Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2011, n. 15204 Servitù coattive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del 1999, B.A., C.A., B.C. e A.M.T. convenivano di fronte al tribunale di Trento R.M.L. e una Congregazione religiosa e, premettendo di essere proprietari di alcuni fondi in agro di (OMISSIS), esponevano di essere nel possesso da oltre venti anni di servitù di presa d’acqua continua, di acquedotto e di passo e ripasso per la manutenzione delle opere necessarie, a carico di due particelle, intestate rispettivamente alle due convenute.

Chiedevano quindi venisse dichiarata l’intervenuta usucapione delle servitù predette e in subordine la costituzione di servitù coattiva, allegando lo stato di interclusione dei relativi fondi.

Si costituiva la R., allegando che la presa d’acqua fatta valere derivava da una convenzione del 1902, stipulata dal dante causa delle controparti con il Comune di Villazzano; non poteva pertanto farsi ricorso ai principi dell’usucapione.

Con sentenza del 2002, l’adito tribunale rigettava la domanda attorea e regolava le spese; avverso tale decisione proponevano appello i soccombenti, precisando di avere raggiunto un accordo con la Congregazione; resisteva la R., deducendo il difetto di competenza della Corte adita a favore del TSAP, contestando altresì la legittimazione attiva, tranne che per la C., degli altri originari attori.

Con sentenza in data 29.5/23.8.2004, la Corte di appello di Trento, dichiarava costituita per intervenuta usucapione ventennale servitù di acquedotto a carico della particella della R. e a favore della particella della C., rigettando ogni altra domanda e compensando le spese.

Osservava la Corte distrettuale che le due servitù, ancorchè funzionalmente legate tra loro, rimanevano sul piano giuridico, del tutto autonome e scindibili; tanto premesso, la natura dell’acqua aveva scarso rilievo in quanto almeno la C. aveva diritto a trarla indipendentemente dalla natura della stessa, mentre la domanda investiva soltanto la servitù di acquedotto. Tanto consentiva di superare il profilo afferente al titolo da cui discende il diritto alla derivazione dell’acqua, in quanto era in discussione solo quello relativo al mantenimento delle opere per l’attraversamento della medesima.

Non v’era prova alcuna che gli allora appellanti avessero acquistato per usucapione il diritto di servitù di presa d’acqua in quanto la sorgente rientra tra le acque pubbliche. Sussistevano poi opere visibili ed apparenti atte a giustificate l’acquisto per usucapione della servitù di acquedotto a carico del fondo della R., consistenti in una saracinesca che regola il deflusso dell’acqua nonchè di una condotta.

Peraltro, l’acquisto riguardava esclusivamente la particella delle C., ove esiste una fontana, opera visibile e permanente per il relativo esercizio.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la R. sulla base di sei motivi; resistono con controricorso i B., la C. e la A., proponendo anche ricorso incidentale, basato su di un solo motivo, cui la stessa R. resiste a sua volta con controricorso.
Motivi della decisione

I due ricorsi, principale ed incidentale, sono rivolti avverso la stessa sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Venendo all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si lamenta violazione delle norme sulla competenza, error in procedendo, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia e, con il secondo, violazione di norme di legge, vizio di motivazione ed error in procedendo; ci si riferisce alla invocata competenza del TRAP, alla dedotta modifica della domanda attorca ed alla violazione delle norme afferenti alla natura delle acque, oltre che alla motivazione adottata dalla Corte distrettuale circa lo stato dei luoghi; i due motivi possono essere esaminati congiuntamente in ragione della tematica sotto plurimi aspetti comune che affrontano.

Va in primo luogo rilevato che nella specie non si controverte in materia di servitù di presa d’acqua, ma di servitù di acquedotto tra privati, cosa questa che elide ogni contrasto relativamente alla natura pubblica o privata delle acque in questione; è appena il caso di aggiungere che le modifiche normative intervenute non influiscono sulla questione in esame,atteso che la corretta interpretazione della c.d. legge Galli conduce a ritenere la disciplina ivi contenuta non innovativa sotto il profilo in esame. Quanto alla dedotta immutatio relativa alla domanda di controparte, va rilevato che la censura si risolve in una questione per un verso relativa allo stato dei luoghi (il passaggio della tubazione attraverso la particella della ricorrente principale) e quindi afferente al merito e, come tale non suscettibile di esame in sede di legittimità, e per altro verso derivante dalla valenza di atti processuali (la domanda effettivamente promossa dalle controparti), profilo riconducibile all’interpretazione della domanda stessa e devoluta all’apprezzamento discrezionale del giudice del merito, insindacabile in questa sede se immune da vizi di logica o di diritto. E’ appena il caso di rilevare che non vengono al riguardo dedotti specifici profili di violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., cosa questa che rende la doglianza, per quanto attiene allo specifico vizio lamentato, inammissibile.

