Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-03-2010) 13-04-2011, n. 15138 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 26 maggio 2010 la Corte d’assise d’appello di Lecce dichiarava inammissibile l’istanza presentata da L.C., volta ad ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione tra i reati ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73) di cui alla sentenza della Corte d’appello di Lecce dell’11 maggio 2004 (irrevocabile il 21 giugno 2005) e i delitti (artt. 416 bis c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) oggetto della sentenza della Corte d’assise d’appello di Lecce del 31 maggio 2005 (irrevocabile il 14 luglio 2007). La Corte osservava che la richiesta di ravvisare l’unicità del disegno criminoso (tra l’altro) tra i predetti reati era già stata respinta con ordinanza della Corte d’assise d’appello di Lecce dell’11 giugno 2009 e che il ricorso per cassazione avverso tale provvedimento era stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione all’udienza del 23 marzo 2010. Argomentava, inoltre, che a sostegno della ulteriore istanza non erano stati addotti elementi nuovi rispetto a quelli già in precedenza valutati e che la prospettazione difensiva si risolveva nella ricostruzione storica delle vicende di cui L. era stato protagonista.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione personalmente L., il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, tenuto conto dell’effettivo tenore della domanda proposta – non costituente una mera reiterazione delle precedenti già vagliate – e del contenuto dei provvedimenti giudiziari acquisiti.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. L’art. 671 c.p.p. attribuisce al giudice il potere di applicare "in executivis" l’istituto della continuazione e di rideterminare le pene inflitte per i reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili secondo i criteri dettati dal l’art. 81 c.p.. Peraltro, la possibilità di applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva ha carattere sussidiario e suppletivo rispetto alla sede di cognizione, stante il carattere più completo dell’accertamento e la mancanza dei limiti imposti dall’art. 671 c.p.p. (Sez. 6, 8.5.2000, sent. n. 00225, ric. P.G. in proc. Mastrangelo e altri, riv. 216142). Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo.

Anche attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti indici – purchè siano pregnanti e idonei ad essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo in questione – il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni (Sez. 1, 20.4.2000, sent. n. 01587, ric. D’Onofrio, riv. 215937).

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per aversi unicità del disegno criminoso occorre che in esso risultino ricomprese le diverse azioni od omissioni sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel senso che, quando si commette la prima azione, già si sono deliberate tutte le altre, come facenti parte di un tutto unico. Le singole condotte, quindi, devono essere ricollegate ad un’unica previsione, di cui i diversi reati costituiscano la concreta realizzazione, cosicchè i reati successivamente commessi devono essere delineati fin dall’inizio nelle loro connotazioni essenziali, non potendo identificarsi il requisito psicologico indicato nell’art. 81 c.p. con un generico programma delinquenziale.

Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. la "cognizione" del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumo essere "in continuazione". Le sentenze devono essere poste a raffronto per ogni utile disamina, tenendo presenti le ragioni enunciate dall’istante e fornendo del tutto esauriente valutazione. La decisione del giudice di merito, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, 7.5.1992, sent. n. 01060, ric. Di Camillo, riv. 189980; Sez. 1, 7.7.1994, sent. n. 02229, ric. Caterino, riv. 198420; Sez. 1, 30.1.1995, sent. n. 05518, ric. Montagna, riv. 200212).

2. Il provvedimento della Corte d’assise d’appello di Lecce è conforme a tali principi giuridici, in quanto ha analiticamente valutato il contenuto delle diverse sentenze, oggetto dell’istanza di applicazione dell’istituto di cui all’art. 671 c.p.p., ha evidenziato i punti di difformità, ha ricostruito, sulla base delle stesse, le condotte poste a fondamento delle diverse condanne, le loro modalità di commissione, l’elemento soggettivo che ha sorretto ciascuna di esse, le causali dei vari reati, il contesto in cui essi si collocano. Dopo questa disamina, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici e, conseguentemente, non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto di non ravvisare l’unicità del disegno criminoso, tenuto conto della ricostruzione dei fatti posti a base delle diverse sentenze, della intervenuta esclusione di qualsiasi forma di collegamento ex art. 81 c.p., tra le due associazioni per le quali L. è stato condannato, con conseguenti ovvi riflessi anche sulla possibilità di ravvisare il vincolo della continuazione tra i reati fine oggetto delle stesse, dell’assenza di nuovi elementi idonei a confutare le argomentazioni illustrate nel precedente provvedimento reiettivo.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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