Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-01-2011) 13-04-2011, n. 14991

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 21/9/2007 il Giudice di Pace di Castelfiorentino condannava G.D. per il delitto di cui all’art. 590 c.p. per avere provocato lesioni personali guarite oltre 40 giorni a S.G., con violazione delle norme sulla circolazione stradale (acc. in (OMISSIS)).

L’imputato, alla guida della sua auto, mantenendo una velocità non prudenziale in ragione dell’ora serale e della scarsa illuminazione, investiva il pedone S. che percorreva la strada nello stesso senso di marcia dell’auto, sul margine destro della carreggiata.

Il Giudice di Pace, riconosciuto un concorso di colpa della vittima del 60%, condannava il G. alla pena di Euro 1.400 di multa, nonchè al risarcimento del danno da liquidare in separato giudizio, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 160.000. 2. Con sentenza del 16/9/2008 il Tribunale di Firenze, sez. dist. di Empoli, confermava la pronuncia di condanna. Osservava il Tribunale che la sentenza di primo grado aveva correttamente ricostruito il sinistro, attribuito la responsabilità all’imputato e percentualizzato il concorso di colpa della vittima.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore della parte civile lamentando l’assoluto difetto di motivazione della sentenza di appello, meramente adesiva a quella di primo grado, senza alcun riferimento agli articolati motivi di censura contenuti nell’atto di appello. In particolare, nessun cenno era stato fatto agli argomenti relativi ad una diversa ricostruzione del sinistro; alla doglianza relativa alla quantificazione del concorso di colpa della vittima in misura superiore a quella dell’imputato; alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale avanzata ai sensi dell’art. 603 c.p.p..
Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

3.1. Il Tribunale, nel confermare la sentenza di primo grado, con stringata motivazione, ha evidenziato la correttezza della ricostruzione del sinistro effettuata dal Giudice di Pace e l’assenza di incoerenze nell’iter motivazionale quanto all’accertamento della responsabilità dell’imputato e del concorso di colpa della vittima.

Si tratta, in sostanza, di una evidente motivazione "per relationem".

Ciò premesso, va ricordato che questa Corte di legittimità ha più volte ribadito la legittimità di tale tipo di motivazione, laddove le censure formulate non contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi (ex plurimis, Cass. sez. 4, Sentenza n. 38824 del 17/09/2008 Ud. (dep. 14/10/2008), Raso, Rv.

241062).

Si è però anche precisato che, in presenza di specifiche censure, su uno o più punti della decisione impugnata, la motivazione "per relationem" si risolve in un difetto di motivazione della sentenza di appello che ne determina la nullità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24252 del 13/05/2010 Ud. (dep. 24/06/2010), Ostiero, Rv. 247287).

Nel caso di specie la parte civile, nel proporre appello, aveva censurato sia il riconoscimento del concorso di colpa, che la sua percentualizzazione, evidenziando le carenze della sentenza di primo grado che:

– non aveva preso in considerazione che prima dell’auto dell’imputato era transitato una furgone, di più ampie dimensioni, che non aveva creato alcun pericolo per il pedone;

– non aveva valutato che l’art. 143 C.d.S. impone al conducente di un veicolo di discostarsi, in modo adeguato, dal margine destro della carreggiata. Se l’imputato avesse rispettato la regola cautelare, nessun investimento si sarebbe verificato;

– la circostanza che il pedone camminasse, in violazione dell’art. 190 C.d.S., in zona poco illuminata, senza un giubbotto catarifrangente, era irrilevante causalmente, in quanto la scarsa illuminazione avrebbe dovuto indurre l’automobilista a mantenere una condotta di guida più attenta; peraltro, il comma 4 ter che prevedeva tale cautela, era entrato in vigore dopo il fatto;

– non era certo che il pedone, nel tratto di strada ove era avvenuto l’investimento, avesse a disposizione una banchina per camminare senza rischi.

Nell’atto di appello, inoltre, si segnalava come, anche a voler riconoscere una condotta colposa della vittima, era irragionevole ritenerla di una percentuale superiore a quella dell’investitore.

A fronte di tali specifiche doglianze, nella laconica sentenza di appello non si rinviene alcuna specifica risposta.

Orbene, va ribadito che la motivazione "per relationem" è ammissibile nello ambito della mera ricostruzione del fatto, per le parti della sentenza non impugnate o in presenza di manifesta infondatezza o non specificità del motivo di appello.

Nella ipotesi, come quella in esame, in cui la parte con precise considerazioni svolga specifiche censure su uno o più punti della prima pronuncia, il giudice di appello non può limitarsi a richiamarla, ma deve rispondere alle singole doglianze prospettate.

In caso contrario, viene meno la funzione del doppio grado di giurisdizione ed è privo di ogni concreto contenuto il secondo controllo giurisdizionale.

Pertanto, la assoluta carenza di motivazione, impone l’annullamento della sentenza impugnata.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa al concorso di colpa della parte civile, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *