonico generato attraverso la fornitura dei servizi offerti dalla soc. D. rende chiaro che le prime non si limitassero a cedere risorse di rete a condizioni di mercato (i.e.: secondo un approccio tendenzialmente orientato alla sola copertura del costo marginale della risorsa ceduta), ma che fossero direttamente ed immediatamente interessate alla massima diffusione dei messaggi e alla conseguente massimizzazione del traffico telefonico generato (insomma, che esse fossero a pieno titolo compartecipi dell’iniziativa economica nel suo complesso);

– che l’opzione per un siffatto meccanismo di remunerazione eccedesse di certo il quid minimum reso necessario dalle regolazioni proconcorrenziali di settore (finalizzate a garantire l’accesso al mercato delle risorse di rete a condizioni eque e negoziate secondo buona fede). Al contrario, nessuna regola proconcorrenziale impone agli operatori di TLC di favorire a tal punto le iniziative loro proposte, sino ad assumerne volontariamente i connessi rischi di gestione e a collegare il proprio interesse imprenditoriale alla migliore riuscita dell’iniziativa stessa;

– che, sintomaticamente, la stessa difesa della soc. V. O. ammette che la scelta per il richiamato meccanismo fosse finalizzata ad assicurare una adeguata "remunerazione per le attività svolte (dall’operatore telefonico) nell’offerta dei servizi" (ricorso in appello, pag. 18)

– che, conseguentemente, se la scelta del richiamato meccanismo di remunerazione non derivava da obblighi proconcorrenziali resi vincolanti dalla regolazione di settore, essa discendeva invece da una libera scelta imprenditoriale del singolo operatore il quale aveva ritenuto economicamente conveniente partecipare a una determinata iniziativa pubblicitaria attraverso il proprio indefettibile apporto tecnico, convenendo con la controparte negoziale un meccanismo di remunerazione tale da determinare una diretta ed immediata cointeressenza alla più ampia diffusione dell’iniziativa e – in via mediata – una diretta compartecipazione alla sua maggiore rimuneratività economica.

8.3. Per ragioni connesse a quelle appena evidenziate, anche la scelta di consentire l’utilizzo dei propri segni distintivi nell’ambito delle campagne oggetto di contestazione (e, in particolare, del logo d’impresa nell’ambito delle diverse schermate alle quali i potenziali clienti del servizio accedevano attivando i collegamenti resi disponibili dalla pagina iniziale predisposta dall’operatore D.), lungi dal rivestire la mera finalità informativa sulla quale insistono le Difese delle appellanti, costituiva a propria volta un’opzione idonea ad assicurare il miglior successo dell’iniziativa stessa e a rafforzare la diretta partecipazione e cointeressenza delle odierne appellanti alla sua realizzazione.

Si osserva al riguardo:

– che la circostanza per cui i loghi dei principali operatori nazionali di telefonia mobile comparissero sulle pagine Internet dell’operatore pubblicitario D. conferiva ai messaggi diffusi (e di questo gli operatori coinvolti non potevano non essere consapevoli) una maggiore immagine di attendibilità, tale da indurre i potenziali clienti ad accostarsi all’offerta proposta con un più alto grado di fiducia;

– che non appare persuasivo l’argomento secondo cui l’utilizzo contestuale e congiunto dei (quattro) loghi non potesse sortire alcun effetto pubblicitario favorevole per ciascuno degli operatori, dal momento che nessun operatore economico accetterebbe di accostare il proprio marchio a quello di un diretto concorrente nell’ambito della medesima pubblicità. Al riguardo si osserva: a) che non si è contestato alle appellanti di aver partecipato all’iniziativa pubblicitaria in questione al fine di promuovere in modo diretto i propri servizi; ma si è contestata la ben diversa condotta di aver contribuito in modo determinante a favorire l’offerta pubblicitaria della soc. D. (condotta, questa, ben compatibile con l’utilizzo contestuale e congiunto dei quattro loghi di impresa); b) che l’interesse immediato e diretto comune alle odierne appellanti era comunque quello di garantire la massimizzazione del traffico telefonico generato con l’offerta dei servizi a sovraprezzo offerti dalla soc. D. e che tale massimizzazione (pur "pantografandò le quote di mercato possedute da ciascun operatore e lasciando inalterata la quota percentuale rispettivamente posseduta) avvantaggiava comunque ciascuno di essi attraverso un incremento pro quota del traffico generato e – in via mediata – attraverso una più congrua ritrazione della revenue share di rispettiva spettanza.

