Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-04-2011, n. 2249

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

elega dell’avvocato Triggiani;
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 7 ottobre 2006, il competente Direttore del Settore Ecologia ed Ambiente della Provincia di Taranto, dopo aver indicato la società I. s.p.a. come "responsabile dell’inquinamento rilevato a circa 3 metri di distanza dalla banchina in esame ed a 13 mt. circa di profondità dal mare determinato a seguito della movimentazione del petcoke effettuato presso il Terminal Rinfuse (…)", diffidava la medesima a conformarsi entro trenta giorni dalla notifica dell’ordinanza a quanto disposto dal Titolo V della Parte IV del d.lgs. 152 del 2006 (si tratta del complesso di disposizioni in tema di "Bonifica di siti contaminatì contenute nel c.d. "Codice dell’Ambiente’).

Nella specie, la provincia di Taranto riferiva che il provvedimento in questione era fondato:

A) da un lato, sulle informazioni rese note dalla Procura della Repubblica in relazione all’indagine relativa all’inquinamento determinato dall’attività di movimentazione di petcoke da parte della ricorrente sul Molo Polisettoriale di Taranto presso il sito Terminal Rinfuse;

Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato evidenziava che dalle analisi svolte sui campioni prelevati dal Nucleo Sommozzatori della Regione Carabinieri Puglia nel luglio del 2006 era emerso quanto segue:

– per quanto concerne i campioni di sedimenti marini, risultavano superate le concentrazioni standard di qualità per i sedimenti marini di cui alla tabella 2, allegato A al D.M. 367 del 2003, cit., con particolare riguardo agli I.P.A. e ad alcuni metalli (in particolare: arsenico);

– per quanto concerne i campioni di acqua di mare di fondo, risultavano superati i valori relativi alle concentrazioni standard di cui alla tabella 1/A dell’allegato 1 alla parte terza del d.lgs. 152 del 2006, con particolare riguardo agli I.P.A. (valore di quattro volte superiore rispetto alla concentrazione standard) e all’arsenico (valore di quattro volte superiore rispetto alla concentrazione standard);

B) dall’altro, sulle informazioni contenute in una relazione di servizio stilata dalla Polizia Provinciale di Taranto a seguito di sopralluogo in data 26 marzo 2004 sull’area concessa alla ricorrente.

In particolare, a seguito del sopralluogo in parola era emerso che, in relazione all’area adibita allo stoccaggio di carbone (petcoke) in uso alla ricorrente (di superficie superiore a 2.000 mq.), non erano stati realizzati i necessari accorgimenti volti ad impedire ovvero ad aggravare lo stato di contaminazione del sito.

Ed infatti, all’esito del richiamato sopralluogo era emerso:

– che la ricorrente non aveva posto in essere "adeguati sistemi di raccolta delle acque meteoriche", dal momento che i pozzetti erano "insufficienti a contenere le acque riferite a fenomeni metereologici anche di piccola portata";

– che la ricorrente non aveva posto in essere quanto necessario onde evitare che la movimentazione sulla banchina del petcoke producesse emissioni polverose in atmosfera.

2. In particolare, nell’occasione la Polizia provinciale aveva accertato che "l’attività di carico e scarico del petcoke è sicuramente soggetta a produzione di emissioni polverose in atmosfera e pertanto autorizzata, ma non risulta compiutamente corredata da tutti i sistemi tecnologicamente adeguati alla riduzione delle emissioni in quanto (il materiale filmante idoneo ad impedire la diffusione della polveri) era esteso solo in parte, o comunque non rimesso al termine quotidiano dei lavori, così come vi è il mancato uso della vasca di contenimento all’uopo realizzata. Prova ne è la diffusione in tutta l’area delle polveri e del fango da esse prodotto associato all’acqua, ben oltre la superficie dotata di cordolo che era in alcuni punti è anche in pessime condizioni di tenuta con accumuli consistenti di polveri di carbone al suo esterno, anche sotto forma di fango, ed anche sul ciglio del molo, con infiltrazione in una condotta interrata tramite le griglie mal coperte dalla guaina ivi poggiata".

