Corte Costituzionale, Sentenza n. 285/2010, periodo di maternità per i lavoratori liberi professionisti

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 31 del 4-8-2010

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 70 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della
paternita’, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n.
53), promossi dalla Corte d’appello di Firenze con ordinanza del 15
maggio 2009 e dalla Corte d’appello di Venezia con ordinanza del 28
maggio 2009, iscritte ai nn. 240 e 283 del registro ordinanze 2009 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e 47, 1ª
serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione della Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense;
Udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2010 il giudice relatore
Maria Rita Saulle;
Udito l’avvocato Massimo Luciani per la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte d’appello di Firenze, nel corso di un procedimento
civile promosso dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense contro P.L.F., con ordinanza emessa il 15 maggio 2009 ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione,
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 70 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della
paternita’, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n.
53), nella parte in cui non prevede il diritto del padre libero
professionista di percepire, in alternativa alla madre biologica,
l’indennita’ di maternita’.
La Corte rimettente rileva che, con sentenza n. 710 del 20 giugno
2008, il Tribunale di Firenze, in qualita’ di giudice del lavoro,
condannava, in applicazione della norma censurata, l’appellante al
pagamento in favore dell’avvocato P.L.F. dell’indennita’ di
maternita’ conseguente alla nascita del figlio avvenuta l’8 maggio
2006.
Avverso tale sentenza proponeva appello la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense contestando l’iter argomentativo
seguito dal Tribunale che aveva riconosciuto la suddetta indennita’
al padre libero professionista, in alternativa alla madre, in base ad
una «interpretazione costituzionalmente adeguatrice» del citato art.
70, il quale sancisce che alle libere professioniste, «iscritte ad un
ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza di cui alla
tabella D allegata al presente testo unico, e’ corrisposta
un’indennita’ di maternita’ per i due mesi antecedenti la data del
parto e i tre mesi successivi alla stessa».
In ragione del tenore letterale della disposizione impugnata e
del suo esplicito riferimento alle «libere professioniste», e cioe’
alla madre, la rimettente non ritiene possibile estendere il
beneficio da essa prevista al padre.
A tal fine non sarebbe risolutiva neanche la sentenza n. 385 del
2005 con la quale la Corte costituzionale, pur dichiarando la
illegittimita’ del citato art. 70 (e del successivo art. 72) «nella
parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di
percepire in alternativa alla madre l’indennita’ di maternita’,
attribuita solo a quest’ultima», si riferiva al caso di affidamento
preadottivo, fattispecie questa in cui, diversamente da quella
oggetto del giudizio principale, non si pone l’esigenza di tutela
della gravidanza e del puerperio di una madre biologica.
La rimettente osserva, pero’, che proprio dall’indicata sentenza
della Corte costituzionale si evince il principio secondo cui, per
garantire il preminente interesse del minore, i genitori devono poter
godere delle medesime tutele al fine di una compiuta attuazione di
fondamentali diritti di rango costituzionale, quali sono quelli
connessi alla formazione della famiglia e alla cura della prole.
Contro tale principio si pone, a parere della rimettente, la
norma impugnata che, nei nuclei familiari in cui il padre esercita
una libera professione, nega ai coniugi la delicata scelta di chi,
assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio
provvedere alle sue esigenze, scelta che non puo’ che essere rimessa
in via esclusiva all’accordo dei genitori. In particolare, la Corte
d’appello osserva che l’art. 70 censurato si pone in contrasto con il
principio di uguaglianza, in quanto l’indennita’ di maternita’ e’
riconosciuta al padre, sia nel caso di adozione o affidamento
(sentenza n. 385 del 2005), sia in quello in cui egli svolga
attivita’ di lavoro dipendente (art. 28 d.lgs. n. 151 del 2001).
Tale disparita’ di trattamento, a parere del giudice a quo, non
appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti, fra le diverse
figure di lavoratori, le quali non riguardano il diritto di
partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla madre,
e non consente ai professionisti di godere, alla pari degli altri
lavoratori, di quella protezione che l’ordinamento assicura in
occasione della genitorialita’, anche adottiva.
La rimettente ritiene, infine, che la norma censurata si pone in
contrasto anche con gli artt. 29 e 31 della Costituzione, in quanto
l’indennita’ di maternita’ rientra nei diritti che devono essere
riconosciuti alla famiglia e rappresenta una delle misure economiche
finalizzate ad agevolarne la formazione.