8.4. Concludendo anche su questo punto, si può affermare che il provvedimento sanzionatorio gravato nell’ambito dei primi ricorsi risulti esente dalle censure rubricate per la parte in cui ha ritenuto la sussistenza di un comportamento attivo da parte delle compagnie telefoniche (realizzato – inter alia – attraverso la volontaria compartecipazione alla riuscita economica dell’iniziativa e attraverso la messa a disposizione dei propri segni distintivi), tale da individuare le imprese in questione quali soggetti coautori della campagna pubblicitaria oggetto di contestazione.

9. E’ alla luce di tale impostazione che vanno quindi valutati gli ulteriori argomenti difensivi profusi dalle società appellanti.

9.1. In particolare, una volta dimostrata l’esistenza di un comportamento commissivo, idoneo a concretare la fattispecie illecita sotto il profilo oggettivo, occorre domandarsi se il medesimo comportamento possa considerarsi o meno esente da un giudizio di riprovevolezza sotto il profilo soggettivo.

9.2. Al riguardo è noto che un consolidato orientamento giurisprudenziale interpreta la previsione di cui al primo comma dell’art. 3, l. 689, cit. (secondo cui "nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione o omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa") non già nel senso dell’indifferenza in ordine alla sussistenza o meno di un comportamento – quanto meno – colposo, bensì nel senso di porre una praesumptio juris tantum di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che l’abbia commesso, riservando poi a quest’ultimo l’onere di dimostrare di aver agito senza colpa (Cass. Civ., sez. lav., 26 agosto 2003, n. 12391).

9.3. Ebbene, ritiene il Collegio che le odierne appellanti non siano in condizione di vincere la richiamata presunzione, atteso:

– che esse hanno coscientemente e volontariamente collaborato alla realizzazione dell’illecito (cfr. infra, sub 8);

– che esse sono operatori professionali del settore delle comunicazioni elettroniche, che disponevano di strumenti (contrattuali e conoscitivi) idonei a prendere cognizione ed apprezzare il carattere illecito dei messaggi diffusi attraverso i propri mezzi tecnologici e che, cionondimeno, hanno consentito che la condotta illecita si realizzasse in tutta la sua portata lesiva;

– che le giustificazioni addotte, tendenti a dimostrare che esse hanno messo in opera ogni accorgimento necessario e sufficiente per evitare il prodursi della fattispecie illecita, non appaiono convincenti.

9.4. L’esame delle pertinenti pattuizioni contrattuali intercorse con il content provider dimostra in primo luogo che ciascuna delle appellanti disponesse contrattualmente di strumenti idonei a consentire un’indagine sul contenuto dei messaggi diffusi e che ciascuna di esse, in quanto operatore professionale del settore delle comunicazioni elettroniche, disponesse di strumenti idonei ad apprezzare il carattere illecito dei messaggi diffusi attraverso i propri mezzi tecnologici.

Il medesimo esame dimostra in secondo luogo che la violazione di tali stringenti pattuizioni aveva quale unico effetto la responsabilizzazione della controparte contrattuale.

Tutto ciò è evidentemente inaccettabile.

9.5. Ora, per quanto concerne le richiamate pattuizioni contrattuali, si osserva che:

– nel contratto di diffusione intercorso fra la soc. V. O. e la soc. D. (stipulato in data 1° febbraio 2007 e modificato il successivo 1° agosto) era espressamente previsto – art. 4, co. 2 – un obbligo di previa comunicazione del contenuto informativo dei messaggi da parte del content provider (sia pure ai fini del rilascio di un’autorizzazione da parte del carrier a tutela dei propri interessi imprenditoriali);

– nel contratto intercorso fra la soc. W. T. e la soc. D. – artt. 2 e 6 – erano previsti specifici meccanismi preventivi di controllo da parte del carrier in ordine al contenuto dei messaggi. In particolare, l’art. 2 consentiva alla soc. W. T. di rifiutare e/o chiedere di eliminare in qualsiasi momento i contenuti forniti da D., mentre il successivo art. 6 obbligava il content provider a sottoporre preventivamente al carrier, con almeno 10 giorni lavorativi di anticipo, il contenuto dei progetti di comunicazione pubblicitaria.

