T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 13-04-2011, n. 3225

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

come da verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Col ricorso in esame, settantadue soggetti – appartenenti, con qualifiche direttive, al Corpo Nazionale dei VV.F. – hanno impugnato, nella parte di loro interesse, il D.P.R. 7.5.2008, n.168. (Col quale era stato recepito, relativamente al quadriennio normativo 20062009 ed al biennio economico 20062007, l’Accordo sindacale integrativo per il personale direttivo e dirigente di detto Corpo).

I ricorrenti, pur riconoscendo che tale D.P.R. è stato emanato in corretta attuazione del decreto legislativo n.217/2005, ritengono che questo (e da ciò la sua dedotta illegittimità costituzionale) abbia disatteso talune indicazioni poste dalla leggedelega n.252/2004: non estendendo (in particolar modo) ai direttivi alcuni istituti – quali, ad esempio, il "tempo di lavoro" e la "retribuzione di risultato" – propri del personale dirigente.

All’esito della discussione svoltasi nella pubblica udienza del 16.2.2011, il Collegio – trattenuta la causa in decisione – constata come le pretese attoree (volte, in buona sostanza, ad ottenere un’equiparazione – pressoché totale – tra le cennate categorie di dipendenti pubblici) siano prive di fondamento.

Si osserva – al riguardo – che, se è vero che la legge "252" ha previsto un unico procedimento negoziale per direttivi e dirigenti, è altresì vero

che essa ha demandato all’accordo negoziale (ed al relativo D.P.R. di recepimento) di disciplinare non solo il trattamento economico (fondamentale e accessorio) ma anche il tempo di lavoro (genericamente inteso) di tali categorie di soggetti e

che, lungi dall’introdurre (ciò che non avrebbe, certo, potuto fare) nuove materie oggetto di contrattazione, il legislatore delegato (al quale era stata rimessa la concreta determinazione di alcuni aspetti, giuridici ed economici, dei relativi rapporti di impiego) si è limitato – correttamente – ad apportare le opportune specificazioni rispetto all’elenco contenuto nella legge stessa.

Ritiene, insomma, il Collegio che l’impugnato D.P.R. sia (stato) del tutto coerente con le disposizioni – di rango primario – di cui al d.lg. n.217/2005: che, nell’indicare le materie rimesse al procedimento negoziale

a) fa riferimento al "lavoro straordinario", ed all’"orario di lavoro", per quel che concerne il solo personale appartenente al ruolo dei direttivi e

b) articola il trattamento economico in una componente stipendiale di base, e in due componenti accessorie (una delle quali volta a remunerare i risultati conseguiti, rispetto agli obiettivi assegnati), soltanto per i dirigenti.

E’ noto, del resto, che il ruolo del Governo – nel dare attuazione alle deleghe conferitegli dal Parlamento (soprattutto in materie, come quella in esame, caratterizzate da un elevato "tecnicismo") – è quello di concretizzare i principi ispiratori delle deleghe stesse: predisponendo una disciplina di dettaglio che sia coerente con l’ordinamento generale e settoriale.

In quest’ottica, non si può non convenire sul fatto che i concetti di "tempo di lavoro" (intesa, la locuzione, in senso rigorosamente tecnico) e di "retribuzione di risultato" si attagliano esclusivamente alle funzioni, ed al grado di responsabilità e autonomia, che sono propri del (solo) personale con qualifica dirigenziale.

E’ infine da rilevare

che il D.P.R. "de quo" non avrebbe in alcun modo potuto prevedere (come preteso dagli interessati) l’istituzione dell’area della "vicedirigenza": trattandosi di materia (ordinamentale) riservata, dalla legge n.252/2004, alla competenza di fonte primaria (ancorché "delegata") e

che un discorso specularmente opposto (il quale, peraltro, porta – anch’esso a disattendere le istanze attoree) va fatto per quel che concerne le misure degli stipendi tabellari delle qualifiche ricomprese nel ruolo dei direttivi.

A quest’ultimo proposito; premesso

che il trattamento economico (già lo si è detto) è materia demandata, "in toto", al procedimento negoziale;

che l’impugnato D.P.R. (emanato all’esito di tale procedimento) recepisce un Accordo (espressione di una volontà contrattuale che è, qui, sovrana) sottoscritto sia dalla delegazione di parte pubblica che (soprattutto) dalle Organizzazioni Sindacali del personale,

si fa presente (ad ogni buon conto)

che non esiste alcuna prescrizione legislativa che imponga alla negoziazione di realizzare una determinata proporzionalità tra il trattamento economico dei direttivi e quello dei non direttivi e

che (da parte sua) la (lamentata) differenza stipendiale tra i primi dirigenti e i vicedirigenti trova giustificazione sia nelle diverse modalità di accesso alle due qualifiche che nella diversità delle funzioni (non comportanti, certo, lo stesso grado di responsabilità e autonomia) svolte – rispettivamente – dall’una e dall’altra categoria di soggetti.

Per le suesposte (assorbenti) considerazioni, il ricorso in esame si appalesa intrinsecamente infondato: e, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite, va – pertanto – respinto.
P.Q.M.

rigetta il ricorso indicato in epigrafe;

condanna i proponenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio: che liquida, complessivamente in 7000 euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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