In punto di rilevanza, la Corte d’appello di Firenze osserva che
l’avvocato P.L.F. ha provato la circostanza che la moglie non svolge
attivita’ di lavoro dipendente e, pur operando nel campo della
ricerca in posizione autonoma, non ha i requisiti per la iscrizione
alla cassa di previdenza e non ha percepito alcuna indennita’ di
maternita’.
1.1. – Si e’ costituta in giudizio la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense chiedendo che la questione sollevata
sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata.
In via preliminare, la parte privata osserva che la rimettente
chiede alla Corte un intervento che rientra nella discrezionalita’
del legislatore, in quanto la invocata pronuncia additiva non sarebbe
a «rime obbligate», non risultando, peraltro, chiaro nell’ordinanza
di rimessione in che termini la suddetta pronuncia possa risolvere il
sollevato dubbio di costituzionalita’.
Nel merito, la parte privata rileva la differente posizione che
rivestono il padre e la madre ai fini del riconoscimento
dell’indennita’ di maternita’ nel caso di filiazione naturale. In
tali casi, infatti, il beneficio in esame e’ volto non solo a
compensare la potenziale diminuzione del reddito nel periodo
successivo al parto, nel quale il padre potrebbe sostituire la madre
nelle cure del figlio, ma anche la diminuzione di reddito nel periodo
della gravidanza, durante il quale la posizione del padre non puo’
essere considerata equivalente a quella della madre.
In simili ipotesi non assumerebbe, dunque, rilevanza la sola
necessita’ di assistere il figlio nel suo ingresso in famiglia, come
nel caso di affido preadottivo, ma anche la tutela della salute della
donna in occasione della gravidanza, del parto e dei momenti
immediatamente successivi ad esso.
La peculiare posizione che riveste la madre in occasione degli
indicati periodi giustificherebbe la disciplina impugnata dalla
rimettente che riconosce solo alle libere professioniste il beneficio
della indennita’ di maternita’.
1.2. – In prossimita’ dell’udienza, la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense ha depositato una memoria con la
quale ha insistito nella richiesta di una pronuncia di
inammissibilita’ o infondatezza della questione.
In particolare, la parte privata osserva che l’intervento
richiesto alla Corte non tiene conto dell’ampia autonomia normativa
riconosciuta alla Cassa dal legislatore nazionale, il quale, in
ottemperanza al principio dell’autofinanziamento che sorregge il
sistema di previdenza dei liberi professionisti, consente alle
relative Casse di previdenza di derogare alle stesse fonti
legislative al fine di garantire, nell’equilibrio dei rispettivi
bilanci, la regolare erogazione delle prestazioni previdenziali ai
loro iscritti.
Tali prestazioni potrebbero essere pregiudicate in caso di
accoglimento della questione sollevata, poiche’ la Cassa sarebbe
obbligata ad indennizzare, nella medesima misura prevista per le sole
professioniste, anche i padri e cio’ indipendentemente dalla scelta
dei genitori riguardo alle esigenze concrete del minore, ma per meri
interessi economici; problema quest’ultimo che potrebbe essere
risolto esclusivamente mediante un apposito intervento legislativo.
La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, infine,
nel ribadire, da un lato, che la situazione dei genitori naturali non
e’ assimilabile a quella dei genitori in caso di affidamento
preadottivo, fattispecie quest’ultima oggetto della sentenza n. 385
del 2005 e, dall’altro, che la posizione del padre naturale non e’
uguale a quella della madre naturale, osserva che l’accoglimento
della questione darebbe luogo ad una disparita’ di trattamento tra il
padre libero professionista e il padre che svolge un lavoro
dipendente. Infatti, mentre a quest’ultimo e’ riconosciuto il congedo
per paternita’ e la conseguente indennita’, solo nei casi
tassativamente previsti dall’art. 28 del d.lgs. n. 151 del 2001
(morte o grave infermita’ della madre; abbandono da parte della
stessa), l’attribuzione di analogo diritto al padre libero
professionista avverrebbe sulla base di una semplice richiesta.
2. – La Corte d’appello di Venezia, con ordinanza emessa il 28
maggio 2009, ha sollevato, in termini sostanzialmente analoghi a
quelli espressi dalla Corte d’appello di Firenze, questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001,
in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31
della Costituzione.