Anche in questo caso, l’appellante sottolinea che il contenuto delle clausole contrattuali non era tale da consentire un controllo di tipo editoriale sul contenuto delle campagne pubblicitarie (ad es., al fine di individuare possibili profili di abuso), limitandosi – piuttosto – ad una mera verifica preventiva circa profili coinvolgenti gli interessi aziendali della società carrier;

– nel contratto intercorso fra T. I. e la soc. D. – art. 8 – era espressamente prevista la previa sottoposizione dei messaggi oggetto di diffusione al carrier, anche se la soc. T. I. osserva che la richiamata previsione contrattuale era finalizzata unicamente a consentire alla soc. T. I. di salvaguardare la propria immagine commerciale "all’evidente fine di tutelarsi preventivamente dalla diffusione di contenuti dei servizi ritenuti offensivi o comunque non adeguati all’utenza di TI" (ricorso in appello, pag. 9)

9.5.1. L’esame delle richiamate pattuizioni rende palese che, laddove si avallasse in via applicativa il criterio distributivo proposto dalle società appellanti, si ammetterebbe la sostanziale disapplicazione in via pattizia dei criteri legali di determinazione della responsabilità da illecito (criteri certamente ascrivibili all’ambito delle clausole di ordine pubblico e in quanto tali sottratti al potere dispositivo dei soggetti privati). Ancora, laddove si consentisse il pieno dispiegarsi delle richiamate clausole di manleva, si ammetterebbe l’introduzione per via pattizia di nuove ipotesi scriminanti destinate ad operare nell’ambito (evidentemente, indisponibile) della disciplina degli illeciti amministrativi;

– che le odierne appellanti non possano addurre a propria discolpa la circostanza per cui la controparte contrattuale (i.e: il content provider), contravvenendo alla lettera e allo spirito delle richiamate pattuizioni, non avesse in concreto reso informazioni tempestive e puntuali in ordine al contenuto delle campagne pubblicitarie oggetto di diffusione, in tal modo precludendo la possibilità per il carrier di operare un controllo effettivo sui richiamati contenuti. Ciò, in quanto, l’iniziale previsione di un pervasivo sistema di comunicazioni e approvazioni preventive; il carattere di particolare qualificazione professionale degli stessi carrier (primari operatori del settore delle comunicazioni elettroniche e anch’essi attivi nel settore pubblicitario) nonché l’immediata cointetessenza economica nei risultati delle campagne pubblicitarie in questione (attraverso il meccanismo di remunerazione c.d. di "revenue sharing’), erano tutti elementi tali da innestare in capo alle attuali appellanti un onere specifico di prevenire la realizzazione di condotte illecite attraverso gli strumenti tecnologici posti a disposizione delle proprie controparti negoziali;

– che, riguardando la condotta censurata sotto l’angolo visuale dell’illecito di tipo commissivo, la conoscenza (o la conoscibilità) del contenuto delle campagne pubblicitarie costituisce il presupposto sul quale si fonda la condivisione e la cointeressenza nei confronti della condotta illecita;

– che, conseguentemente, anche ad ammettere la violazione da parte del content provider degli obblighi di comunicazione preventiva assunti contrattualmente, ciò non potrebbe determinare un effetto scriminante nei confronti delle odierne appellanti, le quali avevano omesso in modo colpevole di predisporre un adeguato sistema di controlli preventivi (certamente esigibile alla luce delle circostanze del caso concreto) e – in ogni caso – avevano omesso di ricorrere in concreto anche gli stessi strumenti di controllo e prevenzione negozialmente stabiliti;

