Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 13-04-2011, n. 14971 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 13.7.2010 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce disponeva la custodia cautelare in carcere di: C.V., PR.Gi., M. C., P.S. indagati per violazione dell’art. 416 bis c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73, aggravati dalla L. n. 152 del 1991, art. 7, S.S. per violazione degli art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 aggravato dalla L. n. 152 del 1991, art. 7, CA.An. e M.M. per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73 aggravati dalla L. n. 152 del 1991, art. 7.

Avverso tale provvedimento gli indagati proponevano istanza di riesame.

Il Tribunale di Lecce con ordinanza 3.8.2010 rigettava il ricorso proposto da P.S. accoglieva parzialmente gli altri ricorsi. Con riguardo a S.S., CA.An. escludeva l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 per i reati scopo, già esclusa nella motivazione dal GIP; con riguardo a MI.Co. escludeva l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 per i reati sub b) e sub c) e con riguardo a PR. G. e M.M. escludeva l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 per il reato di cui al capo b) e il reato contestato al capo c) (acquisto di 10 kg. di hashish) perchè si era proceduto separatamente, con riguardo a C.V. escludeva l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 per i reati b) e c) e il reato contestato al capo e) (detenzione e porto di una pistola).

Sosteneva il Tribunale l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati con riguardo ai reati per cui l’ordinanza applicativa della misura è stata confermata sulla scorta dei seguenti elementi: intercettazioni telefoniche ed ambientali con contestuali servizi sul territorio che hanno portato a perquisizioni e sequestri. Dalle conversazioni intercettate emergeva che il latitante CA.Sa., noto e carismatico esponente della Sacra Corona Unita già condannato con sentenze irrevocabili, capeggiava un gruppo armato che, con metodo mafioso, operava sulla parte nord della provincia leccese realizzando estorsioni e trafficando in droga. Indicava che fra i suoi uomini vi erano:

P.S. che era stato formalmente affiliato al gruppo di CA.Sa. in carcere il 28 febbraio 2009. E’ chiamato (OMISSIS).

Secondo il Tribunale il P., con tale cerimonia di affiliazione, passava dal gruppo di V.L. a quello di CA.Sa. e, benchè detenuto, era a completa disposizione del gruppo criminale in argomento, come era dimostrato dalla lettera inviata al CA. dopo l’arresto di costui e dalla conversazione telefonica di quest’ultimo, intercettata il 6.3.2009, dalla quale emergeva che (OMISSIS) era a lui legato e a conoscenza delle attività del gruppo PR.Gi., detto (OMISSIS), sua longa manus, referente per la gestione di affari illeciti e il controllo del territorio che aspirava ad essere formalmente affiliato, secondo il tipico rituale della Sacra Corona Unita, per poter esercitare al meglio le funzioni delegategli dal CA. ed acquisire maggior autorevolezza criminale, richiesta che veniva esaudita il 28.2.2009, allorchè veniva affiliato assieme a C.V. e L.L., cerimonia officiata da PE.Gi..

Nella stessa data veniva affiliato in carcere P.S..

Il PR. aveva disponibilità di armi, come risulta dalla conversazioni intercettate e dagli esiti della perquisizione disposta presso la sua abitazione al momento della cattura del latitante CA..

Era lui ad occuparsi in prima persona della gestione dei ricavati delle varie attività illecite, utilizzando uomini di sua fiducia, quali PE.Gi., al fine di recuperare il denaro dovuto all’organizzazione da parti di acquirenti della sostanza stupefacente ed era sempre lui ad occuparsi del mantenimento dei detenuti e dei rapporti con i fornitori e con i clienti abituali di droga.

Lo stesso è stato arrestato in data (OMISSIS) perchè trovato in possesso di Kg. 10 di hashish.

Con lui c’era M.M..

M.M. si occupava del trasporto della sostanza stupefacente dai luoghi di acquisto (territorio barese) ai luoghi di spaccio (territorio leccese). Dall’ascolto delle conversazioni intercettate, effettuate con il cellulare a lui intestato, risulta la concreta partecipazione a due viaggi in terra barese: uno effettuato il (OMISSIS) e l’altro il (OMISSIS) che si è concluso con il suo arresto. Evidenziava il Tribunale che le complessive risultanze dell’indagine in argomento non si limitavano a registrare la partecipazione del M. ai soli due viaggi indicati, ma evidenziavano una progressiva e stabile ascesa criminosa dello stesso nel sodalizio in argomento; infatti, in un primo momento si era limitato a mantenere i contatti fra i sodali e a rendersi disponibile ad accompagnare qualcuno di questi, in un secondo momento, divenuti più stretti i legami con il PR. e il PE., era diventato l’autista del gruppo sempre disponibile a far fronte alle necessità dell’organizzazione. Lui stesso in sede di interrogatorio di garanzia ammetteva di avere svolto tali compiti perchè aveva bisogno di denaro.

S.S. aveva il compito di mantenere i contatti tra il marito, CA.Sa. ed i suoi sodali, durante la latitanza di quest’ultimo, nella piena consapevolezza della natura illecita di tali rapporti. In sintesi costituiva il trait d’union fra il marito latitante e i suoi uomini. Lei stessa nell’interrogatorio di garanzia ammetteva che PR. ed altri soggetti si presentavano da lei su indicazione del marito. Si occupava anche del reperimento e della distribuzione delle schede sim card "pulite" attraverso le quali CA. comunicava con lei ed i suoi uomini (sul punto veniva richiamata la conversazione intercettata il 2.3.2009).

CA. parlava apertamente con la moglie dei suoi traffici, come documentato da conversazioni intercettate. Sottolineava il Tribunale, richiamando alcuni episodi acclarati da conversazioni intercettate (cfr. ambientale n. 178 del 25.2.2009 e telefoniche n. 15 del 2.3.2009 e n. 75 del 3.3.2009) come la donna non si era limitata a svolgere un ruolo passivo, bensì un ruolo determinante nei contatti non solo fra il marito e i suoi sodali, ma anche fra gli stessi aderenti il gruppo in esame nella piena consapevolezza delle attività illecite svolte.

CA.An. detto (OMISSIS). Il Tribunale riteneva accertato il soprannome sulla scorta dell’intercettazione ambientale n. 203 registrata il 27.2.2009 dalla quale era dato apprendere che il PR. aveva appuntamento alle 15.30 con (OMISSIS) presso un bar.

PR. arrivava tardi all’appuntamento e si rivolgeva a tale F. chiedendogli se la persona con cui doveva incontrarsi era ancora al bar e costui gli rispondeva che A. era andato verso la strada di (OMISSIS). Dalle intercettazioni risultava non solo che CA.An., fratello di S., riceveva droga in conto vendita dal gruppo in esame per spacciarla, ma anche che costui era un soggetto non affidabile nei pagamenti, come invece era (OMISSIS), soprannome di MI.Co., nipote dei fratelli CA..

MI.Co. detto (OMISSIS), era soggetto inserito in entrambi i sodalizi criminali, quello mafioso e quello dedito al narcotraffico, gestiti dallo zio CA.Sa., con un ruolo, come emerge dalle conversazioni intercettate di "rilievo" che gli derivava non solo dalla parentela, ma soprattutto dal modo "professionale"di rapportarsi con gli altri membri del sodalizio.

Sottolineava il Tribunale che il MI. in sede di interrogatorio aveva negato il soprannome, ma tele dichiarazione è smentita dalle conversazioni dalle seguenti conversazioni intercettate lette in progressione (ambientale n. 211 del 27.2.2009 fra PR. e tale (OMISSIS) poi messo in comunicazione con CA.Sa. indicato come (OMISSIS) e nelle conversazioni telefoniche n. 11-13-15 del 2.3.2009 fra S., la moglie S.S. e il nipote MI.Co., dalle quali emerge con evidenza che C. e (OMISSIS) sono la stessa persona).

Le conversazioni intercettate evidenziano come il MI. fosse in forte ascesa delinquenziale nel gruppo dello zio.

Era infatti persona molto precisa che svolgeva in modo puntuale lo spaccio di droga e si mostrava affidabile anche per custodire "la cassa" del gruppo.

C.V. era l’uomo più vicino al PR..

La sua partecipazione alle associazioni in argomento è desunta dalle numerose conversazioni intercettate, in particolare quelle registrate sulla FIAT Punto tg (OMISSIS), Veniva formalmente affiliato il 28.2.2009.

Aggiungeva il Tribunale che le sussistenti esigenze cautelari ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, imponevano per tutti gli indagati la detenzione carceraria.

Ricorrono per cassazione i difensori degli indagati e personalmente PR. e C..