I due motivi non possono pertanto trovare accoglimento.

Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1033 c.c., e segg., art. 1050 c.c. e art. 1080 c.c., e segg., e vizio di motivazione in ordine alla natura della servitù in questione e all’effettivo stato dei luoghi, in particolare lamentandosi la insussistenza di un attraversamento della tubatura nella particella di essa ricorrente principale.

Premesso che le considerazioni svolte in ordine alla differenza tra servitù di presa d’acqua e di acquedotto sono condivisibili solo laddove si risolvono nell’affermare che oggetto della servitù di acquedotto è il diritto di far passare l’acqua attraverso il fondo altrui, va rilevato che le ulteriori considerazioni attengono allo stato dei luoghi, scivolando ineluttabilmente in profili di merito, che non sono sindacabili in questa sede.

Fermo il fatto che la sentenza impugnata afferma che, sia pure per brevissimo tratto, le tubature passano attraverso la particella della R., cosa questa che fa venir meno ogni ulteriore profilo di violazione delle norme citate, ha ininfluente incidenza la ulteriore qualificazione delle altre opere esistenti, atteso che è sufficiente l’attraversamento del fondo altrui con tubature per la conduzione dell’acqua per ritenere la sussistenza della ritenuta servitù di acquedotto.

Anche tale motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Il quarto motivo lamenta violazione o falsa applicazione di norme di legge e vizio di motivazione; si assume infatti che il titolo costitutivo (del 1902) ha natura negoziale, e che con esso si era costituito un diritto di obbligazione e non reale, come del resto era stato riconosciuto dalla Giustizia austroungarica, che aveva escluso la natura reale dell’acquisto di acqua dal Comune.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza; avrebbero infatti, essendo stato denunciata violazione di norme sostanziali, essere riportati per intero e per esteso sia l’atto invocato che la pronuncia giudiziale cui si fa riferimento, non potendosi ritenere sufficienti ai fini che ne occupano citazioni parziali o per riassunto, come nella specie è stato fatto.

Con il quinto motivo si lamenta violazione degli artt. 1158, 1146,1033 e 1080 c.c., in buona sostanza affermandosi che, fermo il fatto che la C. aveva acquistato il terreno solo nel 1992, l’accessio possessionis non poteva trovare applicazione in zone ove vige il sistema tavolare, con la conseguenza che l’usucapione non poteva dirsi compiuta.

Il motivo è inammissibile atteso che propone per la prima volta in questa sede una questione mai dibattuta nella fase di merito e necessitante, per sua natura, di accertamenti incompatibili con la presente sede di legittimità.

Con il sesto motivo ci si duole della avvenuta compensazione delle spese nei confronti dei soggetti dei quali era stata ritenuta l’insussistenza della legittimazione attiva.

La doglianza è inammissibile, atteso che la compensazione delle spese è affidata alla discrezionale valutazione del giudice del merito, il quale nell’applicarla non è legato a ragioni di soccombenza o processuali, ma ad una sua prudente valutazione dello svolgimento del giudizio di merito.

Il ricorso principale non può pertanto trovare accoglimento.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale, ci si duole del ritenuto difetto di legittimazione attiva in capo ai B. ed alla A.; si sostiene che essendo la fontana l’unica opera visibile attestante la sussistenza della servitù, costoro si sarebbero venuti a trovare nella stessa situazione della loro consorte.

Il motivo è generico, in quanto non perviene a contestare le ragioni sulla cui base la Corte trentina è pervenuta alla decisione di cui ci si duole; la sentenza impugnata infatti ha svolto ragioni decisionali al riguardo che non sono state specificamente esaminate e sottoposte a critica.

Quanto alla ulteriore doglianza relativa alla compensazione delle spese, la stessa è pure inammissibile, anche per la ritenuta carenza di legittimazione passiva in capo ai B. ed alla A., ma principalmente in quanto spetta al giudice del merito pervenirvi o meno in ragione del completo esame dell’iter processuale.

Anche il ricorso incidentale deve essere pertanto respinto.

La reciproca soccombenza conduce alla compensazione delle spese relative al presente procedimento per cassazione.
P.Q.M.

riuniti i ricorsi, la Corte li rigetta e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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