9.6. Il Collegio osserva, inoltre, che il meccanismo di distribuzione degli oneri di preventiva vigilanza dinanzi richiamato non determina (contrariamente a quanto affermato dalle appellanti con argomentazioni di analogo tenore) una sostanziale traslazione in capo a soggetti privati dei poteri di vigilanza e controllo sugli illeciti sanzionabili, tipicamente spettanti all’Autorità di settore. E’ evidente al riguardo che la prospettazione delle appellanti sarebbe in astratto percorribile solo laddove si condividesse il relativo presupposto logicofattuale (ossia, che l’attività di verifica e controllo imposta ai carrier si innestasse su un fatto altrui – lo svolgimento di un’attività pubblicitaria da parte del content provider, cui il carrier restava essenzialmente estraneo, senza che su di essi gravassero puntuali obblighi di facere -). Tuttavia, la prospettazione in parola risulta radicalmente da escludere se solo si osservi che l’omissione contestata alle appellanti non riguarda in alcun modo un controllo di tipo pubblicistico relativo a una condotta altrui cui il soggetto onerato restava sostanzialmente estraneo, ma riguarda – al contrario – un fatto commissivo proprio, contrario alla condotta possibile ed alternativa, la quale era in concreto esigibile sulla base del concreto atteggiarsi del regolamento negoziale;

9.6.1. Si osserva, ancora, che non può trovare accoglimento la tesi delle appellanti secondo cui non sarebbe stato esigibile nei loro confronti un comportamento tale da prevenire ed impedire il verificarsi della condotta sanzionata attraverso un adeguato (ma onerosissimo) sistema di controlli preventivi sui contenuti e le modalità delle campagne pubblicitarie. Ed infatti, pur non potendosi sottacere l’indubbia complessità tecnicoorganizzativa del sistema di controlli reso necessario dalla tipologia e dal numero delle attività pubblicitarie poste in essere, è altresì certo che non sussistesse nella specie alcun impedimento di carattere assoluto alla sua realizzazione. E’ altresì certo che il quantum di esigibilità nell’attivazione di rimedi di tipo preventivo deve essere in concreto modulato tenendo in adeguata considerazione: a) la diretta cointeressenza economica delle odierne appellanti alla riuscita e diffusione dei messaggi pubblicitari oggetto di contestazione; b) la notevolissima dimensione organizzativa delle appellanti (primari operatori di mercato); c) la loro indubbia attitudine (in qualità di operatori del settore delle telecomunicazioni, a propria volta dotati di coacervata esperienza nel settore pubblicitario) ad apprezzare i profili di ingannevolezza contenuti nelle campagne oggetto di contestazione

10. Per le ragioni sin qui esaminate, non risulta determinante ai fini della presente decisione stabilire se uno specifico onere di verifica e controllo spettasse in capo alle odierne appellanti anche in applicazione dell’art. 18 del d.m. 2 marzo 2006, n. 145 (‘regolamento recante la disciplina dei servizi a sovraprezzo’).

11. Tracciando alcune conclusioni sui punti sin qui esaminati, è possibile affermare:

a) che le odierne appellanti avessero apportato un contributo efficiente certamente determinante sotto il profilo eziologico al fine di rendere possibile il realizzarsi della condotta illecita oggetto dell’attività sanzionatoria da parte dell’Autorità;

b) che l’apporto concausale riferibile alle odierne appellanti era riconducibile ad un’ipotesi di illecito di tipo commissivo, e quindi alla previsione di cui all’art. 5, l. 689 del 1981 (in tema di concorso di soggetti nell’illecito amministrativo), per avere le appellanti contribuito con un apporto cosciente e volontario alla realizzazione delle campagne informative, condividendone in ultima analisi il contenuto e le stesse finalità imprenditoriali;

c) che, inoltre, il comportamento posto in essere dalle società appellanti era altresì riconducibile a un’ipotesi di responsabilità per comportamento colpevole, per non aver posto in essere un adeguato setting di strumenti di verifica e controllo (che, pure, rientrava nella loro disponibilità ed era in capo a loro concretamente esigibile) tale da impedire il verificarsi dell’illecito amministrativamente sanzionato;

d) che la fattispecie di responsabilità in tal modo posta in essere non assumeva i caratteri tipici di una responsabilità di tipo oggettivo (o per fatto altrui), ma si connotava dei caratteri tipici di una responsabilità per fatto proprio e colpevole, sì da giustificare l’adozione delle determinazioni sanzionatorie impugnate nell’ambito del primo grado di giudizio.

12. In base a quanto sin qui esposto, i ricorsi numm. 1976/09 (V. O.), 2468/09 (W. T.) e 2599/09 (T. I.) devono essere respinti.

12.1. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

13. Devono, a questo punto, essere esaminati i ricorsi numm. 2610/09, 2611/09 e 2612/09 con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiesto la riforma delle pronunce in epigrafe per la parte in cui hanno disposto l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori per ciò che attiene la quantificazione delle sanzioni.

