Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-07-2011, n. 14962 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 5 settembre 2006, la Corte d’Appello di Firenze accoglieva il gravame svolto da Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato dalla società a R.A. in data 7 dicembre 2001, all’esito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24. 2. La Corte territoriale, premessa la formazione del giudicato interno sulla questione relativa all’applicabilità a R. della disciplina relativa ai licenziamenti collettivi per riduzione di personale, decisa in senso sfavorevole al lavoratore e non devoluta al giudice d’appello, riteneva:

– la comunicazione alle organizzazioni sindacali, e alle loro articolazioni territoriali, di avvio della procedura di mobilità, rispettosa della prescrizione della cit. L. n. 223, art. 4, comma 3, quanto all’indicazione della collocazione aziendale del personale eccedentario, dei profili professionali e dei dati aggiornati relativi agli esuberi del personale comunicati dall’azienda;

– il raggiungimento dell’accordo finale in sede ministeriale, il 17 ottobre 2001, a seguito dell’informazione di cui alla cit. L. n. 223, art. 4, comma 2, benchè non sanante l’eventuale carenza delle relative indicazioni, tuttavia con valenza presuntiva dell’esistenza della situazione presupposta e del rispetto della procedura ed idoneo, da solo, a far ritenere assolto l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro;

– il criterio di scelta dell’anzianità contributiva rispettoso dei crismi della ragionevolezza e obiettiva non discriminatorietà e applicato dalla società secondo correttezza e buona fede;

– l’indicazione delle modalità applicative del predetto criterio assolta con la comunicazione aziendale del 14/12/2001, cui erano allegati gli accordi in precedenza siglati, recante espresso riferimento ai dipendenti che avessero conseguito i requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia alle date, rispettivamente, del 31.12.2001 e 31.3.2002;

– che la comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, doveva ritenersi tempestiva e sostanzialmente contestuale alla comunicazione del licenziamento, e la discrasia di pochi giorni tale da non pregiudicare i diritti del lavoratore, posto in grado di tutelarsi in relazione al licenziamento comunicatogli;

il contenuto delle comunicazioni, di cui alla missiva del 14.12.2001, conforme alle previsioni del comma 9 dell’art. 4 cit.;

– infine, quanto ai destinatari delle comunicazioni, insussistente un obbligo di invio alle segreterie regionali delle OO.SS., sia per la tipologia dell’azienda, operante su tutto il Paese, sia per la partecipazione delle OO.SS. a tutta la procedura sfociata nell’accordo sindacale.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su nove motivi. Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha resistito con controricorso illustrato con memoria, eccependo rinammissibilità e infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. In sintesi, gli articolati motivi di ricorso sono i seguenti:

– primo motivo: il ricorrente denuncia violazione della cit. L. n. 223, art. 4, commi 2, 3, 4 e 5, in relazione all’art. 2697 c.c., e vizio di motivazione, formulando plurimi quesiti di diritto con i quali si chiede alla Corte di dire l’onere della prova del rispetto della correttezza e formalità delle procedure delle predette disposizioni della L. n. 223 cit., ricada sul datore di lavoro o sul lavoratore; se la prova delle comunicazioni ivi previste debba essere data con la prova della ricezione da parte dei destinatari delle stesse; se ai fini della regolarità della procedura possano richiamarsi atti redatti precedentemente alla formale apertura della procedura medesima per giustificarne la completezza; se la procedura possa essere integrata, in carenza dei suoi requisiti, da atti redatti precedentemente alla data della sua apertura.

– secondo motivo: si denuncia violazione della cit. L. n. 223, art. 4, comma 2, nonchè vizio di motivazione, per aver la sentenza impugnata ritenuto correttamente effettuata la comunicazione di avvio della procedura di mobilità e formula plurimi quesiti di diritto con i quali chiede alla Corte di dire se in mancanza di prova, da parte del datore di lavoro, della comunicazione di apertura della procedura di mobilità alle RSU esistenti in azienda, la medesima procedura risulti correttamente eseguita; e se la prova della predetta avvenuta comunicazione di apertura della procedura di mobilità alle RSU spetta al datore di lavoro.

– terzo motivo: si denuncia violazione della cit. L. n. 223, art. 4, comma 3, nonchè vizio di motivazione, per aver la sentenza impugnata ritenuto le comunicazione di avvio della procedura di mobilità rispettose della predetta disposizione e formula plurimi quesiti di diritto con i quali chiede alla Corte di dire se nel caso in cui si proceda a licenziamenti collettivi presso un’azienda dove per il personale appartenente ad un’area professionale la contrattazione collettiva prevede e specifica molteplici profili professionali, sia rispettato il precetto del comma 3, dell’art. 4 qualora la società datrice, nella comunicazione di apertura della procedura, non indichi tali profili professionali previsti nel CCNL, ma si limiti ad indicare l’eccedenza dei lavoratori solo per aree di inquadramento; e se sia legittimo un licenziamento collettivo nel caso in cui la comunicazione sia carente dell’indicazione dei profili professionali pur essendo stati gli stessi profili individuati dal CCNL di settore.

La violazione che precede è censurata, inoltre:

– quarto motivo con riferimento all’impossibilità per il lavoratore di operare una comparazione tra i profili eccedentari, con quesito di diritto con il quale chiede alla Corte di dire se sia legittimo il licenziamento collettivo che riguardi solo alcuni lavoratori e non altri appartenenti alla stessa area di inquadramento, nel caso in cui la comunicazione sia carente dell’indicazione dei profili professionali, pur essendo gli stessi profili stati individuati dal CCNL di settore, così da non permettere al lavoratore licenziato di poter comparare la propria posizione lavorativa con quella di altri lavoratori appartenenti alla stessa area.