In punto di fatto, la Corte rimettente riferisce di essere
investita dell’appello proposto da M.B. avverso la sentenza del
Tribunale di Rovigo, con la quale era stato negato al ricorrente,
padre libero professionista, il diritto di beneficiare, in
alternativa alla madre, dell’indennita’ di maternita’ prevista dal
citato art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001.
La rimettente, pur affermando di non poter fare applicazione
della sentenza n. 385 del 2005, in quanto avente ad oggetto il caso
dell’affidamento preadottivo e, quindi, una fattispecie diversa da
quella oggetto del giudizio principale, ritiene, tuttavia, che alcuni
principi da essa contemplati – tutela dell’interesse del minore ed
equiparazione delle situazioni dei genitori – inducano a dubitare
della legittimita’ costituzionale della norma impugnata.
In proposito, la Corte d’appello di Venezia riporta la
giurisprudenza costituzionale che ha esteso al padre lavoratore, in
ragione del superiore interesse del bambino, i diritti riconosciuti
alla madre lavoratrice e che, con riguardo all’indennita’ di
maternita’, ne ha individuato il duplice obiettivo di assicurare, da
un lato, la tutela della salute della madre e del nascituro e,
dall’altro, un reddito idoneo al fine di evitare che alla maternita’
si colleghino stati di bisogno.
Alla luce di tali premesse l’art. 70 censurato, nel riconoscere
il diritto di percepire l’indennita’ di maternita’ alla sola madre
libera professionista, pone una limitazione alla tutela del superiore
interesse del bambino, in quanto non consente ai genitori di
effettuare quelle scelte familiari – tra le quali rientra quella di
stabilire chi tra il padre e la madre debba assentarsi dal lavoro in
occasione della nascita – tese a garantire la migliore cura e
assistenza della prole.
In particolare, la norma censurata violerebbe, secondo la
rimettente, «l’art. 29, comma 2, che afferma il principio di
uguaglianza tra coniugi anche in relazione ai compiti di cui all’art.
30, comma 1, 31, che pone la tutela della famiglia e del minore come
compito fondamentale dell’ordinamento, e 3 della Costituzione, che
afferma il principio di parita’ di trattamento, nella parte in cui
viene affermata l’ingiustificata disparita’ di trattamento tra madre
e padre liberi professionisti».
Sotto il profilo della rilevanza, la Corte d’appello si richiama
«alle conclusioni svolte in via principale dal ricorrente appellante»
e precisa che l’impossibilita’ di una interpretazione
costituzionalmente adeguatrice della norma impugnata, impone una
pronuncia della Corte costituzionale.
2.1. – Si e’ costituita in giudizio la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense chiedendo che la questione sia
dichiarata manifestamente inammissibile o, comunque, infondata.
Quanto all’inammissibilita’, la Cassa nazionale di previdenza e
assistenza forense rileva che la Corte d’appello rimettente chiede
una pronuncia additiva che esula dalle competenze della Corte in una
materia riservata alla discrezionalita’ del legislatore e, altresi’,
eccepisce il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della
questione di legittimita’ costituzionale, in quanto il rimettente,
limitandosi «a dar conto delle ragioni per le quali non e’ possibile
concedere l’indennita’ richiesta sulla base di una mera
"interpretazione adeguatrice"», non ha esplicitato in quale misura la
pronuncia della Corte «potrebbe indirizzarsi nella direzione
desiderata dal Collegio rimettente».
Nel merito, la parte privata osserva che le posizioni rispettive
del padre naturale professionista e della madre naturale
professionista non sono coincidenti, posto che l’indennita’ di
maternita’ e’ finalizzata a colmare la diminuzione del reddito sia
nel periodo successivo al parto sia nel corso della gravidanza.
Periodo quest’ultimo in cui, precisa ancora la parte interveniente,
«la posizione del padre non puo’ certamente essere considerata
equivalente a quella della madre».
2.2. – In prossimita’ dell’udienza, la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense ha depositato una memoria con la
quale, nell’insistere nella richiesta di una pronuncia di
inammissibilita’ o infondatezza della questione sollevata dalla Corte
d’appello di Venezia, ha proposto motivazioni sostanzialmente
identiche a quelle contenute nella memoria relativa al giudizio
iscritto al n. R.O. n. 240 del 2009.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Firenze e la Corte d’appello di
Venezia dubitano, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30,
primo comma, e 31 della Costituzione, della legittimita’
costituzionale dell’art. 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela
e sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma dell’art. 15
della legge 8 marzo 2000, n. 53).