In particolare:

il difensore di P.S. deduce come unico motivo la mancanza di motivazione o comunque l’illogicità della motivazione.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale non ha indicato concreti elementi dai quali desumere l’avvenuta affiliazione in carcere del P..

Sottolinea come tale carenza non possa essere colmata dalla richiamata intercettazione ambientale del 27.2.2009 nella quale alcuni soggetti diversi dal P. parlano genericamente di affiliazione senza alcuna dimostrazione della volontà dell’indagato di essere affiliato.

Si duole che il Tribunale non ha tenuto conto della mancanza di contatti fra il CA. e il P. all’epoca della latitanza del primo e sottolinea come non emerga alcun sostentamento di quest’ultimo durante la detenzione da parte del clan CARAMUSCIO. Evidenzia come non vi sia alcun elemento circa il contributo dato dall’indagato al gruppo in argomento, sottolineando come non possa essere data valenza probatoria ad una cartolina di saluti che non dimostra altro che i due erano amici.

Il difensore di S.S. deduce mancanza e illogicità della motivazione, inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale non ha tenuto in considerazione una conversazione telefonica, la n. 11 del 2.3.2009 tra CA.Sa. e MI.Co., intercettata sull’utenza in uso a S.S., dalla quale emergerebbe che la donna non ha mai ricevuto dal marito denaro che non fosse quello necessario alla vita quotidiana del suo nucleo famigliare.

Sottolinea come gli elementi indicati dal Tribunale a carico della donna non realizzano la gravità indiziaria richiesta dalla legge considerato anche il suo status di moglie.

Evidenzia la mancanza del dolo dei reati in argomento.

Il difensore di MI.Co. deduce mancanza e illogicità della motivazione, inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Sottolinea il ricorrente come la circostanza che il PR. nella conversazione con il CA.Sa. intercettata il 27.2.2009 elogia la puntualità nei pagamenti del MI. dimostrerebbe che trattasi di soggetto con il quale non era solito trattare e quindi non stabilmente inserito nell’associazione.

Ad identica conclusione perviene con riguardo alla conversazione intercettata fra zio e nipote il 2.3.2009.

Il difensore di M.M. deduce mancanza e illogicità della motivazione, inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Sottolinea come l’indagato appaia solo in due viaggi, quello del (OMISSIS) e quello del (OMISSIS) che ha determinato il suo arresto, elementi che depongono per un’ipotesi concorsuale e non per la partecipazione stabile in un gruppo dedito al narcotraffico.

Il difensore di CA.An. deduce mancanza e illogicità della motivazione e violazione di legge con riguardo alla L. n. 152 del 1991, art. 7.

Contesta le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale sottolineando che l’unico dato certo è che la persona soprannominata (OMISSIS) si chiama A., ma A. è un nome molto comune.

Richiama altresì la conversazione intercettata il 5.11.2008 dalla quale emergerebbe che CA.An. non può identificarsi nella persona soprannominata (OMISSIS).

Con riguardo all’aggravante ex L. n. 152 del 1991, art. 7 riconosciuta dal Tribunale sussistente con riguardo alla violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 contesta come sia stata applicata con riguardo all’indagato in termini di responsabilità oggettiva PR.Gi. deduce manifesta illogicità della motivazione, travisamento del fatto.

Contesta il ricorrente che il Tribunale nel rigettare l’istanza di riesame si sia limitato a condividere le argomentazioni del GIP sottraendosi di fatto alle doglianze della difesa. Si duole del fatto che il Tribunale ha fatto propria un’ordinanza che si fonda su mere congetture che non possono equipararsi ai gravi indizi richiesti dalla legge. Evidenzia come le conversazioni intercettate non siano state riscontrate da alcuna seria attività investigativa e come non possa affermarsi che l’interlocutore del PR. fosse CA.Sa..

Nega valore di gravità indiziaria al tenore delle conversazioni ambientali intercettate sulla Fiat Punto (OMISSIS).

Sostiene che il Tribunale è incorso nel travisamento del fatto perchè non ha tenuto conto delle doglianze difensive.

C.V. deduce manifesta illogicità della motivazione, travisamento del fatto.