– quinto motivo: si denuncia violazione della cit. L. n. 223, art. 4, comma 9, e vizio di motivazione per aver la sentenza impugnata ritenuto il criterio della massima anzianità contributiva quale unico criterio per individuare i lavoratori da licenziare, senza tener conto delle reali eccedenze di personale; con il quesito di diritto si chiede alla Corte di dire se l’omissione della procedura di cui all’art. 4 cit., volta alla precisazione dei motivi dell’eccedenza di lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali, non sia suscettibile di essere sanata dall’accordo sindacale che comprenda l’individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base della sola anzianità contributiva.

La violazione che precede è censurata inoltre:

– sesto motivo: per aver la sentenza impugnata ritenuto le comunicazioni correttamente eseguite con riferimento alle Rsu; con il quesito di diritto si chiede alla Corte di dire se siano regolari le comunicazioni eseguite alle OO.SS. a livello nazionale e non invece alle RSU peraltro già individuate dalla comunicazione di apertura della medesima mobilità;

– settimo motivo: per aver la corte di merito ritenuto le comunicazioni correttamente eseguite con riferimento alla mancata comunicazione alle segreterie regionali o territoriali delle OO.SS.;

con il quesito di diritto si chiede alla Corte di dire se in una procedura di mobilità che interessa personale su tutto il territorio nazionale siano correttamente eseguite le comunicazioni qualora non siano state inviate alle RSU esistenti in azienda e alle OO.SS. a livello territoriale, sia esso regionale o provinciale, tenuto conto che l’esubero di lavoratori è stato valutato proprio su base regionale;

– ottavo motivo: per aver la corte di merito ritenuto le comunicazioni correttamente eseguite con riferimento alla contestualità delle stesse; con plurimi quesiti di diritto si chiede alla Corte di dire se la prova della regolarità della procedura delle comunicazioni ex art. 4, comma 9, debba essere a carico del datore di lavoro o del lavoratore; se in caso di mancata prova della ricezione da parte degli organi di legge, le comunicazioni possano essere considerate correttamente eseguite; se l’avverbio contestualmente previsto dal comma 9 dell’art. 4 cit., debba essere interpretato nel senso che la comunicazione del licenziamento al lavoratore e quella agli organi di legge debba esser fatta nello stesso contesto, anche se non nello stesso giorno, ma in ogni caso con lo scarto di pochi giorni, oppure la stessa possa essere seguita tenendo conto del termine per l’impugnazione del licenziamento;

– nono motivo: per aver la sentenza impugnata ritenuto le comunicazioni correttamente eseguite con riferimento alle indicazioni delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta; con plurimi quesiti di diritto si chiede alla Corte di dire se sia corretta la comunicazione agli organi di legge con la quale non siano puntualmente indicate le modalità di applicazione dei criteri di scelta.

5. La Corte, esaminati unitariamente i numerosi, articolati motivi di ricorso, per la connessione tra le diverse censure, che ripropongono questioni più volte affrontate con riferimento a casi del tutto analoghi, li giudica infondati.

6. Questa Corte, con riferimento alla fase di avvio della procedura di mobilità, regolata dalla cit. L. n. 223, art. 4, comma 3, ha costantemente affermato l’adeguatezza della comunicazione affermando, in relazione alla medesima procedura (Cass. 1955/2011 e Cass. 267/2009 ed altre successive conformi) che: "in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione dei personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, legge citata deve essere valutata in relazione ai motivi di riduzione di personale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali completati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più ove proponga ai sindacati, nella stessa comunicazione e con riferimento alle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, la stipulazione di un accordo, derogatorio dei criteri legali di scelta dei lavoratori da licenziare, che fondi la selezione sul possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione". In quel caso la S.C., nel cassare la sentenza di merito, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento originato da una comunicazione incompleta perchè priva di indicazioni in ordine alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori interessati, ha asserito che la decisione cassata, avente ad oggetto il ridimensionamento dell’impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale al fine di ridurre i costi di gestione, si traduceva in un indebito sindacato sulla scelta imprenditoriale di Poste Italiane s.p.a. e, pertanto, violava la L. n. 223 del 1991, artt. 1 e 4. 7. Inoltre, come ribadito, da ultimo da Cass. 5884/2011, richiamando numerosi precedenti di questa Corte, il riferimento legislativo ai "profili professionali" va inteso si in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie ( artt. 2095 e 2103 c.c.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica di inquadramento, ma ciò non significa certo richiedere l’indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioè delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, accertato dal giudice di merito che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per "aree funzionali", ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni, non si comprende perchè l’indicazione dell’area di appartenenza non sarebbe indicazione dei "profili professionali". 8. Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul proposto criterio del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, ha soggiunto questa Corte ex multis, Cass. 267/2009 cit.), erano costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aeree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici, altrimenti l’intera operazione sarebbe stata compromessa dalla necessità di individuare una platea di interessati alla riduzione di personale più ristretta (sul piano della dislocazione geografica o dell’eccedenza in singoli settori), con conseguente impossibilità di applicare in via esclusiva il criterio proposto ai sindacati.

9. Quanto al predetto criterio unico di scelta individuato con l’accordo sindacale, basato non sull’età ma sulla sussistenza dei requisiti per il collocamento in pensione, parimenti questa Corte (ex multis, Cass. 1955/2011) ne ha in più occasioni valutato la legittimità, non omettendo di verificarne la conformità al principio di non discriminazione in ragione dell’anzianità, anche nella sua dimensione europea, nonchè a criteri di razionalità, equità e coerenza con la finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; 24 aprile 2007, n. 9866), ora consacrato a livello legislativo dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3. 10. La sentenza impugnata, per essere adeguatamente e sufficientemente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici enunciati, si sottrae alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità. 11. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 25,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, e spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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