Le Corti rimettenti denunciano l’art. 70 nella parte in cui esso,
nel fare esclusivo riferimento alle «libere professioniste», non
prevede il diritto del padre libero professionista di percepire, in
alternativa alla madre biologica, l’indennita’ di maternita’.
In particolare, ad avviso della Corte d’appello di Firenze la
mancata possibilita’ per il padre libero professionista di usufruire
dell’indennita’ di cui all’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, in
alternativa alla madre, porrebbe in essere una disparita’ di
trattamento fra i genitori, con conseguente limitazione della tutela
del preminente interesse del minore. La norma impugnata, infatti,
nell’impedire ai coniugi di valutare chi, assentandosi dal lavoro,
meglio soddisfi le esigenze di tutela della prole, sia pure sotto un
profilo economico, produrrebbe l’effetto di comprimere quei diritti
che gli artt. 29 e 31 della Costituzione riconoscono alla famiglia
anche al fine di agevolarne la formazione.
La rimettente osserva, poi, che la disciplina impugnata
violerebbe, altresi’, il principio di uguaglianza, in quanto la
indicata indennita’ e’ riconosciuta al padre, in ragione del suo
diritto di partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto
alla madre, sia nel caso di adozione o affidamento (sentenza n. 385
del 2005), sia in quello in cui egli svolga un’attivita’ di lavoro
dipendente (art. 28 d.lgs. n. 151 del 2001).
Quanto alla Corte d’appello di Venezia, essa ritiene che l’art.
70 del d.lgs. n. 151 del 2001, nel limitare il diritto di percepire
l’indennita’ di maternita’ alla sola madre, si porrebbe in contrasto
proprio con la sopra indicata possibilita’ di scelta e, dunque, con
l’art. 29, secondo comma, della Costituzione, che afferma il
principio di uguaglianza tra coniugi anche in relazione ai compiti di
cui all’art. 30, primo comma, della Costituzione.
Inoltre, sarebbe anche violato l’art. 31 della Costituzione, che
pone la tutela della famiglia e del minore come compito fondamentale
dell’ordinamento, nonche’ l’art. 3 della Costituzione, che afferma il
principio di parita’ di trattamento, in quanto la norma impugnata
porrebbe in essere una ingiustificata disparita’ di trattamento tra
madre e padre liberi professionisti.
2. – Le due ordinanze di rimessione propongono analoghe
questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con un’unica decisione.
2.1. – La questione sollevata dalla Corte d’appello di Venezia e’
inammissibile.
La rimettente, infatti, in punto di rilevanza si e’ limitata ad
affermare che «la questione di costituzionalita’ risulta pure
rilevante, con riferimento alle conclusioni svolte in via principale
dal ricorrente appellante».
Il mero richiamo alle argomentazioni prospettate dalle parti nel
processo principale rende l’ordinanza di rimessione priva del
requisito dell’autosufficienza, dovendo il giudice esplicitare le
ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalita’ della norma
censurata in modo tale da permettere alla Corte di verificare la
sussistenza del requisito della rilevanza, non potendosi supplire a
tale carenza per mezzo del riferimento sopra indicato.
2.2. – La questione sollevata dalla Corte d’appello di Firenze
non e’ fondata.
La rimettente basa il proprio dubbio di costituzionalita’ sul
presupposto che l’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, non consentendo
al padre libero professionista di usufruire, al posto della madre,
della indennita’ di maternita’, non tiene conto del principio secondo
cui, in ragione del preminente interesse del bambino, i genitori
devono godere di analoghe tutele in ambito lavorativo e, in
particolare, del fatto che il suddetto beneficio e’ riconosciuto al
padre adottivo, libero professionista, per effetto della sentenza n.
385 del 2005 di questa Corte, e al padre lavoratore subordinato, in
applicazione dell’art. 28 del d.lgs. n. 151 del 2001.
Tale questione non tiene conto che le situazioni poste a
raffronto sono tra loro differenti, pur essendo esse accomunate dalla
finalita’ di protezione del minore.
Occorre a tal fine rilevare che la tutela della maternita’ e
della paternita’ e’ frutto di un’evoluzione normativa – legge 8 marzo
2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternita’ e della
paternita’, per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento dei tempi delle citta’); legge 9 dicembre 1977, n. 903
(Parita’ di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro);
legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) –
che trova oggi la sua sintesi nel d.lgs. n. 151 del 2001.
