Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-01-2011) 14-04-2011, n. 15167

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il G.I.P. del Tribunale di Roma, con provvedimento del 23 marzo 2010, disponeva – ai sensi dell’art. 321 c.p.p., e della L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 11 – il sequestro preventivo di beni nella disponibilità di M.G., sino alla concorrenza dell’importo di Euro 376.000.000,00, somma equivalente al danno asseritamente cagionato all’Erario per effetto di condotte illecite a lui contestate, in relazione alle quali egli era stato altresì sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere (misura confermata dal Tribunale del riesame con ordinanza del 17.3.2010, sulla cui legittimità questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 27594 del 15.7.2010 (Cam. cons. 25.6.2010)).

Trattasi, in particolare:

– del delitto di associazione per delinquere pluriaggravata, finalizzata alla commissione di delitti in materia di evasione fiscale (emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti), contro la fede pubblica (falsi in atti pubblici), contro la P.A. e l’amministrazione della giustizia (corruzione di pubblici ufficiali), contro il patrimonio (riciclaggio, intestazione fittizia di beni e reinvestimento di proventi illeciti): associazione transnazionale, perchè operante in più Paesi sia nell’Unione Europea che al di fuori di essa, di cui il M. era promotore, organizzatore e capo;

– nonchè di una lunga serie di reati-fine, tra cui quelli di cui:

all’art. 648 bis c.p., e L. n. 146 del 2006, art. 4, (riciclaggio transazionale aggravato), alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, comma 1, (trasferimento fraudolento di valori); all’art. 319 c.p., (corruzione per atti contrarì a doveri di ufficio).

Il disposto sequestro ha avuto ad oggetto l’associazione culturale (OMISSIS) ed il relativo spazio espositivo con quanto in esso contenuto (tra cui 21 quadri del movimento artistico Gant Movement), nonchè un terreno sito in (OMISSIS), intestato alla s.r.l.

"Builders Investimenti Immobiliari".

Sull’istanza di riesame presentata nell’interesse dell’indagato, il Tribunale di Roma confermava il provvedimento di sequestro con ordinanza del 7 maggio 2010.

Il Tribunale rilevava, in particolare, che la misura cautelare reale, in relazione ai delitti di associazione transazionale per delinquere e di riciclaggio transnazionale, si fonda sul combinato disposto di cui all’art. 321 c.p.p., e L. n. 146 del 2006, art. 11, trattandosi di delitti aggravati ai sensi dell’art. 4 di quest’ultima legge. Per ciò che riguarda gli altri reati, tra cui quelli di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, (trasferimento fraudolento di valori), occorre fare riferimento, invece, alla disciplina prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, ed all’art. 322 ter c.p..

Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il difensore del M., la quale:

a) ha denunciato violazione di legge con riferimento ai presupposti oggettivi della misura cautelare reale e, in particolare, alla derivazione del compendio oggetto del sequestro dal delitto di associazione transazionale per delinquere.

Ha osservato, a tale proposito, che l’ordinanza impugnata cadrebbe in contraddizione quando, pur individuando il reato per il quale era stato disposto il sequestro in quello previsto dall’art. 416 c.p., ha ritenuto che i profitti da sottoporre a confisca erano quelli derivati dai diversi reati di frode fiscale, pur non essendo stata all’indagato ascritta alcuna condotta rilevante sotto il profilo penale tributario;

b) con ulteriore doglianza ha lamentato la illegittimità dell’applicazione retroattiva della legge n. 146 del 2006 ancorchè "legge sopravvenuta" e "meno favorevole" al reo. Essendo la contestazione del tempus commissi delicti indicata dal 2003 al 2008 (con condotta in atto) ed essendo la legge 16.3.2006, n. 146 entrata in vigore il 12 aprile 2006, sarebbe stato necessario limitare il sequestro finalizzato alla confisca alle sole condotte successive a tale data, oltre che limitarlo al "valore corrispondente" del prodotto, profitto o prezzo del reato.

1. B ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.

2. Appare opportuno rilevare, anzitutto, che la c.d. confisca per equivalente – alla quale è funzionale il sequestro preventivo di ciò che a tale provvedimento ablativo può essere soggetto all’esito del procedimento – può riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’art. 240 c.p., che può avere ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato) beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato (cfr.

Cass., Sez. Unite, 22.11.2005, n. 41936, Muci).

La ratio dell’istituto è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume "i tratti distintivi di una vera e propria sanzione" (vedi Cass., Sez. Unite: 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti s.p.a. ed altri e 15.10.2008, n. 38834, P.M. in proc. De Maio).

Anche la Corte Costituzionale ha ritenuto la natura sanzionatoria della confisca per equivalente e in particolare – in riferimento alla questione concernente la possibilità di applicare l’istituto previsto dall’art. 322 ter c.p., esteso dalla legge finanziaria del 2008 anche ai delitti tributari, ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa – ha testualmente affermato che la mancanza di "pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un nesso di pertinenzialità tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva, attribuendole cosi una natura eminentemente sanzionatoria che impedisce l’applicabilità a tale misura del principio generale dell’art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e possono essere, quindi, retroattive" (così Corte Cosi, ord. 2.4.2009, n. 97).

3. Quanto alla normativa applicabile alla vicenda in esame (in relazione ai reati in concreto contestati), va evidenziato che:

– La L. 16 marzo 2006, a 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001) ha previsto, all’art. 11, che, per i reati di criminalità organizzata transnazionale, definiti all’art. 3 della stessa legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordini la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, "per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo".

