Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-12-2010) 14-04-2011, n. 15210

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 24 marzo 2010 la Corte d’Appello di Torino, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Verbania in composizione monocratica, ha riconosciuto C.Y. e B. R. responsabili, in concorso fra loro, dei delitto di furto in abitazione aggravato e continuato ai danni di M.R., V.C., Ve.Ma., G.C. e dei coniugi Ga.Fe. e R.M..

L’accusa si riferiva a cinque episodi delittuosi commessi mediante introduzione con l’inganno nelle abitazioni delle anziane vittime, spacciandosi per dipendenti dell’E.N.E.L. incaricati di effettuare la lettura periodica del contatore. L’individuazione del C. e del B. quali autori dei furti è avvenuta a seguito di riconoscimento fotografico da parte delle persone offese.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione i due imputati, per il tramite del comune difensore, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo i ricorrenti contestano la valutazione data al materiale probatorio dal giudice di merito, deducendo in particolare il carattere non conducente dei riconoscimenti fotografici. Col secondo motivo impugnano la modulazione della pena.

Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

Il primo motivo esula dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p.. Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di violazione di norme e vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a confermare il giudizio di reità a carico degli imputati; al riguardo ha considerato che l’individuazione di costoro, quali autori degli illeciti contestati, era derivata dal riconoscimento fotografico operato, nei confronti di entrambi, dalle persone offese Ve.Ma. e R.M.; nonchè, nei confronti del solo B., da G.C. e da V. C.; mentre M.R. aveva riconosciuto in effigie il solo C.. Nel valutare tali risultanze quel collegio ha anche tenuto conto del ristretto lasso temporale in cui si erano verificati i plurimi episodi delittuosi, della perfetta sintonia operativa esistente fra i due complici (i quali si erano anche avvicendati nei ruoli, al fine evidente di rendere più difficile la loro identificazione), dell’accento settentrionale riscontrabile negli imputati come negli autori dei furti: così pervenendo alla conclusione che, anche nei casi in cui le persone offese avevano riconosciuto uno solo dei due, la responsabilità era da attribuire ad entrambi gli imputati.

Della linea argomentativa così sviluppata i ricorrenti non segnalano alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il loro tentativo di screditare la capacità dimostrativa dei riconoscimenti fotografici, a motivo delle imprecisioni descrittive che li avevano preceduti, si risolve nella riedizione di un argomento già confutato dalla Corte di merito, col rilevare che dette imprecisioni sono state superate dagli avvenuti, attendibili, riconoscimenti.

A quest’ultimo proposito non sarà inutile ricordare che il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, non regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile nel giudizio in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice; e la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (Cass. 10 febbraio 2009 n. 22612; Cass. 11 giugno 2008 n. 25762);

onde l’affermazione di colpevolezza dell’imputato può ben trarre fondamento dalle risultanze così raccolte.

Quanto al secondo motivo, va rimarcato che la modulazione della pena è statuizione che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la propria decisione sul punto in questione: sia con l’evidenziare l’intensità del dolo, le modalità del fatto (commesso ai danni di persone anziane) e l’entità dei danni causati; sia col negare determinante valenza al tempo decorso dai fatti e alla giovane età del B., avuto anche riguardo agli ulteriori reati commessi da ambedue gli imputati in epoca successiva ai fatti di cui al processo. Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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