3. Il provvedimento provinciale in parola (e gli atti ad esso prodromici) veniva impugnato dalla società I. innanzi al T.a.r. per la Puglia, sezione di Lecce.

Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.a.r. ha respinto il ricorso.

4. Per ottenere la riforma di tale sentenza ha proposto appello la società I. s.p.a.

Alla pubblica udienza del 15 febbraio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello proposto dalla società I. s.p.a. è affidato ai seguenti motivi:

1) in presenza di siti di interesse nazionale (quale è quello oggetto del presente giudizio) la competenza ad ordinare gli interventi di bonifica di cui all’art. 244 d.lgs. n. 152/206 non spetta alla Provincia, ma al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

2) in ogni caso, pure se si ammettesse che anche nel di un sito di interesse nazionale possa permanere la competenza della Provincia ad adottare le ordinanza di cui all’art. 244 d.lgs. n. 152/2006, la Provincia stessa non può mai esercitare il potere di ordinanza senza almeno consultare il Ministero dell’Ambiente in sede istruttoria, violando altrimenti il principio di leale collaborazione;

3) la Provincia, inoltre, non ha preso in considerazione il progetto preliminare di caratterizzazione ambientale dell’area marinocostiera prospiciente i siti di interesse nazionale di Taranto già elaborato dall’I.C.R.A.M., il quale aveva ritenuto inopportuno e inverosimile provvedere al compimento di operazioni isolate di qualsiasi genere su piccole aree di amare circoscritte, al di fuori di un quadro organico ed unitario di interventi necessariamente contestuali e coordinati sulla altre aree marine dei macrolotti in cui è stato suddiviso il sito di interesse nazionale; con l’ulteriore paradossale conseguenza che, per adempiere all’obbligo di facere impartito dalla Provincia, I. dovrebbe violare l’obbligo di non agire in maniera atomistica, ossia di non assumere iniziative individuali al di fuori del quadro unitario di interventi tracciato dai provvedimento del Ministero dell’Ambiente e dall’attività di caratterizzazione già svolta dall’I.C.R.A.M.

4) la Provincia non ha in alcun modo provato, esperendo le opportune indagini istruttorie richieste dalla legge, che la rilevata presenza di IPA e di Metalli nei fondali delle acque marine vicino alla banchina in concessione ad I. sia addebitabile all’attività di movimentazione di petcoke effettuata da I. nell’area portuale di propria pertinenza, piuttosto che gli effetti di altre attività industriali svolte da soggetti diversi da I.. E’ mancato, quindi, ogni accertamento in ordine all’imputabilità soggettiva della fonte della contaminazione, che particolarmente in caso di atti così incisivi nella sfera del privato avrebbe dovuto essere compiuto con massima cura e rigore scientifico. In ordine a tale profilo, l’appellante deduce numerosi elementi istruttori dai quale sarebbe desumibile, per un verso, l’inattendibilità della valutazione tecnica svolta dalla Provincia e, per un altro, l’assenza di responsabilità di I.;

5) il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe comunque nullo o comunque illegittimo per indeterminatezza dell’oggetto, perché non specifica con precisione quale è l’oggetto dell’adempimento richiesto, fissando peraltro un brevissimo termine per l’adempimento;

6) la Provincia ha disatteso il parere richiesto al dott. Loperfido, consulente esterno della Provincia di Taranto e componente della Conferenza Nazionale Rifiuti e Bonifiche presso il Ministero dell’Ambiente, senza nemmeno dar conto, nelle premesse e nella parte motiva del provvedimento, di aver chiesto tale parere;

7) l’ordinanza provinciale impugnata non è stata preceduta dall’acquisizione della valutazione tecnica del Comune di Taranto, che obbligatoriamente doveva essere assunta ai sensi dell’art. 244, comma 2, d.lgs n. 152/2006;

8) la Provincia ha adottato l’ordinanza impugnata semplicemente prendendo a prestito risultanze istruttorie di accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria, in totale difformità rispetto a quanto previsto negli allegati del Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006 e, senza osservare gli allegati tecnici relativi alle metodiche di campionamento, di analisi e di restituzione dei dati stabiliti nel Documento I.C.R.A.M. denominato "Modalità operative per l’esecuzione del piano preliminare di caratterizzazione ambientale dell’area ambientale prospiciente i siti di interesse nazionale di Taranto";

9) la condanna alle spese pronuncia in primo grado (2.000 Euro a favore della Provincia di Taranto e 2.000 Euro a favore dell’Autorità portuale di Taranto) sarebbe ingiusta, alla luce delle considerazioni svolte nell’appello.