– L’art. 648 quater c.p., introdotto con il D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonchè della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione) prevede la confisca di valore con espresso riferimento all’equivalente del prodotto, profitto o prezzo dei reati previsti dagli artt. 648 ter e 648 ter c.p., (riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita).

– La L. 24 dicembre 2007, n. 244, (Legge finanziaria 2008), con l’art. 1, comma 143, ha esteso la confisca di valore anche ai reati fiscali, prevedendo che "nei casi di cui agli D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.". 4. Tanto premesso, rileva il Collegio che la prima doglianza svolta in ricorso perviene a non plausibili censure del provvedimento impugnato, in quanto non tiene in debito conto la autonomia del reato associativo rispetto ai reati-fine.

Deve ritenersi erronea, infatti, la lettura dell’ordinanza in contestazione, proposta dal ricorrente, laddove viene prospettata la sussistenza di una contraddizione, che consisterebbe nel riferimento ai beni sequestrati da sottoporre a confisca come pertinenti al reato associativo ed alla successiva indicazione ai reati-fine, di natura fiscale – non contestati al M. – quale fonte dei profitti del sodalizio criminale.

Nella asserzione del Tribunale del riesame, al contrario, non è rinvenibile alcuna incoerenza, avendo detto giudice semplicemente dato atto della circostanza che il vincolo associativo era stato costituito per la commissione di determinati reati che avevano consentito agli associati di perseguire profitti definiti di "entità davvero straordinaria". L’argomentazione è del tutto priva di contraddizioni, considerata la natura del reato previsto dall’art. 416 c.p., che è reato plurisoggettivo di pericolo contro l’ordine pubblico, per la configurabilità del quale si richiede esclusivamente la sussistenza di un vincolo associativo continuativo, finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti e supportato da una minima struttura organizzativa, peraltro senza necessità che gli illeciti siano effettivamente commessi. Nel reato di cui all’art. 416 c.p., il profitto, inteso come l’insieme dei benefici tratti dall’illecito ed a questo intimamente attinenti, può consistere (come nella fattispecie) nel complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata proprio dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e da un comune progetto delinquenziale.

5. Il provvedimento del Tribunale del riesame appare immune anche dalle censure riferite in ricorso alla necessità di applicare il sequestro L. n. 146 del 2006, ex art. 11, soltanto ai profitti (o al valore corrispondente) originati dalle condotte delittuose poste in essere successivamente al 12 aprile 2006.

Già si è detto, in proposito, che la Corte Costituzionale ha evidenziato la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, da cui ha fatto discendere l’irretroattività della relativa disciplina.

Nella vicenda in esame, però, correttamente il Tribunale ha dato atto della natura permanente del reato contemplato dall’art. 416 c.p. e della circostanza che il vincolo associativo (il cui fumus non è posto in discussione a livello di gravità indiziaria) era ancora sussistente alla data di entrata in vigore della L. 16 marzo 2006, n. 146 e, per la ragioni in precedenza esposte, non assumono alcun rilievo i riferimenti ai singoli delitti commessi nell’ambito dell’associazione per delinquere, che è reato autonomo.

6. La soluzione interpretativa della questione dei rapporti tra la confisca per equivalente ed il concorso di persone nel reato – con particolare riferimento alla determinazione della quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente e quindi assoggettabile a confisca – si connette anch’essa alla individuazione della natura giuridica della confisca per equivalente, tenuto conto che, dovendosi escludere che si verta nell’ambito delle misure di sicurezza ed essendosi riconosciuta alla stessa una componente essenzialmente sanzionatoria, ben può affermarsi, in linea di principio, che ciascun concorrente possa ritenersi destinatario del provvedimento ablativo a prescindere da ogni accertamento circa l’effettivo arricchimento personale derivante dalla commissione del reato.

Questa Corte ha già rilevato, in proposito, che, in virtù del principio solidaristico che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, ciascun concorrente può essere chiamato a rispondere dell’intera entità del profitto accertato sul presupposto della corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito.

Una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei correi, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi – irrilevante ai fini penalistici – del relativo onere (vedi per tale orientamento, decisamente maggioritario, Cass., Sez. 5^, 1.4.2004, n. 15445;

nonchè Sez. 2^: 14.6.2006, Troso; 21.2.2007, Alfieri).

La più recente giurisprudenza – che il Collegio condivide – ammette la possibilità che il sequestro possa interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, sebbene la confisca non possa essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso (vedi Cass.: Sez. 5^, 19.3.2010, n. 10810; Sez. 6^, 5.5.2009, n. 18536; SS. UU., 2.7.2008, n. 26654).

Si è altresì fatto rilevare, premessa la natura provvisoria del sequestro, la correttezza di tale soluzione interpretativa con riferimento ai principi contenuti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con la legge n. 848 del 1955), secondo la lettura sistematica data con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, affermandosi anche che "una volta esclusa l’esistenza di vizi in ordine al fumus di reato nei confronti del ricorrente, nessuna illegittimità può essere ravvisata nel provvedimento di sequestro che, in funzione della futura possibile confisca anche per equivalente, venga disposto sui beni del singolo concorrente avendo come parametro l’intero ammontare del profitto derivante dal reato" (così Cass., Sez. 3^ 31.3.2010, n. 12580).

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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