Come si è esposto in narrativa, il provvedimento dell’Autorità n. 17856/08, tenuto conto della specifica gravità della condotta posta in essere dalla soc. D., la capacità diffusiva del mezzo tecnico utilizzato, la durata della condotta e l’importanza economica della società in questione, l’aveva condannata a una sanzione pecuniaria pari ad euro quarantamila.

Per quanto concerne gli altri operatori appellanti, l’Autorità aveva così deciso:

– quanto alla soc. V. O., tenuto conto della sua posizione e dimensione economica, nonché dell’aggravante rappresentata da una recidiva di carattere specifico, l’aveva condannata a una sanzione pecuniaria pari ad euro settantamila;

– quanto alla soc. W. T., tenuto conto della sua posizione e dimensione economica, nonché dell’aggravante rappresentata da una recidiva di carattere specifico, l’aveva condannata a una sanzione pecuniaria pari ad euro sessantacinquemila;

– quanto alla soc. T. I., tenuto conto della sua posizione e dimensione economica (si tratta del principale operatore nazionale del settore), nonché dell’aggravante rappresentata da una recidiva di carattere specifico, l’aveva condannata a una sanzione pecuniaria pari ad euro settantacinquemila.

Le pronunce in epigrafe hanno annullato in parte qua le richiamate determinazioni sanzionatorie, censurando in particolare l’assenza di congruità nella ponderazione dei ruoli rivestiti da ciascuna delle società sanzionate ai fini della quantificazione della sanzione.

In particolare, i primi Giudici hanno osservato che apparisse illogico aver assoggettato gli operatori telefonici (nella loro veste di soggetti carrier e meri "coautorì della condotta sanzionata) a un ammontare sanzionatorio addirittura superiore rispetto a quello disposto nei confronti del content provider D., di cui non poteva comunque essere disconosciuto il ruolo di principale artefice dell’illecito sanzionato.

Il richiamato capo delle pronunce in epigrafe è stato gravato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale ha osservato:

– che l’apporto concausale fornito dagli operatori telefonici alla realizzazione dell’illecito, pur se ontologicamente diverso rispetto a quello realizzato dalla soc. D., non poteva sic et simpliciter giustificare un giudizio di minore gravità dell’apporto fornito dai primi rispetto a quello fornito dall’autore principale dei messaggi;

– che il ruolo di meri "coautorì accertato in capo agli operatori telefonici non poteva giustificare un apodittico giudizio di minore gravità della condotta da questi posta in essere;

– che, in definitiva, il provvedimento sanzionatorio dovesse essere considerato congruo e motivato per la parte in cui aveva attribuito rilievo, ai fini della quantificazione della sanzione: a) al carattere determinante dell’apporto concausale fornito da ciascun compartecipe; b) alla diretta riferibilità della condotta sanzionata anche agli operatori telefonici in considerazione degli elementi di responsabilità editoriale e di cointeressenza economica; c) alla valutazione della determinazione economica di ciascun compartecipe.

14.1. I motivi dinanzi sinteticamente richiamati sono meritevoli di accoglimento.

14.2. Dal punto di vista sistematico occorre premettere che i criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie nelle materie di cui al d.lgs. 206 del 2005 sono rinvenibili nell’ambito dell’art. 11 della l. 689 del 1981, a tenore del quale "nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche".

La disposizione in questione risulta idonea a governare la vicenda di causa per ciò che attiene alla determinazione del quantum della sanzione (ed infatti, ai sensi del comma 13 dell’art. 27, d.lgs. 206, cit. – nella formulazione ratione temporis rilevante – per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni in tema di tutela dei consumatori, si osservano -inter alia – le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 12, l. 689, cit.).

Ancora dal punto di vista generale, deve essere nel caso di specie richiamato il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui l’attività determinativa del quantum della sanzione irrogata (nonché, più a monte, il giudizio di sussunzione delle peculiarità del caso di specie entro i criteri determinativi normativamente indicati) costituisce esplicazione di una lata discrezionalità, con la conseguenza che l’operazione valutativa in tal modo posta in essere non possa essere sindacata in sede di giudizio di legittimità, laddove risulti congruamente motivata e scevra da vizi logici (Cass. Civ., I, 16 aprile 2003, n. 6020).