2. L’appello non merita accoglimento.

3 Il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato abbia ad oggetto esclusivamente l’adozione da parte di I. delle misure necessarie per la messa in sicurezza del sito, ovvero delle iniziative volte ad impedire quanto meno l’aggravamento dell’inquinamento riscontrato nell’area.

Tali misure, che a differenza di quanto deduce l’appellante non sono affatto indeterminate o generiche, perché, come già osservato dal T.a.r., si ricavano con sufficiente previsione dal contesto generale del provvedimento impugnato, consistono, in particolare nella eliminazione delle cause che, ad avviso della Provincia, avevano certamente contribuito all’inquinamento del sito, ovvero: a) l’insufficienza dei pozzetti per lo smaltimento delle acque meteoriche; b) il mancato uso della vasca di contenimento; c) la cattiva copertura delle griglie poste in prossimità del ciglio del molo.

4. Così ricostruito il contenuto del provvedimento (che deve quindi intendersi limitato esclusivamente alle misure necessarie per la messa in sicurezza del sito e volte ad eliminare le cause di possibile aggravamento dell’inquinamento riscontrato), va certamente disatteso anche il motivo con cui si fa valere l’incompetenza della Provincia.

Il Collegio, infatti, ritiene che l’art. 252 d.lgs. n. 152/2006, in relazione ai siti di interesse nazionale, devolva al Ministero dell’Ambiente la sola competenza in merito alle procedure di bonifica, lasciando, invece, inalterata la competenza della Provincia, desumibile dell’art. dall’art. 244 cit., ad ordinare l’adozione delle misure ritenute, in via provvisoria necessarie per la messa in sicurezza di emergenza, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente del sito di competenza statale.

A favore di tale conclusione, secondo cui, anche nei siti di interesse nazionale l’esclusiva competenza ministeriale di cui all’art. 252 cit. comprende soltanto le misure di bonifica e di messa in sicurezza permanente, ma non anche quelle di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza depongono le seguenti considerazioni.

4.1. Sul piano letterale, tale tesi trova riscontro nell’art. 252, il quale, nel rinviare all’art. 242, devolve al ministero dell’Ambiente la sola competenza in relazione a procedure di bonifica, in relazione ai siti di interesse nazionale, senza però menzionare i provvedimenti espressamente attribuiti alla competenza provinciale dall’art. 244.

Per meglio delimitare il contenuto dei provvedimenti che rientrano nella competenza provinciale occorre rapidamente ripercorrere i tratti salienti della procedura di bonifica descritta dagli artt. 242 e ss.

Queste norme prevedono che, in presenza di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito, il procedimento amministrativo relativo alla bonifica possa iniziare o su iniziativa del soggetto privato responsabile dell’inquinamento o su iniziativa dell’Amministrazione.

Nel primo caso, il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. Qualora l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate In tal senso, si esprime chiaramente l’art. 242, commi 2, e 3, il quale, quindi, prevede l’obbligo del privato di responsabile, nelle more del procedimento di bonifica, di adottare le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza, dandone comunicazione all’Amministrazione.

Nel caso in cui, invece, in assenza di una segnalazione del privato, il procedimento inizi d’ufficio viene in rilievo l’art. 244, il quale prevede che, la Provincia, "dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo".

Tale norma deve essere letta nel senso che la Provincia abbia il potere di ordinare al responsabile dell’inquinamento l’adozione di quelle misure, preventive e di messa in sicurezza d’emergenza, che egli, ai sensi dell’art. 242, commi 1 e 2, avrebbe già dovuto adottare di sua iniziative.

