Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-07-2011, n. 14980 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- B.M. chiedeva al Giudice del lavoro di Ascoli Piceno che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 1.06-31.10.99. 2. Rigettata la domanda e proposto appello dalla lavoratrice, la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 5.06.06, accoglieva l’impugnazione, e dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate a titolo di risarcimento.

Il contratto era stipulato – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda; pertanto, le assunzioni motivate da tale causale erano ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – di modo che per quella in questione, relativa al periodo 1.06-31.10.99, il termine era illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione. Risponde con controricorso B.. Poste Italiane ha depositato memoria.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo la soc. Poste Italiane deduce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e degli artt. 1362 e segg. c.c., nonchè carenza di motivazione, in quanto detto art. 23 non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e consente di individuare in astratto le condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine, senza prefigurazione di alcuna limitazione temporale, atteso che gli accordi successivi a quello del 25.9.97 hanno natura meramente ricognitiva.

5.- Con il secondo motivo è dedotta carenza di motivazione, avendo il giudice di merito omesso di prendere in esame la difesa di Poste Italiane – originariamente dedotta in subordine – incentrata sulla risoluzione per tacito mutuo consenso del rapporto di lavoro, nonostante la stessa fosse stata riproposta in appello.

6.- Quest’ultimo motivo, da esaminare per primo per consequenzialità logica, è inammissibile, dato che l’omesso esame è dedotto come vizio di difetto di motivazione. L’omessa pronuncia di una questione validamente proposta, risolvendosi in violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, integra un difetto di attività del giudice, che deve essere fatto valere per cassazione non con denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, in quanto tali censure presuppongono che il giudice del merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo non corretto la decisione, ma con la deduzione del relativo errar in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 – la quale soltanto consente di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito. La mancata deduzione del vizio in tali termini, evidenzia il difetto di identificazione dell’errore del giudice del merito e impedisce il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rendendo inammissibile il motivo (v. tra le tante Cass. 27.1.06 n. 1755 e 7.7.04 n. 12475).

7.- E’, invece, infondato il primo motivo.

Va, infatti, rilevato che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione di nuove ipotesi di apposizione del termine al rapporto di lavoro, configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano voluto riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate da detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con contratto tempo determinato fino al 30.4.98, di modo che debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine stipulati successivamente.

In altre parole, le parti collettive avevano raggiunto un’intesa priva di limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378). Conseguentemente i contratti scaduti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva, che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’irrilevanza dell’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto all’accertamento della nullità si era già perfezionato. Quando anche con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (ormai scaduto in forza degli accordi attuativi), in ogni caso sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi perchè adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

8.- La sussistenza delle esigente eccezionali è stata dunque negozialmente riconosciuta per il periodo temporale limitato alla data del 30.4.98 di modo che la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di Poste Italiane di dare prova di una specifica e concreta esigenza.

Essendo stato il contratto a termine della B., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato per il periodo 1.06-31.10.99, il motivo è infondato.

9.- Infondati i motivi dedotti dalla ricorrente, il ricorso deve essere rigettato e la sentenza impugnata, che si conformata a detti principi, deve essere confermata.

10.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. collegato lavoro), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262 (suppl. ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10, ha chiesto alla Corte che il risarcimento del danno venga effettuato secondo i criteri ivi previsti..

L’ingresso nel presente giudizio di legittimità della questione dei detti nuovi criteri di quantificazione è, tuttavia, subordinato alla sussistenza delle condizioni processuali per esaminare la richiesta di risarcimento del lavoratore. Tali condizioni si verificherebbero nel caso che, rigettati i motivi di censura contro la dichiarata nullità del termine, dovesse esaminarsi un motivo di impugnazione che affronti anche il punto della liquidazione del risarcimento effettuata dal giudice di merito.

Nel caso di specie, tuttavia, tale impugnazione manca, di modo che non sorge questione circa l’applicabilità dell’invocato ius superveniens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub indice.

11.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 20,00 per esborsi ed in Euro 2.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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