Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-03-2011) 15-04-2011, n. 15471

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 14.10.2010, il Tribunale di Caltanissetta ha respinto l’istanza di riesame, proposta da L.R.M. avverso il provvedimento del G.I.P. di quel Tribunale in data 13.9.2010, con il quale era stata respinta la sua istanza, intesa ad ottenere la declaratoria d’inefficacia, ex art. 297 c.p.p., comma 3, della misura cautelare della custodia in carcere, a lui applicata il 22.4.2010 siccome indagato per il delitto di tentata estorsione aggravata dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, consumato in Gela nell’agosto 2008. 2. Tale declaratoria di inefficacia era stata chiesta dal L.R. in quanto, con precedente ordinanza del 23.4.2009, il G.I.P. di Caltanissetta aveva emesso nei suoi confronti ordinanza di custodia cautelare in carcere siccome imputato del reato di cui all’art. 416 bis c.p., consumato in Gela ed in altre parti del territorio nazionale da epoca imprecisata in permanenza.

3. Secondo il Tribunale non era applicabile alla specie la norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, in quanto fra i due episodi delittuosi, per i quali erano state emesse le due ordinanze cautelari di cui sopra, non ricorreva alcuna ipotesi di connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b) o c); in particolare i due episodi non potevano ritenersi legati con il vincolo della continuazione, in quanto, pur essendo astrattamente ipotizzabile la continuazione fra reato associativo e reati fine, occorreva pur sempre valutare volta per volta l’esistenza degli indici rilevatori dell’unicità del disegno criminoso; e nella specie non ricorreva un’ipotesi di connessione qualificata determinata dal vincolo della continuazione, in quanto non era emerso che l’episodio di tentata estorsione in danno di M.I., per il quale era intervenuta la seconda ordinanza di custodia cautelare del 22.4.2010, era stato oggetto di preventiva programmazione, da parte del L.R., fin dal momento del suo ingresso nell’associazione mafiosa facente capo agli "Emmanuello", fatto per il quale era stata emessa nei suoi confronti la prima ordinanza di custodia cautelare del 23.4.2009.

Neppure poteva ritenersi sussistente fra i due episodi criminosi sopra descritti il nesso teleologia) di cui all’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto non poteva ritenersi che, nel caso in esame, il reato estorsivo commesso in danno del M. fosse stato commesso dal L.R. per eseguire il reato associativo, tenuto conto della natura permanente propria di quest’ultimo reato e del fatto che esso, contestatogli con la prima ordinanza custodiale del 23.4.09, era preesistente all’ipotesi estorsiva, di cui alla seconda ordinanza custodiale del 22.4.2010; nè era ipotizzabile sul piano logico l’ipotesi inversa, che cioè fosse stato il reato di associazione mafiosa ad essere stato commesso al fine di eseguire il reato fine di estorsione.

Secondo il Tribunale poi i fatti posti a fondamento della seconda ordinanza custodiale emessa nei confronti del L.R. non erano desumibili dagli atti che la Procura aveva a sua disposizione prima dell’emissione del primo provvedimento custodiale; invero alla data del 23.4.09 era stato escusso solo il collaboratore di giustizia B.C., il quale non aveva all’epoca puntualizzato la posizione dell’imprenditore M.I.; e le dichiarazioni di quest’ultimo erano state acquisite solo in epoca successiva e cioè solo il 6.8.2009; il che escludeva che, nella specie, potesse parlarsi di violazione del divieto di contestatazioni a catena, di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3. 4. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Caltanissetta L.R.M. propone personalmente ricorso per cassazione, deducendo illogica.

Ha rilevato che sussisteva nella specie la lamentata violazione del divieto di contestazioni a catena sancito dall’art. 297 c.p.p., comma 3 in quanto già all’epoca dell’emissione nei suoi confronti della prima ordinanza custodiale del 23.4.2009 era emerso, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia B.C. la tentata estorsione da lui commessa in danno di M.I., episodio per la quale era stata emessa nei suoi confronti la seconda ordinanza custodiale del 22.4.2010, si che il P.M. era stato a conoscenza della tentata estorsione in danno del M. sia prima dell’emissione della prima ordinanza custodiale, sia prima della conclusione delle indagini preliminari, sia prima della richiesta di rinvio a giudizio.