Lamenta che il Tribunale nel rigettare l’istanza di riesame si sia limitato a condividere le argomentazioni del GIP sottraendosi di fatto alle doglianze della difesa. Si duole del fatto che il Tribunale ha accostato la persona del C. ad attività illecite in assenza di qualsivoglia elemento indicativo della perpetrazione certa o indiziaria della realizzazione di tali fatti. Sostiene che l’ordinanza si fonda su mere congetture, limitandosi a legare il C. al PR. e ad affermare se il PR. risponde di narcotraffico anche C. deve rispondere. Sottolinea come non siano emersi elementi tali da far ritenere che C. partecipi all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Evidenzia come le conversazioni indicate nell’ordinanza non possano essere considerati indizi di una partecipazione del C. alle associazioni in argomento.

I ricorsi sono manifestamente infondati sulla scorta delle seguenti argomentazioni. Deve preliminarmente rilevarsi che tutti i ricorrenti lamentano un vizio nella motivazione dell’ordinanza impugnata con riguardo alla sussistenza della gravità indiziaria.

Ciò detto, deve ricordarsi che, in ordine ai presupposti di cui all’art. 273 c.p.p., le sezioni unite di questa Corte con la sentenza Audino del 22.3.2000 n. 11 hanno condivisibilmente ritenuto che "in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate".

Nella specie, il giudice di merito ha adeguatamente e logicamente motivato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di P.S. deducendoli; a) dalla formale affiliazione avvenuta in carcere come indicato dalla conversazione intercettata il 27.2.2009 (progr. N. 203) fra L.L., nipote di P. S. e PR.Go. nel corso della quale fanno riferimento al P., come soggetto legato in precedenza a tale L. (identificato in V.L.) che il giorno successivo sarebbe stato affiliato in carcere; b) dalla circostanza che il P. era effettivamente detenuto in tale data perchè condannato per omicidio e associazione per delinquere; c) dalla conversazione intercettata tra CA.Sa. e la moglie il 6.3.2009 (progr. N. 14) nel corso della quale il primo parla del (OMISSIS), alias del P., come di un suo uomo; d) dalle lettere inviate dal P. al CA. in epoca successiva alla affiliazione che manifestano un’affectio che trova la sua ragione in qualcosa di molto diverso dalla mera conoscenza o amicizia personale.

Si tratta di motivazione congrua e logica, che non è intaccata dal richiamo del ricorrente a specifici atti del procedimento.

Va aggiunto che dal controllo di legittimità restano escluse le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi indizianti o probatorio e la scelta di quelli determinanti, poichè la verifica di legittimità è limitata alla sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito il controllo sul contenuto della decisione.

Il motivo dedotto dalla difesa P. è pertanto inammissibile.

La difesa S.S. lamenta la sussistenza della gravità indiziaria e in particolare la mancata considerazione da parte del giudice del riesame della conversazione telefonica n. 11 del 2.3.2009 dalla quale emergerebbe che la donna non ha mai ricevuto denaro dal marito, diverso dal quello a lei necessario per far fronte alle esigenze quotidiane del suo nucleo familiare.

La censura della ricorrente, con riguardo alla mancata valutazione delle specifiche doglianze difensive, si palesa infondata non apprezzandosi nella motivazione del provvedimento gravato alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

Anzitutto il giudice ha dimostrato attraverso il proprio iter argomentativo di avere tenuto in considerazione le deduzioni difensive ed ha concluso affermando che il ruolo più importante svolto dalla S. nell’associazione capeggiata dal marito latitante era quello di mantenere i contatti tra il CA. S. ed i suoi sodali, nella piena consapevolezza della natura illecita di tali rapporti, e di reperire e distribuire schede sim card "pulite", attraverso le quali il marito comunicava con i suoi associati. Ed ha tratto tale convincimento dagli atti di indagini, in particolare da conversazioni intercettate, specificatamente richiamate. Elementi tutti che dimostrano come la ricorrente abbia svolto un ruolo determinante nell’ambito del sodalizio in esame capeggiato dal marito, caratterizzato dalla mafiosità e dedito anche allo spaccio di droga.

Il ricorso è pertanto inammissibile.

Manifestamente infondati sono anche i motivi di ricorso presentati da MI.Co..

I motivi investono una censura in fatto non azionabile in questa sede.

Sul punto va ricordato che anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale.

Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.

Ciò detto la censura del ricorrente si appalesa manifestamente infondata perchè il MI., sotto il profilo del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto emergenti dalle conversazioni intercettate non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito Nel caso in esame il Tribunale con motivazione congrua non solo ha dato contezza dei numerosi e gravi elementi indiziali a carico dell’indagato, ma ha anche dimostrato come la visione riduttiva delle conversazioni intercettate, ambientali e telefoniche, specificamente richiamate, sostenuta dalla difesa non presenta alcun appiglio fattuale. Anche il ricorso presentato da M.M. deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente reitera le medesime doglianze avanzate in sede di riesame in ordine alle quali il Tribunale ha fornito specifica e coerente motivazione. Ha infatti sottolineato il Tribunale che le complessive risultanze dell’indagine in argomento non si erano limitate a registrare la partecipazione del M. ai soli due viaggi indicati, ma avevano evidenziato una progressiva e stabile ascesa criminosa dello stesso nel sodalizio in argomento. In un primo momento il suo compito era stato quello di mantenere i contatti fra i sodali e di rendersi disponibile ad accompagnare qualcuno di questi, in un secondo momento, divenuti più stretti i legami con il PR. e il PE., era diventato l’autista del gruppo, sempre disponibile a far fronte alle necessità dell’organizzazione. Lui stesso in sede di interrogatorio di garanzia aveva ammesso di avere svolto tali compiti perchè aveva bisogno di denaro.

Inammissibile è anche il ricorso presentato da CA.An. perchè privo di specificità. Il ricorrente reitera le medesime doglianze avanzate in sede di riesame rispetto ai quali il Tribunale ha fornito una motivazione specifica ed immune da vizi logici, senza alcuna censura specifica alla motivazione dell’ordinanza, con la conseguenza che le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c).

Anche con riguardo all’aggravante contestata di avere commesso i reati di spaccio per agevolare l’associazione mafiosa capeggiata dal fratello in quanto i proventi di detta attività erano in parte destinati anche alle attività proprie dell’organizzazione mafiosa l’ordinanza impugnata ha indicato in maniera specifica il compendio indiziario in base al quale ha ritenuto sussistente in capo al CA. la consapevolezza di favorire l’associazione mafiosa capeggiata dal fratello, sottolineando lo stretto collegamento con il fratello latitante e la sua longa manus PR.Gi..

Anche i ricorsi di PR.Gi. e C.A. sono inammissibili perchè infondati perchè generici e versati in fatto.

PR.Gi. non solo ha reiterato doglianze già esposte con i motivi d’appello e debitamente disattesa dal Tribunale del Riesame, senza fornire alcuna specifica censura nei confronti del provvedimento impugnato che richiama numerosi elementi di indagine a suo carico, ma non ha nemmeno sostenuto il proprio assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del procedimento che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare. Le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una ordinanza impugnata congruamente e coerentemente motivata con riguardo al grave quadro indiziario a carico del prevenuto. Analoghe considerazioni valgono per il ricorso di C.V. che, al pari del PR. ha presentato motivi aspecifici e tutti versati in fatto.

I motivi presentati mancano infatti di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione. Deve infatti ricordarsi che il requisito della specificità implica, per la parte impugnante, l’onere non solo di indicare con esattezza i punti oggetto di gravame, ma di spiegare anche le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contra legem la decisione, all’uopo evidenziando, in modo preciso e completo, anche se succintamente, gli elementi che si pongono a fondamento delle censure. Requisito dei motivi di impugnazione è infatti la loro specificità, consistente nella precisa e determinata indicazione dei punti di fatto e delle questioni di diritto da sottoporre al giudice del gravame. Conseguentemente, la mancanza di tali requisiti rende l’atto di impugnazione inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre effetti diversi dalla dichiarazione di inammissibilità.

Nel caso in esame il ricorrente si è limitato ad affermare che il provvedimento impugnato, al pari di quello del GIP, sì fonda su mere congetture limitandosi a legare il C. al PR. e ad affermare che se il PR. risponde di associazione mafiosa anche il C. risponderà di associazione mafiosa senza tenere in considerazione la specifica motivazione del Tribunale del Riesame che ha dato conto di tutti gli elementi a carico dell’indagato individuati in numerose conversazioni intercettate.

Le conversazioni telefoniche ed ambientali, richiamate nel provvedimento impugnato, hanno determinato il decidente a ritenere l’indagato coinvolto nelle associazioni in argomento.

Deve aggiungersi che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure, che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente.

Tutti i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà dei ricorrenti, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui gli indagati trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille ciascuno alla cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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