Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 13-04-2011, n. 14976 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza dell’8.5.2010 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari disponeva la custodia cautelare in carcere di R.C. indagato per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73.

Avverso tale provvedimento l’indagato proponeva istanza di riesame.

Il Tribunale di Bari con ordinanza 7.6.2010 rigettava il ricorso.

Sosteneva il Tribunale l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato sulla scorta dei seguenti elementi:

intercettazioni telefoniche con contestuali servizi sul territorio che hanno portato a perquisizioni e sequestri di ingenti partite di stupefacenti e all’arresto di alcuni correi; atti di procedimenti collegati. Le risultanze investigative consentivano di acclarare l’esistenza di una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti in agro foggiano e garganico, capeggiata da F. V., coadiuvato nell’attività direttiva dal fratello R. e da T.P.. Costoro, per coordinare l’attività di spaccio al minuto, demandata ad un nutrito gruppo di spacciatori (in buona parte partecipi del sodalizio), o di vendita ad altri trafficanti, quali R.C. e G.M., anche loro organici al gruppo che si occupavano dello smercio su altre piazze, si avvalevano di propri fiduciari, fra i quali vi era D.S.P..

Il D.S. si occupava personalmente, dimostrando anche una certa autonomia gestionale, dell’organizzazione di cessioni di ingenti quantitativi di marijuana in favore dei grossi acquirenti foggiani identificati in R.C. e G.M.. In particolare richiamava la conversazione intercettata il 14.4.2008 (progr. N. 1181) dalla quale emergeva la continuità di rapporti fra D.S., G. e R. e la consapevolezza da parte degli acquirenti, in contatto anche con i vertici, di essere parte di un gruppo organizzato del quale condividevano le finalità.

Sottolineava il giudice del riesame che non poteva essere condivisa la deduzione difensiva, secondo la quale la circostanza che l’indagine aveva dimostrato che l’illecita attività ascritta all’indagato si sarebbe svolta nell’ambito di un solo mese impediva di ritenere lo stesso partecipe all’associazione in argomento, in quanto alcuni dati molto significativi, desumibili dalle numerosissime intercettazioni telefoniche, dimostravano la perfetta consapevolezza del R. di agire all’interno e nell’interesse del gruppo. Ribadiva che il grave quadro indiziario emerso dalle intercettazioni, a differenza da quanto sostenuto dalla difesa dell’indagato, era tutt’altro che presunto, considerato che proprio grazie al monitoraggio delle telefonate gli operanti avevano potuto il (OMISSIS) sequestrare kg. 1.5 di marijuana ed arrestare il R. in flagranza di reato. Aggiungeva il Tribunale che le sussistenti esigenze cautelari potevano essere tutelate solo con la detenzione carceraria.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’indagato deducendo come unico motivo l’illegittimità dell’ordinanza per omessa motivazione e violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Contesta che il Tribunale non ha motivato con riferimento alla gravità indiziaria dei reati fine ritenendo inopinatamente generiche le contestazioni avanzate dalla difesa.

Si duole del fatto, richiamando in maniera sintetica la conversazioni n. 109 del 20.3.2008 che l’operazione del 21.3.2008 risulterebbe non conclusa per mancanza di soldi da parte dei ragazzi foggiani.

Sostiene che analoghe considerazioni valgono anche per la cessione del 27.3.2008 e che il Tribunale, a fronte di suo specifiche censure non aveva dato una risposta. Si lamenta del fatto che il giudice del riesame in maniera contraddittoria ha affermato la partecipazione dell’indagato all’associazione in argomento, nonostante abbia indicato, richiamando specifiche conversazioni, che il D.S. si lamentava spesso che il R. era inaffidabile.

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

L’ordinanza del Tribunale del Riesame si appalesa sorretta da una argomentazione motivazionale logica ed esaustiva.

Si osserva sul punto che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure, che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente.

Va aggiunto che dal controllo di legittimità restano escluse le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi indizianti e la scelta di quelli determinanti, poichè la verifica di legittimità è limitata alla sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito il controllo sul contenuto della decisione.

Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dal ricorrente nè su altre spiegazioni fornite dalla difesa, per quanto plausibili.

Gli atti di indagine hanno determinato il Tribunale del riesame a ritenere l’indagato coinvolto nell’associazione diretta al narcotraffico in argomento e nei satelliti reati di spaccio.

A fronte di una completa ed esauriente motivazione dei giudici di merito, che hanno tratto dagli elementi acquisiti, individuati principalmente nelle intercettazioni telefoniche, esiti di perquisizione e sequestri, servizi sul territorio, indagini collegate, un quadro gravemente indiziario a carico dell’indagato, in relazione ai reati in argomento, le deduzioni del ricorrente si risolvono in censure di fatto alla valutazione operata dai giudici in ordine ai gravi indizi di reato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 cit., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di mille Euro alla Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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