Ricorrevano pertanto tutti i presupposti di legge per ritenere che i termini di custodia cautelare dovessero essere fatti iniziate dall’emissione della prima ordinanza custodiale e cioè dal 23.4.2009; sussisteva inoltre connessione qualificata fra i reati a lui contestati con le due ordinanze custodiali anzidette, in quanto fin dal suo ingresso nell’associazione di stampo mafioso di appartenenza il suo unico incarico era stato sempre ed unicamente quello di riscuotere le tangenti dagli imprenditori vittime delle estorsioni, alle quali l’associazione criminosa di appartenenza era preordinata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da L.R.M. è infondato.

2. Con esso il ricorrente ha sostenuto che l’ordinanza impugnata abbia violato la norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, alla stregua del quale se nei confronti di un medesimo soggetto vengono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, in relazione ai quali siano ravvisabili ipotesi di connessione di cui all’art. 12, comma 1, lett. b) e c) (concorso formale di reati e reati commessi per eseguire gli altri), i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e devono essere commisurati all’imputazione più grave.

Il ricorrente ha specificato che nei suoi confronti erano state emesse due successive ordinanze di custodia cautelare, di cui una prima emessa dal G.I.P. di Caltanissetta il 23.4.09 per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., consumato in Gela ed in altre parti del territorio nazionale da epoca imprecisata in permanenza; una seconda pure emessa dal G.I.P. di Caltanissetta il 22.4.2010 per il reato di tentata estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Per nessuno dei due processi anzidetti era stato celebrato il dibattimento e, secondo il ricorrente, dall’esame dei fatti relativi a detti due processi appariva evidente che essi si riferissero a fatti che sottintendevano un unico disegno criminoso ed un unico programma.

3. La giurisprudenza di questo Corte ha esaminato a più riprese l’effettiva portata della norma di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, raggiungendo risultati notevolmente consolidati soprattutto attraverso due pronunce delle sezioni unite, di cui una emessa nel 2005 ed un’altra del 2006 (più esattamente: Cass. SS.UU. 22.3.2005 n. 21957 e Cass. SS.UU. 19.12.2006 n. 14535).

Tali due pronunce hanno definito nei termini che seguono l’operatività del divieto di contestazioni a catena, di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3:

-la retrodatazione opera automaticamente in caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, pur diversamente circostanziato o qualificato;

-la retrodatazione per ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata opera solo per i fatti desumibili dagli atti anteriori al rinvio a giudizio nel procedimento nel quale è stata emessa la prima ordinanza cautelare;

-la retrodatazione delle ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata opera solo se, al momento dell’emissione della prima ordinanza, esistevano elementi idonei a giustificare la seconda ordinanza custodiale;

-la retrodatazione non opera mai in caso di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti non legati da connessione qualificata.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 408 del 3.11.2005, dopo avere richiamato la prima delle due citate sentenze delle sezioni unite della Cassazione (la sentenza n. 21957 del 22.3.05), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3 nella parte in cui non prevede la retrodatazione dell’ordinanza di custodia cautelare per fatti diversi non connessi, quando risulta che gli elementi per emettere la seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima ordinanza coercitiva.

A questo punto le SS.UU. di questa Corte sono intervenute con la seconda delle due sentenze sopra citate (la sentenza n. 14535 del 19.12.06), la quale, a seguito di un approfondito esame del dispositivo e della motivazione della citata sentenza della Corte Costituzionale, è pervenuta alla conclusione che la stessa non riguardasse anche fatti non legati da connessione qualificata, ma oggetto di procedimenti diversi.

