Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-01-2011) 14-04-2011, n. 15218 mezzi di prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4-12-2009 la Corte di Appello di Brescia confermava nei confronti di C.S. la sentenza emessa dal Tribunale di Brescia in data 25-10-1995,con la quale l’imputato era stato condannato quale responsabile di bancarotta fraudolenta, ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, e art. 222 previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante contestata ai sensi della L. Fall., art. 219, alla pena di anni tre di reclusione, con pene accessorie di legge.

Al C. era stata addebitata la condotta delittuosa, rilevando che il predetto aveva di fatto gestito la società " (OMISSIS)" – dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Brescia in data 25-10-1995 – distraendo beni o denaro per importo pari a L. 217.952.439, oltre la condotta di occultamento o distruzione delle scritture contabili.

In particolare si era esclusa la responsabilità dell’amministratore L., ritenuto persona che non era dotata delle capacità di amministrare, come descritto dal curatore, mentre si era evidenziato che il C. aveva fondato la società di cui si tratta.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo con il primo motivo l’inosservanza di norme processuali ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) con riferimento all’art. 513 c.p.p., comma 1.

A riguardo evidenziava che la Corte aveva tenuto conto delle dichiarazioni accusatorie di coimputato che non era comparso in dibattimento.

A riguardo la difesa riteneva che la violazione di cui si tratta era dovuta alla utilizzazione da parte dei giudici di appello delle dichiarazioni che il coimputato (da individuarsi nel L.) aveva reso al curatore fallimentare, riportate nella relazione del predetto curatore.

2- Con ulteriore motivo la difesa rilevava la violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 4, evidenziando che la sentenza menzionava a carico dell’imputato dichiarazioni rese da altri che non erano comparsi in dibattimento, e dunque in violazione del principio per cui la prova si forma in dibattimento.

3- Con il terzo motivo rilevava che la motivazione risultava carente in merito alla posizione del C., non avendo preso in considerazione il dato che costui aveva dismesso la carica di socio nel 1994 a favore di un terzo che era deceduto dopo alcuni mesi.

Da tali elementi, rilevando che la dichiarazione di fallimento era avvenuta dopo oltre un anno dalla morte del titolare della società, la difesa desumeva l’assenza di validi riferimenti probatori a carico dell’imputato, sui quali la Corte non aveva formulato adeguata motivazione.

In tal senso concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva che i motivi di ricorso risultano privi di fondamento.

In ordine al primo motivo, inerente alla violazione dell’art. 513 c.p.p., comma 1, deve rilevarsi che – innanzi alla Corte territoriale – la difesa aveva eccepito, come illustrato in sentenza, la inutilizzabilità nei confronti dell’imputato della chiamata in correità che aveva effettuato durante le indagini il coimputato L., non essendo poi comparso in dibattimento, ed in tal modo aveva eccepito che l’atto prodotto dal PM avrebbe potuto valere come fonte di prova a carico dello stesso dichiarante e non già a carico del C..

Parimenti era stata eccepita l’inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali del curatore – dr. La. – che si era limitato a riferire quanto gli aveva dichiarato il L..

Ebbene la sentenza nella parte motiva precisa a riguardo che l’espulsione dagli atti probatori del verbale di interrogatorio che il coimputato L. aveva reso alla Polizia Giudiziaria non giovava al C., dato che restavano a suo carico le dichiarazioni che il medesimo coimputato aveva reso al curatore del fallimento, che costui aveva trasfuso nella relazione redatta ai sensi della L. Fall., art. 33.

Tale interpretazione appare conforme all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte richiamato in motivazione, secondo cui devono ritenersi tali dichiarazioni come testimonianza indiretta, essendo peraltro le relazioni redatte dal curatore fonti di prova documentale.

A riguardo dunque risulta incensurabile la valutazione di tali fonti di prova, essendo le dichiarazioni del coimputato parte integrante degli accertamenti eseguiti dal curatore nell’esercizio dei poteri assegnati al detto pubblico ufficiale per verificare le cause del dissesto.

Pertanto deve ritenersi esente da censure la valutazione effettuata dal giudice di appello delle risultanze processuali, anche con riferimento alle dichiarazioni che aveva reso al curatore fallimentare il coimputato indicato nel L..

-2 Sono inoltre inammissibili, stante l’assoluta genericità, le deduzioni formulate con il secondo motivo, per pretesa violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 4.

Deve peraltro essere evidenziato che il contenuto complessivo della motivazione rivela l’accertamento della responsabilità del C. in base a quanto dedotto dal curatore e attestato dalla materiale ingerenza dell’imputato – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa con i motivi di gravame – nella gestione della società fallita.

In merito a tali aspetti la motivazione appare specifica, e va richiamato il fl. 5, per cui deve ritenersi priva di efficacia scriminante la tesi che richiama l’avvenuta cessione della carica di socio da parte del prevenuto, atteso che resta dimostrata la gestione di fatto della attività.

In conclusione deve quindi essere pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, SEZIONE QUINTA PENALE, Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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