Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-01-2011) 13-04-2011, n. 15033

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 27-4-2010 la Corte di Appello di Caltanissetta confermava nei confronti di L.C. la sentenza emessa dal Giudice Monocratico del Tribunale del luogo in data 11.10.2009, con la quale il L. era stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 56 e 624 bis c.p., art. 625 c.p., n. 2, (perchè al fine di trarne profitto per sè medesimo, dopo aver forzato per mezzo di due cacciaviti la serratura del portone d’ingresso dell’abitazione di M.G., sita in (OMISSIS), compiva atti idonei diretti in modo non equivoco ad introdursi all’interno della stessa e ad impossessarsi degli oggetti di valore ivi custoditi, non essendo tuttavia riuscito nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà ed in particolare per la tempestiva reazione della persona offesa che allertava le Forze di polizia e il tempestivo intervento dei Carabinieri, come indicato in epigrafe, – fatto avvenuto il (OMISSIS)).

Il L. era stato condannato per tale reato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 154,00 di multa.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:

La violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 56 c.p. e art. 125 c.p.p., comma 3.

A riguardo evidenziava che il comportamento dell’imputatoci momento dei fatti, non era concretamente idoneo e univocamente diretto alla consumazione del delitto contestato.

Nella specie si era verificato che il L. era stato trovato dai Carabinieri in possesso di un cacciavite, tuttavia, secondo il ricorrente, non stava armeggiando presso la porta dell’abitazione nè si potevano desumere elementi utili per la decisione dalla deposizione del teste Ma., inquilino dell’immobile, che non aveva riferito alcun dato specifico, avendo solo udito dei rumori provenienti dall’esterno.

La difesa rilevava inoltre che la idoneità degli atti posti in essere dall’imputato non poteva desumersi solo dal possesso dei mezzi bensì in riferimento alla condotta, non essendo stato sorpreso il L. nella esecuzione di una forzatura dell’ingresso, e dovendo essere accertata in dibattimento la idoneità dell’azione.

Sul punto il ricorrente rilevava che la Corte si era adeguata alla motivazione della sentenza di primo grado, senza aver verificato l’idoneità della azione e la sua univocità ai fini della sussistenza del tentativo.

Peraltro la difesa negava anche che fosse dimostrata la volontà dell’imputato di porre in essere il delitto di cui si tratta.

Per tali motivi il difensore concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Il primo motivo contiene censure in fatto, e del tutto ripetitive delle deduzioni formulate in grado di appello, alle quali la Corte territoriale ha risposto con adeguata e logica motivazione, da ritenere conforme ai canoni giurisprudenziali in tema di applicazione degli artt. 56, 624 e 625 c.p..

Invero emerge dalla motivazione che la Corte ha correttamente affermato la responsabilità del predetto imputato, atteso che egli – alla stregua di testimonianze rese sia da un teste che abitava nel luogo ed aveva avuto modo di percepire i rumori sospetti presso l’ingresso dell’abitazione, che dai Carabinieri che erano stati avvertiti ed avevano trovato l’imputato mentre era in corso la condotta delittuosa – risultava tratto in arresto nella flagranza del reato.

Orbene la motivazione deve ritenersi adeguata a dimostrare sia la concreta idoneità degli atti che la non equivocità degli stessi, avendo l’imputato il possesso di strumenti atti a compiere la forzatura della porta d’ingresso, ed al fine della configurabilità del tentativo resta sufficiente l’accertamento di tali elementi, mentre deve ritenersi non necessario l’accertamento del materiale atto lesivo della integrità dell’ingresso di immobile al quale il prevenuto manifestava di volere accedere. Al riguardo l’interpretazione data dalla Corte risulta in sintonia con i criteri ermeneutica in riferimento all’art. 56 c.p. sanciti da questa Corte con costante giurisprudenza (v. Sez. 2, 26 luglio 1995, n. 295, Ghiani e conforme Sez. 5 – 12 novembre 2009, n. 43255, Alfuso ed altri – RV 202355) per cui si stabilisce che "gli elementi caratterizzanti il delitto tentato, e cioè l’idoneità e l’univocità dell’azione, sono riscontrabili anche negli atti cosiddetti preparatori, ossia in atti che siano potenzialmente idonei a produrre l’evento e contemporaneamente rivelino in modo non equivoco l’intenzione di commettere il delitto.

Pertanto, avendo la Corte evidenziato che nel caso di specie, l’attività tesa a commettere il delitto era caduta sotto la percezione dei CC e che l’imputato era stato sorpreso nel possesso degli strumenti idonei al compimento dell’azione delittuosa, resta evidente la corretta applicazione dell’art. 56 c.p., anche sotto l’aspetto dell’elemento psicologico del reato, trattandosi di condotta che era sostanzialmente in atto al momento dell’intervento delle forze dell’ordine, secondo quanto si desume chiaramente dalla sentenza impugnata.

Il ricorso si rivela dunque manifestamente infondato e va dichiarata l’inammissibilità del gravame, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina in Euro 500,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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