Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 13-04-2011, n. 15109

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. – Con sentenza emessa il 29 gennaio 2010 la Corte di Appello di Lecce confermava nei confronti di M.V. la sentenza pronunciata il 2 febbraio 2009 dal Tribunale di Lecce che lo aveva condannato alla pena di anni 4, mesi 6 di reclusione ed Euro 100.000,00 di multa in quanto penalmente responsabile dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui: a) art. 416 c.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3; c) art. 110 c.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3; j) art. 110 c.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3, per aver partecipato, unitamente ai coimputati M.I., G.E., D. L., G.N. e B.M., ad una associazione a delinquere dedita all’introduzione di immigrati clandestini in Italia ed aver contribuito a realizzare singoli episodi di immigrazione clandestina di più persone, collaborando allo sbarco e al trasporto degli immigrati.

La corte territoriale nel valutare la posizione del M. riteneva muniti di adeguata motivazione i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche emessi dal GIP del Tribunale di Lecce e pienamente legittime le intercettazioni di soggetti all’estero effettuate con la tecnica del c.d. instradamento. Riteneva, quindi, che la lettura globale e sistematica delle conversazioni captate fatta dal primo giudice consentisse di pervenire ad una interpretazione e ricostruzione del fatti pienamente aderente all’ipotesi accusatoria.

1.2.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Raffaele Missere difensore di M.V. assumendo a motivi:

a) Violazione di legge, in particolare dell’art. 271 c.p.p. in relazione agli artt. 727 e 729 c.p.p., per avere, sia il Tribunale di Lecce che la Corte di appello, ritenuto utilizzabile il contenuto di intercettazioni di conversazioni provenienti da soggetti che si trovavano all’estero, affermando la legittimità della loro utilizzazione in ragione della tecnica dell’instradamento adottata, laddove sarebbe stata, invece, necessaria apposita rogatoria internazionale. b) Mancata valutazione della prova, la corte ha condannato l’imputato in assenza assoluta di prove e senza un accertamento scrupoloso dei fatti a lui contestati. La motivazione della sentenza consiste nell’aver riportato la trascrizione di una moltitudine di intercettazioni senza motivare sul contento delle stesse, posto che nel corso delle stesse si parla solo di macchine e mai di clandestini, senza esplicitare il percorso logico effettuato per pervenire al giudizio di colpevolezza. La corte non ha correttamente applicato le regole della legge e della giurisprudenza per la valutazione della prova secondo le quali "l’esistenza di un fatto può essere ritenuta certa soltanto in presenza di indizi che siano gravi, precisi e concordanti" mentre a carico del M. mancano del tutto elementi, prove e indizi, che possano definirsi caratterizzati nel senso della gravità, precisione e concordanza.

La motivazione sul punto della valutazione della prova è mancante o carente perchè non agganciato a risultanze probatorie.

1.2.- Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

2.1. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione deve essere dichiarato inammissibile con le dovute conseguenze di legge.

Riguardo al primo motivo esso è generico e non fondato: è infatti principio di diritto del tutto consolidato, ribadito in plurime decisioni di questa Corte di legittimità, che in tema di intercettazioni telefoniche, è legittimo il ricorso alla tecnica del cosiddetto istradamento, che comporta la destinazione ad uno specifico "nodo" telefonico delle telefonate estere provenienti da una determinata zona, senza che venga promossa un’apposita rogatoria internazionale, in quanto l’intera attività di captazione e registrazione si svolge sul territorio dello Stato, ne consegue che è altresì legittimo l’utilizzo del contenuto delle captazioni operate servendosi di detta modalità tecnica (Sez. 1, Sent. 4.3.2009 n. 13972, Rv. 243138; Sez. 4, Sent. 28.2.2008, n. 13206, Rv. 239288;

Sez. 6, Sent. 3.12.2007, n. 10051, Rv. 239459; Sez. 4, Sent.

7.6.2005, n. 35229, Rv. 232080; Sez. 6, Sent. 2.11.2004 n.7258, Rv.

231467; Sez. 6, Sent.2.11.2004 n. 7258, Rv. 231467; Sez. 4, Sent.

14.5.2004, n. 32924, Rv. 229103).

2.2.- In relazione al secondo motivo esso è poco più della pedissequa ripetizione dei motivi di appello esaminati nella sentenza oggetto di ricorso.

Invero, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, la sentenza della corte di appello non consiste nella semplice trascrizione di una moltitudine di intercettazioni telefoniche quanto, piuttosto, il provvedimento opera una ricostruzione, puntuale e logica, dei fatti attraverso la rivisitazione dei soli contenuti delle captazioni sui quali si erano accentrate le doglianze esposte in sede di prima impugnazione, per verificarne la attinenza e la convergenza probatoria non equivoca, rispetto alla lettura globale e sistematica delle conversazioni tutte, ampiamente dimostrative della esistenza della organizzazione diretta all’ingresso dei cittadini extracomunitari nel territorio dello stato italiano e della sua specifica operatività in riferimento ai singoli episodi contestati.

I giudici di appello, infatti, dopo aver rilevato che è inequivoco che nelle conversazioni indicate dalla difesa si parli di macchine e che l’ E. menzionato, cui i sodali C. e G. si rivolgono per reperire le auto per trasportare i clandestini che devono sbarcare o che sono appena sbarcati, sia il M., dal contenuto delle singole conversazioni, collocate secondo scansioni temporali correlate allo svolgimento delle operazioni di trasporto di clandestini, individuano il contributo partecipativo dell’imputato che viene contattato e che risponde collaborativamente alle richieste dei compartecipi recandosi, con tutta evidenza, sul luogo dello sbarco degli extracomunitari e riferendo di avene trovati "solo due" ed il G., di risposta, gli dice che "qua sono tanti", con chiaro riferimento ad altri immigrati fatti sbarcare in luogo diverso.

Altrettanto significative, poi, le conversazioni, espressamente citate dai giudici di appello, dalle quali risulta che i coimputati C. e G., mentre discorrevano di come nascondersi per non essere intercettati dalle forze dell’ordine, parlavano del M. dicendo "adesso è sceso E.". In altra conversazione è E. a riferire a G. di essere uscito dalla Caserma dei Carabinieri che gli controllavano la macchina, con ciò confermando, secondo quanto logicamente e congruamente dedotto dai giudici di merito, di essere proprio lui il sodale al quale i complici si rivolgevano per il trasporto con le macchine dei clandestini fatti sbarcare, perchè nella stessa ora e nello stesso giorno i Carabinieri portarono il M. in caserma a fini di riscontro delle operazioni di intercettazione in corso. E’, quindi, opportuno precisare che la valutazione del significato delle conversazioni intercettate è giudizio di merito insindacabile in cassazione e le eventuali censure in diritto possono riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa (Sez. 4, Sent. 2.4.2003, n. 22391 Rv. 224962; Sez. 5, Sent. 14.7.1997, n.3643, Rv. 209620).

Il ricorrente, invece, si limita a contrapporre alla ricostruzione interpretativa della corte territoriale, peraltro come visto coerente e congrua, una estrapolazione parziale di brani di conversazioni per affermare che essi non sono di per sè dimostrativi del coinvolgimento dell’imputato, ciò senza minimamente criticare l’iter argomentativo dei giudici con il limitarsi a dire (in maniera apodittica e di pura negazione con richiamo, peraltro, sul punto della sentenza di primo grado e non quella oggetto di ricorso) che esso è inesistente.

2.2.- Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – non ravvisandosi ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione- al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma congruamente determinata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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