4.2. Tale competenza provinciale permane anche in presenza di un sito di interesse nazionale.

Va, infatti, evidenziato che:

a) l’art. 244 non distingue tra siti di interesse nazionale e siti diversi; b) l’art. 252 riserva al Ministero soltanto le procedure di bonifica di cui all’art. 242, facendo riferimento ad una fase del procedimento certamente successiva rispetto a quella in cui si innesta la competenza provinciale; c) nel momento in cui la Provincia adotta l’ordinanza di cui all’art. 244 non è nemmeno certo che il sito necessiti di bonifica (perché non è stato ancora accertato il superamento delle soglie di cui all’art. 242, comma 2); d) sul piano della ratio, del resto, tale interpretazione trova ulteriore conferma nella considerazione che la messa in sicurezza d’emergenza presuppone esigenze di celerità che possono certamente giustificare la deroga alla competenza ministeriale a favore dell’Amministrazione più vicina al territorio contaminato e, quindi, presumibilmente meglio in grado di intervenire rapidamente.

5. Appurato che la competenza in ordine alla messa in sicurezza d’emergenza permane alla Provincia, in attesa dell’intervento statale, non meritano certamente accoglimento le censure con le quali si lamenta la mancata consultazione preventiva del Ministero dell’Ambiente (non necessaria, data la diversità delle competenze rispettivamente spettanti alla Provincia e al Ministero) e la presunta incompatibilità fra l’adozione da parte della Provincia dell’impugnata ordinanza e il piano di caratterizzazione dell’I.C.R.A.M. Il piano dell’I.C.R.A.M. rappresenta, infatti, il presupposto per l’esercizio di un potere, di competenza ministeriale, diverso da quello spettante alla Provincia e tradottosi nell’adozione dell’ordinanza impugnata.

6. L’appello è fondato anche nella parte in cui contesta, sotto diversi profili, la carenza di istruttoria in ordine all’accertamento della responsabilità della I. in merito all’inquinamento riscontrato.

Come già rilevato dal T.a.r., la valutazione della Provincia circa l’imputabilità dell’inquinamento riscontrato all’attività di movimentazione di petcoke svolta dalla ricorrente sulla banchina in concessione risulta attendibile sotto il profilo tecnico e congruamente motivata, in relazione alle numerose circostanze emergenti dagli atti di causa.

Dalle indagini tecniche sulla cui base è stato adottato il provvedimento è emersa, sul fondale marino prospiciente la banchina ove il petcoke viene scaricato, la presenza di un accumulo, di circa tre metri, di polveri di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) (che rappresentano rilevanti fattori di rischio nella eziopatogenesi delle affezioni neoplastiche polmonari ed amatologiche) e di metalli direttamente derivanti dal petcoke (nichel e cromo).

L’imputabilità di tale fenomeno alla società I. è stata, fra l’altro, logicamente dedotta dalla circostanza che sul molo polisettoriale i concessionari sono solo due: uno che movimenta containers (e, quindi, con ogni probabilità non responsabile del predetto accumulo) e, l’altro, l’Italcave appunto, che movimenta petcoke.

Si può quindi certamente condividere la conclusione cui giunge la sentenza appellata, nel senso che, dalle, risultanze in atti, si evince, ogni oltre ragionevole dubbio, che il superamento dei valori soglia relativi ad alcune sostanze e metalli pericolosi per la salute e l’ambiente sia addebitabile all’attività di movimentazione svolta dalla ricorrente.

7. Né vale a togliere rilevanza agli accertamenti compiuti dalla Provincia in ordine al superamento dei valori di CSC, l’eventuale circostanza che altri fattori potrebbero avere a propria volta contribuito all’inquinamento dell’area in questione, in quanto la presenza di eventuali cause concorrenti non escluderebbe comunque la corresponsabilità dell’odierna appellante.

Ugualmente, tali accertamenti non sono inficiati dalla circostanza, valorizzata dall’appellante nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza di discussione, secondo cui le analisi di caratterizzazione pubblicate nel sito web del Ministero dell’Ambiente in data 4 febbraio 2009 dimostrerebbero che non sussiste alcuno dei denunciati "superamenti" dei valori di CSC nell’area marina prospiciente la marina.