Il legislatore con quest’ultimo testo normativo ha voluto
disciplinare i diversi istituti posti a fondamento della sopra
indicata tutela (congedi, riposi, permessi), valorizzando
l’uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori,
nonche’ tra genitorialita’ biologica e adottiva, al fine di
apprestare la migliore tutela all’interesse preminente del bambino.
Sul punto assumono rilevanza le norme che riconoscono in
condizione di parita’, al padre e alla madre, indipendentemente
dall’essere genitori naturali o adottivi, il congedo parentale (artt.
32 e 36 d.lgs. n. 151 del 2001) e i riposi giornalieri (artt. 39, 40
e 45 del d.lgs. n. 151 del 2001). A questa evoluzione normativa ha
contribuito in modo significativo la giurisprudenza costituzionale
(sentenze n. 371 del 2003, n. 197 del 2002, n. 405 del 2001).
Dall’esame della legislazione e della giurisprudenza richiamate
si evince che l’uguaglianza tra i genitori e’ riferita a istituti in
cui l’interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque,
preminente, e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e
della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare
identiche discipline. Diversamente, le norme poste direttamente a
protezione della filiazione biologica, oltre ad essere finalizzate
alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della
salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto,
risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione
di quest’ultima non e’ assimilabile a quella del padre.
Sul punto appaiono significativi gli artt. 16 e 28 del d.lgs. n.
151 del 2001.
L’art. 16, nel disciplinare il congedo di maternita’, stabilisce
che la donna lavoratrice dipendente non puo’ essere adibita al lavoro
nei due mesi antecedenti al parto e nei successivi tre. L’art. 28
prevede poi che «Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal
lavoro per tutta la durata del congedo di maternita’ o per la parte
residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di
grave infermita’ della madre ovvero di abbandono, nonche’ in caso di
affidamento esclusivo del bambino al padre».
Al suddetto periodo e’ ricollegato il godimento dell’indennita’
di maternita’ pari all’80 per cento della retribuzione (art. 22 del
d.lgs. n. 151 del 2001).
Dalla lettura dell’art. 28 risulta evidente che la posizione del
padre naturale dipendente non e’, come invece erroneamente sostenuto
dalla Corte rimettente, assimilabile a quella della madre, potendo il
primo godere del periodo di astensione dal lavoro e della relativa
indennita’ solo in casi eccezionali e cio’ proprio in ragione della
diversa posizione che il padre e la madre rivestono in relazione alla
filiazione biologica.
Nel caso di specie, alla tutela del nascituro si accompagna,
appunto, quella della salute della madre, alla quale e’ finalizzato
il riconoscimento del congedo obbligatorio e della collegata
indennita’.
In proposito va rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 1
del 1987, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 7
della legge n. 903 del 1977 nella parte in cui non prevedeva che il
diritto all’astensione dal lavoro, riconosciuto alla sola madre
lavoratrice, fosse attribuito anche al padre lavoratore ove
l’assistenza della madre al minore fosse divenuta impossibile per
decesso o grave infermita’.
Alla suddetta pronuncia di incostituzionalita’ la Corte e’ giunta
dopo aver affermato che il fine perseguito dal legislatore mediante
l’istituto dell’astensione obbligatoria e’ quello di tutelare la
salute della donna nel periodo immediatamente precedente e successivo
al parto, tenendo conto anche delle esigenze relazionali e affettive
del figlio in tale periodo. Pertanto, la Corte ha ritenuto
irragionevole non estendere al padre il diritto all’astensione
obbligatoria e, conseguentemente, all’indennita’ di maternita’ ad
essa collegata, nei casi in cui la tutela della madre non sia
possibile a seguito di morte o di grave impedimento della stessa, e
cio’ in quanto in simili ipotesi gli interessi che l’istituto
dell’astensione obbligatoria puo’ tutelare sono solo quelli del
minore ed e’ quindi rispetto a questi che esso deve rivolgersi in via
esclusiva.
Tali condizioni non ricorrono evidentemente nel caso di specie.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela
e sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma dell’articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), sollevata dalla Corte d’appello
di Venezia, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo
comma, e 31 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, sollevata dalla Corte
d’appello di Firenze, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della
Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Saulle

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 28 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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