Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2011, n. 15190 Legittimazione attiva e passiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La sas Eros di Gregari Fabio e C, oggi Eros di D A M e C. sas, nel dicembre 1991 chiedeva al pretore di Gorizia la condanna dei coniugi V.F. ed C.E. alla demolizione della parte superiore del loro edificio sito in (OMISSIS), eretta in violazione di servitù di veduta esercitata dal terrazzo dell’attiguo fabbricato attoreo e l’arretramento fino al limite legale di nuove aperture laterali.

Dichiarata l’incompetenza per valore e riassunta la causa presso il tribunale di Gorizia, la Eros sas chiamava in giudizio i coniugi P.G. e B.G., acquirenti di parte dell’immobile dall’ottobre 1990.

Costoro resistevano, eccependo l’insussistenza di una servitù mai intavolata, non usucapibile mediante successione. I Vassallo eccepivano la novità della domanda proposta contro i nuovi soggetti e la carenza di legittimazione passiva.

Il 12 novembre 2001 il tribunale adito dichiarava la carenza di legittimazione passiva dei P. e respingeva le domande contro i V., autori dell’opera.

Il gravame interposto dalla società attrice e, con appello incidentale, dai V., veniva parzialmente accolto.

La Corte d’appello di Trieste il 24 giugno 2004 rilevava che nel grado di appello non era stata coltivata la richiesta di tutela della servitù altius non tollendi; che la nuova pretesa, ai sensi dell’art. 907, volta al diritto di inspicere frontalmente sul fondo del vicino, era infondata perchè sostanzialmente era rimasta immutata la possibilità di veduta sul tetto del vicino, sebbene il rialzo di poche decine di centimetri precludesse il panorama.

Accoglieva la domanda relativa all’arretramento fino a 75 cm della finestra sita nella porzione di proprietà P..

Estrometteva dal giudizio i V., poichè i P., ritenuti veri legittimati passivi, ma rimasti contumaci in appello, non avevano coltivato la domanda di garanzia. Condannava parte attrice a rifondere le spese di giudizio ai V..

Sas Eros ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 20/22 settembre 2005, con unico motivo.

I signori G. e Va.Gi., dichiarandosi eredi di C.V.E., hanno resistito con controricorso.

I coniugi P. sono rimasti intimati.
Motivi della decisione

Il ricorso denuncia vizio di motivazione con riferimento alla legittimazione passiva dei signori V., che è stata esclusa dalla Corte d’appello. La società ricorrente deduce: a) che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che i V. abbiano alienato l’intero compendio immobiliare; b) che i signori P. avrebbero acquistato solo il terzo piano dell’edificio; c) che la finestra – denominata anche in sentenza come A2 – risulta essere posta al secondo piano dell’edificio.

Lamenta che sul punto la sentenza sia carente di motivazione, atteso che la Corte territoriale si sarebbe limitata, con un breve inciso a pag. 12 rigo 12 della motivazione, ad affermare apoditticamente la legittimazione passiva dei coniugi P. e ad escludere quella dei coniugi V.. Trattasi di censura della motivazione inequivocabilmente riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, e non al n. 4, indicato in rubrica per probabile svista, che resta priva di rilievo (Cass. 7981/07).

Il ricorso è fondato.

Il procuratore generale e anche il controricorso hanno prospettato la tesi dell’inammissibilità della censura, ipotizzando che la denuncia riguardi un travisamento di fatto, contro cui sarebbe ammesso solo il rimedio della revocazione.

Il rilievo è infondato. L’art. 395 c.p.c., n. 4), consente l’impugnazione per revocazione se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Il rimedio è però escluso se il fatto abbia costituito "un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare".

Nella specie risulta dalla sentenza impugnata che la pretesa carenza di legittimazione passiva dei V. è stata oggetto di appello incidentale, da essi articolato. La sentenza, accogliendo l’appello, è partita dall’assunto che sin dal 1990 i V. non erano più "proprietari del fondo" e che pertanto solo i coniugi P. sarebbero stati legittimati a resistere all’azione di natura reale intrapresa dalla società Eros.

Era dunque materia del contendere stabilire se (ed eventualmente quando) i P. avessero acquistato la porzione di immobile nella quale si trova la finestra oggetto del provvedimento di condanna.

La doglianza circa l’errata valutazione della documentazione relativa a questo profilo controverso attiene quindi a censura circa il mancato o errato esame di documenti (quali, nel caso di specie, gli atti di compravendita), che non dà luogo ad un travisamento di fatto, impugnabile soltanto con l’istanza di revocazione, bensì alla violazione del dovere di giudicare iuxta alligata et probata – o, in ogni caso, ad un errore che si riflette sulla congruità della motivazione, viziandola. E’, pertanto, denunciabile mediante ricorso per Cassazione (Cass. 1803/95). Ed infatti anche l’omesso esame di specifici elementi probatori idonei a fornire la rappresentazione dei fatti oggetto di accertamento e che risultano suscettibili di determinare una diversa decisione della causa da parte del giudice comporta un vizio di motivazione su un punto decisivo della domanda (Cass. 11603/09); ne consegue che il giudice, cui spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, deve dar conto, con motivazione adeguata, delle ragioni per le quali ritenga di non valutare la documentazione ritualmente prodotta dalla parte, ove la stessa sia pertinente e rilevante.

Il ricorso denuncia la sommarietà della valutazione della Corte territoriale, limitatasi a liquidare la questione con la frase "per quel che consta allo stato degli atti". La ricorrente fa rilevare che dall’estratto tavolare storico rilasciato nel 1996 emerge che ai signori V. – C. era stato intavolato nel 1984 il diritto di proprietà di un locale al primo piano, di tre locali al secondo piano e dell’intero terzo piano. Fa inoltre constare che il 26 ottobre 1990 i V. vendettero ai signori P. – B. il solo appartamento al terzo piano, che non sarebbe quindi quello in cui si trova la finestra A2.

La specificità delle indicazioni, che soddisfa il dovere di autosufficienza, è riscontrata dalla esistenza in atti dei documenti invocati, sui quali il giudice di merito si sarebbe dovuto soffermare, per pronunciare sulla legittimazione passiva dell’una o dell’altra coppia.

Il vizio di motivazione è dunque evidente.

La decisione sul punto, ove dovesse portare a statuizioni diverse da quelle adottate nel 2004, comporterebbe una nuova identificazione del soggetto destinatario dell’ordine di riduzione in pristino (Cass. 5520/98) e un riesame anche del profilo relativo alle spese di lite.

Sussiste quindi sotto ogni aspetto l’interesse della Eros sas a ricorrere, vanificando i rilievi svolti in proposito dai resistenti costituiti.

La sentenza impugnata va pertanto cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste, che, alla luce delle considerazioni svolte, provvederà a nuovo esame, motivando specificamente in ordine alla legittimazione passiva delle parti intimate.

Il giudice di merito in sede di rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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