Giova, al riguardo, evidenziare che il provvedimento oggi in contestazione, adottato dalla Provincia ai sensi dell’art. 244 d.lgs. n. 152/2006 ha come si è già ricordato, natura e presupposti diversi rispetto al provvedimento, di competenza ministeriale, che ordina le misure di bonifica e che presuppone, ai sensi dell’art. 242, l’analisi di caratterizzazione.

Si tratta, infatti, di un provvedimento di natura provvisoria, volto a porre rimedio ad una situazione di emergenza mediante misure di messa in sicurezza provvisorie, in attesa del definitivo accertamento, da parte del Ministero, dei presupposti per disporre le misure definitive di bonifica e messa in sicurezza permanente.

I risultati dell’analisi di caratterizzazione, sulla cui base il Ministero ha adottato successive provvedimenti di bonifica (che, peraltro, sono ancora sub iudice), non può, quindi, essere invocata per sostenere l’inattendibilità delle indagini preliminare sulla cui base la Provincia di Taranto, in una fase anteriore del procedimento, ha ritenuto, invece, sussistenti i presupposti per la messa in sicurezza d’emergenza. In altri termini, l’eventuali illegittimità del provvedimento di bonifica (peraltro, allo stato, non ancora definitivamente accertata) non avrebbe l’automatico effetto di invalidare anche gli atti preliminari della procedura, quale quello oggi in contestazione.

8. Infondato è anche il motivo relativo al presunto eccesso di potere per la mancata considerazione (aggravata dall’assenza di motivazione sul punto) dell’apporto consultivo di tipo tecnico del dott. Loperfido.

Al riguardo si rileva, innanzitutto, che, una volta accertata la sussistenza dei presupposti per l’emanazione del provvedimento, la mancata espressa considerazione del contrario parere espresso da un consulente dell’Amministrazione non può valere ad inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, la cui motivazione si fonda comunque su considerazioni che danno ampiamente conto delle ragioni per le quali si è ritenuto di non seguire quella consulenza. Inoltre, come correttamente rileva la Provincia, tale parere, a rigore, non fa neanche parte del procedimento amministrativo sfociato nell’adozione del provvedimento impugnato, trattandosi di un allegato ad una nota (prot. N. 50726 del 2 novembre 2006) inviata dal Settore Ecologia della Provincia di Taranto alla Procura della Repubblica di Taranto in relazione ad un’attività investigativa su situazioni non del tutto coincidenti con quelle oggetto del presente ricorso.

9. Ugualmente non ha pregio il motivo con cui si lamenta la mancata acquisizione del parere tecnico del Comune di Taranto.

La Provincia, infatti, con nota prot. N. 46895 del 10 ottobre 2006 ha chiesto al Comune di Taranto di "espletare le opportune valutazioni prescritte dall’art. 244 comma 2, del citato decreto legislativo preliminari alla emissioen della suddetta ordinanza entro il termine di sette giorni al ricevimento della presente ordinanza".

Non essendo pervenuta alcuna risposta dal Comune la Provincia ha provveduto autonomamente.

In questo modus procedendi non si ravvisa alcuna violazione di legge, atteso che l’art. 244 usa l’espressione "sentito il Comune" e non già "acquisito il parere del Comune".

10. Alla luce delle considerazioni che precedono, i motivi di appello si rivelano infondati o, comunque, irrilevanti.

L’appello va, pertanto, respinto, anche nella parte in cui contesta il capo (specificamente censurato con apposito motivo) relativo alla condanna alle spese. La condanna alle spese inflitta dal T.a.r. trova adeguata giustificazione nel principio di soccombenza ed è immune, anche in ordine al quantum, da qualsiasi profilo di illegittimità. In ordine a tale aspetto, peraltro, l’appello si riduce ad una contestazione del tutto generica.

11. Le spese del grado di appello devono, invece, essere compensate, ricorrendone i presupposti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del giudizio di appello compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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