Impostati in tal modo i termini sistematici della questione, il Collegio ritiene che l’attività determinativa posta in essere dall’Autorità risulti esente dai vizi rilevati dai primi Giudici, se solo si osservi:

– che l’Autorità ha puntualmente tenuto conto, ai fini determinativi, di un complesso di circostanze certamente compatibili con la litera e la ratio dell’art. 11, cit. (ruolo ricoperto da ciascun coautore nell’ambito della fattispecie illecita, specifica gravità dei singoli apporti, rilevanza economica del singolo coautore, sussistenza di specifiche circostanze aggravanti);

– che, in particolare, la motivazione del provvedimento sanzionatorio appare conforme al paradigma di riferimento laddove ha affermato che, a parità di ulteriori condizioni, si sarebbe tenuto conto ai fini determinativi, della consistenza economica di ciascun compartecipe (si tratta di un criterio espressamente richiamato dall’art. 11, cit.);

– che le sentenze in epigrafe non risultano persuasive laddove hanno enfatizzato il dato relativo alla diversa qualità dell’apporto di ciascuno dei coautori del fatto illecito, ritenendo irragionevole la scelta conclusiva di assoggettare a una sanzione di importo maggiore l’autore principale della condotta e a una sanzione di importo inferiore i meri soggetti coautori;

– che le decisioni in questione non tengono in adeguata considerazione la circostanza per cui (per le ragioni dinanzi richiamate sub 8.3.) ciascuno dei compartecipi alla condotta oggetto di sanzione avesse apportato un contributo concausale indefettibile ai fini della realizzazione della condotta decettiva, senza che l’apporto fornito dalla soc. D. potesse essere ritenuto per definizione di maggiore gravità, laddove posto in comparazione con quello fornito dagli operatori telefonici. Al contrario, per le ragioni dinanzi richiamate, detti operatori avevano apportato alla fattispecie un contributo determinante sotto il profilo concausale, avevano agito con azioni e omissioni colpevoli e avevano ritratto dalla complessiva condotta illecita un diretto vantaggio economico di ammontare tanto maggiore, quanto maggiore era la dimensione economica e la quota di mercato detenuta;

– che la maggiore dimensione economica degli operatori di telefonia mobile rispetto a quella del content provider non aveva assunto un rilievo esclusivo e determinante ai fini della quantificazione della sanzione, costituendo – piuttosto – solo uno degli elementi a tal fine tenuti in considerazione (nell’ambito di un giudizio di ponderazione nel suo complesso congruo e motivato). Di ciò è riprova diretta dalla comparazione stessa degli importi delle sanzioni, la quale palesa che a fronte di un peso economico (quello del content provider) certamente inferiore, l’importo finale delle sanzioni irrogate è stato di entità comparabile (attestandosi in un range compreso fra quarantamila e settantamila euro). Il che dimostra che, comunque, l’Autorità ha considerato comparativamente più grave la condotta realizzata dall’autore in via principale della campagna pubblicitaria contestata.

14.3. In definitiva, i ricorsi numm. 2610/09, 2611/09 e 2612/09 devono essere accolti e per l’effetto, in riforma delle pronunce oggetto di gravame, deve essere disposta la reiezione dei ricorsi proposti in primo grado anche per quanto concerne le censure mosse avverso la determinazione del quantum sanzionatorio operato dall’Autorità.

15. Per le ragioni sin qui esposte, i ricorsi numm. 1976/09 (V. O.), 2468/09 (W. T.) e 2599/09 (T. I.) devono essere respinti.

Al contrario, i ricorsi proposti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e recante i numm. 2610/09, 2611/09 e 2612/09 devono essere accolti, con conseguente riforma delle pronunce oggetto di gravame, nel senso dell’integrale reiezione dei ricorsi proposi in primo grado dagli operatori telefonici.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo..
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, così decide:

Respinge i ricorsi numm. 1976/09, 2468/09 e 2599/09;

Accoglie i ricorsi numm. 2610/09, 2611/09 e 2612/09 e per l’effetto, in riforma delle pronunce oggetto di gravame, dispone l’integrale reiezione dei ricorsi proposti in primo grado

Condanna la soc. V. O. NV, la soc. W. T. s.p.a. e la soc. T. I. s.p.a. alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 10.000 (diecimila) a carico di ciascuna di esse, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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