Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-01-2011) 13-04-2011, n. 14985 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa in data 13/6/2007 il Tribunale di Pesaro condannava S.G. per il delitto di cui all’art. 589 c.p. per avere provocato la morte della ciclista P.V. (di anni (OMISSIS)), con violazione delle norme sulla circolazione stradale (acc. in (OMISSIS), ore 12.00).

L’imputato, alla guida di un autocarro con rimorchio, in fase di sorpasso della ciclista, non aveva lasciato sufficiente spazio di manovra sulla destra, in tal modo stringendo il velocipede ed investendo la P. che, perdendo l’equilibrio rovinava sotto le ruote del rimorchio. Il Tribunale irrogava la pena di mesi 10 di reclusione.

Con sentenza del 11/3/2010 la Corte di Appello di Ancona, confermava la pronuncia di condanna, riducendo la pena a mesi 6 di reclusione, con le attenuanti generiche prevalenti.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte aveva affermato con assoluta certezza che era stato l’autocarro a superare la vittima e non viceversa. Invero dalla relazione peritale e dalla deposizione del perito, si evinceva che l’autocarro, prima del sinistro si era certamente fermato una volta e che non era possibile determinare la velocità del mezzo al momento dell’urto; inoltre, la sentenza mostrava contraddittorietà con la perizia laddove, affermava che la velocità del mezzo con rimorchio non era scesa sotto i 10 km/h, senza tenere conto che il manubrio della bicicletta aveva lasciato una lunga traccia sul pneumatico destro della motrice, a dimostrazione del fatto che la ruota di quest’ultima doveva girare lentamente.

Inoltre il presunto contrasto tra le deposizioni dei testi era meramente apparente. Infatti il teste valorizzato in sentenza, il Pa., in realtà aveva avuto una prospettiva del sinistro limitata, in quanto si trovava immediatamente dietro l’autocarro, ed aveva potuto assistere solo alla seconda parte dell’incidente, quando la vittima era caduta sotto il rimorchio; invece il teste V., occupante un’auto anch’essa dietro l’autocarro, ma preceduta una o due altre vetture, aveva potuto assistere a tutta la dinamica dell’incidente. Pertanto le due deposizioni non erano in contrasto, ma andavano integrate e da esse ben poteva evincersi che era stata la ciclista, dopo che l’autocarro si era fermato, a tentare di superarlo sulla destra, poi perdendo il controllo del velocipede nel momento in cui il mezzo pesante si era messo in moto ed andando a cadere sotto il rimorchio, senza che il conducente di nulla si avvedesse, tanto vero che era stato fermato da altri automobilisti a circa 200 mt. dal luogo dell’investimento.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile Ha osservato la Corte di merito che il nodo centrale del processo era quello di stabilire se fosse stato l’autocarro a superare il velocipede o, viceversa, la ciclista a tentare di superare l’autocarro sulla destra, così ponendo in essere una manovra imprevedibile ed impercettibile per il conducente.

Ha ritenuto la Corte di merito, conformemente al Tribunale, che l’istruttoria dibattimentale aveva avallato la prima ipotesi e che la responsabilità dell’imputato emergeva dalle seguenti circostanze:

– dalla deposizione del teste Pa., dalle indagini della Polizia e dalla perizia svolta, risultava che era stato l’autocarro a sorpassare ed a stringere la ciclista verso il bordo della carreggiata, facendola cadere in terra sotto le ruote del rimorchio;

– sul pneumatico destro del secondo asse della motrice erano stati lasciati segni evidenti e continui del manubrio e della leva del freno. Da ciò si deduceva che i veicoli erano stati affiancati, ma a velocità differenti;

– dal cronotachigrafo presente sull’autocarro si evinceva che al momento dell’incidente il mezzo andava ad una velocità superiore ai 10 km/h, per cui era inverosimile ritenere che fosse stata la ciclista ad affiancare e superare l’autocarro;

– il teste Pa.G., conducente dell’auto sita dietro l’autocarro, aveva visto sbucare dal lato destro dell’autocarro la signora in bicicletta, mentre l’autotreno la superava facendole perdere l’equilibrio;

– sebbene di segno contrario fosse la deposizione del teste V., il contrasto tra le deposizioni era superato dagli esiti delle conclusioni peritali, secondo cui, come detto, dall’esame del cronotachigrafo presente sul mezzo, risultava che nell’arco temporale precedente il sinistro, la velocità del mezzo non era mai scesa sotto i 10 km/h, pertanto non era possibile che fosse stata la bicicletta a superare l’autocarro, inoltre se ciò fosse avvenuto, il teste Pa. avrebbe notato la manovra. Ciò premesso, vanno ricordati quali siano i limiti della Cassazione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Invero, il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

Con l’ulteriore precisazione, quanto alla l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (Cass., Sez. 1, 26 settembre 2003, Castellana ed altri).

Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica (Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2004, Grado ed altri).

I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione: c.d. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Alla Corte di cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.

Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito.

In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della motivazione- la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte dell’ennesimo giudice del fatto.

Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.

Nel caso di specie il Tribunale ha offerto una coerente giustificazione del suo convincimento e le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso rispetto alla ricostruzione del fatto ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.

Alla inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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