Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-07-2011, n. 14983 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- C.F. chiedeva al Giudice del lavoro di Lecce che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 4.08-30.09.99. 2.- Rigettata la domanda e proposto appello dalla lavoratrice, la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 20.03.07, accoglieva l’impugnazione, e dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate a titolo di risarcimento.

Il contratto era stipulato – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Le assunzioni motivate da tale causale erano ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – di modo che per quella in questione, relativa al periodo 4.08-30.09.99, il termine era illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione. Rispondeva con controricorso C.. Poste Italiane ha depositato memoria. Il Collegio ha disposto la stesura di motivazione semplificata.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo è dedotta violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e degli artt. 1362 e segg. c.c., nonchè carenza di motivazione, in quanto detto art. 23 non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e consente di individuare in astratto le condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine, senza prefigurazione di alcuna limitazione temporale.

5.- Con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 210 e 421 c.p.c. sostenendosi che erroneamente il giudice di merito non ha considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum da quanto dovuto dal datore per risarcimento; la Corte di merito, in quanto richiestane, avrebbe dovuto disporre l’esibizione di documentazione idonea (libretti di lavoro e buste paga) a determinare i corrispettivi eventualmente percepiti dal lavoratore per attività svolte alle dipendenze di terzi.

6.- Il primo motivo è infondato.

La L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione di nuove ipotesi di apposizione del termine al rapporto di lavoro, configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Con tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, tanto che la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con essi le parti abbiano voluto riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate da detto accordo integrativo. Dato che per far fronte a tali esigenze l’impresa poteva procedere ad assunzione di personale con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98, i contratti a termine successivamente stipulati mancano di presupposto normativo.

In altre parole, le parti collettive avevano raggiunto un’intesa priva di limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378). Conseguentemente i contratti scaduti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva, che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’irrilevanza dell’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto all’accertamento della nullità si era già perfezionato. Quando anche con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (ormai scaduto in forza degli accordi attuativi), in ogni caso sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi perchè adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

7.- Essendo stato il contratto a termine della C., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato per il periodo 1.06-31.10.99, il motivo è infondato.

8.- Il secondo motivo è, invece, inammissibile.

Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso qualsivoglia decisione in merito alla richiesta di esibizione di documentazione per determinare eventuali corrispettivi percepiti dal lavoratore nell’espletamento di attività lavorative alle dipendenze di terzi. La descrizione di quest’istanza è proposta, tuttavia, in termini estremamente generici, dato che il ricorso non da conto alcuno nè della sede, nè del contenuto delle istanze proposte nel giudizio di merito, di modo che non sussistono allo stato elementi per valutare se la questione fosse da considerare ancora sub indice nel giudizio di appello.

9.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183, ha chiesto alla Corte che il risarcimento del danno venga effettuato secondo i criteri ivi previsti..

L’ingresso nel presente giudizio di legittimità della questione di tali nuovi criteri di quantificazione è, tuttavia, subordinato alla sussistenza delle condizioni processuali per esaminare la richiesta di risarcimento del lavoratore. Tali condizioni si verificherebbero nel caso che, rigettati i motivi di censura contro la dichiarata nullità del termine, dovesse esaminarsi un motivo di impugnazione che affronti anche il punto della liquidazione del risarcimento effettuata dal giudice di merito.

Nel caso di specie, tuttavia, l’impugnazione non è idonea ad affrontare questo punto specifico, essendo – come appena rilevato – inammissibile il mezzo relativo, di modo che non sorge questione circa rapplicabilità dell’invocato ius superveniens e non si pone problema di nuova liquidazione del risarcimento.

10.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte a favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 27,00 per esborsi e di Euro 2.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa, con distrazione a favore dell’antistatario Avv. Francesco Baldassarre.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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