Cons. Stato Sez. III, Sent., 13-04-2011, n. 2294 Armi da fuoco e da sparo Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Il sig. L. F., residente in Marano Vicentino (VI), rende noto d’aver ricevuto, da parte della Prefettura di Vicenza, l’avviso d’avvio d’un procedimento preordinato all’adozione, nei suoi riguardi, del divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente.

Il sig. F. dichiara altresì l’emanazione del decreto dell’11 marzo 2010, notificatogli il successivo giorno 31, con cui il Prefetto della provincia di Vicenza gli ha imposto il divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente. Il provvedimento è motivato sia alla stabile convivenza del sig. F. con un soggetto affetto da gravi disturbi psichici, sia all’indebito trasferimento delle proprie armi in altro luogo senza l’autorizzazione dell’Autorità di PS. E’ seguito, da parte del sig. F., un ricorso al TAR Veneto, affidato a tre articolati gruppi di censure.

2. – Il TAR adito, con la sentenza succintamente motivata n. 1759 del 24 giugno 2010, emessa all’udienza camerale di trattazione della domanda cautelare, ha respinto il ricorso.

Appella allora il sig. F., censurando la sentenza impugnata per ragioni sia sostanziali, che procedimentali. Resiste in giudizio il Ministero intimato, che conclude per l’infondatezza dell’appello in epigrafe.

All’udienza camerale del 25 marzo 2011, completo essendo il contraddittorio processuale ed in presenza dei presupposti ex art. 60 c.p.a., il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio per esser deciso nelle forme di cui al successivo art. 74.

3. – L’appello è infondato e va disatteso.

Correttamente la sentenza impugnata ha chiarito come il decreto prefettizio abbia dato seria contezza tanto della presenza d’un soggetto psichicamente alterato (la moglie) convivente con l’appellante nell’abitazione dov’erano detenute le armi de quibus, quanto del trasferimento indebito di queste ultime in un luogo diverso e non autorizzato.

Entrambe le circostanze, non smentite, anzi confessate dall’appellante, costituiscono con ogni evidenza vicende seriamente indicative della scarsa affidabilità del medesimo sig. F. nella custodia delle armi, nonché dell’evenienza dell’abuso di queste da parte del familiare convivente. Infatti, il provvedimento prende sì le mosse dalla querela presentata dalla moglie contro l’appellante e poi rimessa, ma non si basa tanto su questo episodio, quanto, piuttosto, sulla reiterazione del comportamento violento ed incontrollabile di questa persona, affetta da seri disturbi nervosi.

Sicché l’impugnato divieto, che l’art. 39 del RD 18 giugno 1931 n. 773 (t.u.l.p.s.) prevede per prevenire gli abusi non solo del titolare, ma anche dei familiari conviventi, costituisce acconcia misura a tutela della privata e pubblica incolumità appunto a causa della compresenza di tal soggetto nello stesso luogo in cui le armi stesse son detenute. L’art. 39 del t.u.l.p.s., per vero, è norma preordinata alla tutela dell’ordine pubblico, anche, come nella specie, per casi debitamente accertati di temuto pericolo (cfr. Cons. St., VI, 3 giugno 2010 n. 3516), sulla scorta di pregressi avvenimenti dei quali la P.A. ha dato idonea motivazione.

Né basta: è noto che ai fini del divieto di detenzione delle armi, non occorre che vi sia stato un oggettivo e accertato abuso di queste, essendo sufficiente che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto al loro uso, anche per non avere posto in essere le cautele necessarie per la loro custodia. In tal caso, il provvedimento inibitorio non richiede una particolare motivazione, in relazione alle funzioni discrezionali commesse dalla legge alla P.A., se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie.

Ebbene, lo stesso appellante ha dimostrato un atteggiamento ictu oculi non consono alla delicatezza della vicenda in esame, quando ha indebitamente trasferito le predette armi in un altro luogo, senza avvertire l’Autorità di PS, pur se questa già consapevole delle vicissitudini inerenti al di lui coniuge. Da ciò discende l’assenza, nel provvedimento, d’ogni menda di ragionevolezza o di proporzionalità e men che mai di travisamento di fatti, come s’è visto in sé ammessi dall’appellante anche in questa sede.

È appena da osservare che il divieto posto dalla P.A. verso l’appellante è solo rebus sic stantibus, ossia fintanto che perdurino attuali le cause d’inaffidabilità che hanno condotto all’emanazione del provvedimento interdittivo e non se ne dimostri la cessazione in capo al medesimo sig. F.. In altre parole, il divieto è suscettibile di riesame (fatta salva, beninteso, la discrezionalità dell’amministrazione) qualora l’interessato dimostri, ad es., di poter custodire le armi in altro luogo idoneo, non accessibile da soggetti terzi.

4. – Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando, respinge l’appello (ricorso n. 1759/2011 RG in epigrafe).

Condanna l’appellante al pagamento, a favore della P.A. resistente e costituita, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in Euro 1.500,00 (Euro millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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