Le SS.UU. di questa Corte pertanto, con la citata sentenza n. 14535 del 19.12.06, conformemente a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 408 del 3.11.05, hanno formulato il principio di diritto secondo cui non può mai ritenersi violato il divieto delle contestazioni a catena in relazione a fatti di reato non connessi oggetto di procedimenti diversi; e va rilevato che non contrasta con tale interpretazione il richiamo operato dalla Corte Costituzionale, con la citata sentenza 408/05, al comportamento, cui sono tenuti gli organi titolari del potere cautelare, nel senso che è ravvisabile la contestazione a catena vietata quando i diversi provvedimenti coercitivi vengono adottati in momenti differenti, pur potendo i medesimi essere adottati in un unico contesto temporale.

4. Applicando tali principi giurisprudenziali al caso in esame, è dato rilevare, conformemente a quanto sostenuto dal Tribunale di Caltanissetta, che nessun collegamento è ipotizzatale fra:

-la prima ordinanza custodiale, emessa dal G.I.P. di Caltanissetta il 23.4.2009 per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., consumato in Gela ed in altre parti del territorio nazionale da epoca imprecisata in permanenza;

-la seconda ordinanza custodiale, pure emessa dal G.I.P. di Caltanissetta il 22.4.2010 per il reato di tentata estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Invero gli indizi riferiti al reato, che ha dato luogo alla seconda ordinanza custodiale, risultano emersi a carico del ricorrente in epoca successiva rispetto al reato, cui era riferita la prima ordinanza custodiale.

Il ricorrente ha ritenuto sussistere il collegamento fra i due processi che hanno dato luogo alle due ordinanze custodiali, di cui sopra, in quanto fin dall’emissione della prima ordinanza custodiale sarebbero stati presenti indizi tali da far ritenere che esso ricorrente si fosse altresì reso responsabile del delitto di tentata estorsione aggravata a lui contestata con la seconda ordinanza custodiale.

Trattasi tuttavia di convinzione non condivisibile, atteso che, come esattamente rilevato dal provvedimento impugnato, un conto è l’avere ritenuto possibile l’esistenza di un’ipotesi estorsiva nei confronti dell’imprenditore M.I.; un altro conto è l’essere entrati in possesso di elementi sufficienti per accertarne i contorni concreti e le specifiche modalità con cui esso era stato commesso, si da potere formulare al riguardo un preciso capo d’imputazione; il che nella specie in esame è da ritenere avvenuto solo in epoca successiva, e cioè a seguito delle dichiarazioni rese dalla parte offesa in data 6.8.2009. 5. E’ inoltre noto che fra il reato associativo ed i singoli reati che costituiscono l’esplicazione del programma criminoso, non sussiste normalmente alcun tipo di identità di disegno criminoso, idoneo a ravvisare il vincolo della continuazione di cui all’art. 81 c.p., essendo all’uopo necessario provare che i singoli episodi criminosi, in ordine ai quali viene invocata la continuazione, siano stati programmati nelle loro linee essenziali fin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso.

Al contrario, nella specie in esame, come esattamente rilevato dal provvedimento impugnato, nessun elemento è emerso dal quale poter fondatamente ritenere che l’episodio di tentata estorsione aggravata, posto in essere dal ricorrente nei confronti dell’imprenditore M.I., sia stato previsto e programmato nelle sue linee essenziali dall’odierno ricorrente fin dall’inizio della sua adesione al clan mafioso degli Emmanuello (cfr. Cass. 1A, 21.1.09 n. 8451, rv.

243199).

6. Nessun collegamento è dunque ravvisabile fra i due procedimenti, di cui sopra, essendo ben dissimili fra di loro gli indizi relativi alla commissione di un singolo episodio estortivo e quelli, ben più complessi, idonei a far presumere la partecipazione dell’indagato ad un’associazione criminosa di stampo mafioso.

7. Il ricorso proposto da L.R.M. va pertanto respinto, con sua condanna al pagamento delle spese processuali.

8. La Cancelleria è richiesta di adottare gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti, di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

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