Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-03-2011) 15-04-2011, n. 15451

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

onio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13 maggio 2010 la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa con rito abbreviato dal G.U.P. di quella stessa città in data 29 settembre 2009, con la quale A.G. è stato condannato alla pena di anni 11 e mesi 4 di reclusione, siccome ritenuto penalmente responsabile dei seguenti tre reati, riuniti col vincolo della continuazione e commessi il (OMISSIS):

– omicidio volontario aggravato nei confronti del fratello A. D., da lui colpito con due proiettili esplosi con un fucile di cui era in possesso e che lo avevano attinto al capo, al tronco ed alla coscia destra, cagionandone il decesso, avvenuto il (OMISSIS), a seguito delle gravi lesioni cerebrali riportate, con conseguente emorragia interna parenchimale e terminale coma areflessico;

– illegale detenzione e porto in luogo pubblico di un fucile;

– illegale porto in luogo pubblico di un fucile da caccia calibro 12 marca Beretta.

Con le attenuanti generiche; con l’attenuante del vizio parziale di mente e con la riduzione di pena connessa al rito abbreviato prescelto.

2. Il grave fatto di sangue in esame si è verificato poco prima delle ore 23,40 del (OMISSIS), allorchè l’imputato ha esploso due colpi di fucile contro la finestra della camera da letto in cui riposava la vittima, ubicata al piano terra; detti colpi, dopo aver attraversato la persiane in alluminio ed i vetri della finestra, erano andati a colpire la vittima, in quel momento disteso sul proprio letto, posto proprio di fronte alla finestra di detta camera.

I carabinieri e gli agenti del Corpo forestale dello Stato solo la mattina successiva intorno alle ore 9,10 avevano proceduto al fermo dell’imputato, intercettato in località Passo della Troia della frazione Gambarie di Santo Stefano d’Aspromonte alla guida dell’autovettura Lada Niva di color bianco, in uso al medesimo; e fin da allora l’imputato aveva ammesso, sia pur confusamente, di aver sparato al fratello.

Le sommarie informazioni testimoniali rese dai prossimi congiunti e dai colleghi di lavoro dell’imputato e della vittima avevano escluso che fosse mai esistita una relazione sentimentale tra la vittima e la moglie dell’imputato, relazione che, dalle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso di un interrogatorio svoltosi l’11 agosto 2008, era stato il motivo principale che lo aveva indotto a compiere i delitti ascrittigli; avevano evidenziato i pessimi rapporti esistenti fra l’imputato e la vittima, nonostante il legame di sangue e nonostante fossero entrambi operai forestali per conto del consorzio di bonifica.

I successivi accertamenti investigativi avevano accertato che i due colpi di fucile non erano stati sparati con il fucile Beretta calibro 12, sequestrato al all’imputato, ma con un altro fucile, del quale l’imputato si era sbarazzato; e l’esito negativo dei prelievi stubs, effettuati sulla sua persona e sugli abiti da lui indossati al momento del fermo, provavano che egli si era lavato e cambiato d’abito subito dopo il fatto e prima del suo fermo.

Infine gli accertamenti balistici avevano consentito di accertare come l’imputato avesse sparato imbracciando l’arma appoggiando il calcio alla spalla, indirizzando i colpi con lieve andamento verso il basso e dunque con la precisa intenzione di colpire il fratello D., avendo ritenuto altamente probabile che quest’ultimo, in quel momento, stesse dormendo all’interno di quella camera da letto;

e dalle ampie ed univoche risultanze acquisite dai vari testi e dai familiari escussi era emerso che l’imputato conoscesse esattamente non solo l’ubicazione della stanza da letto del fratello, ma anche la posizione del letto, posta davanti alla finestra.

Era stata infine espletata una perizia psichiatrica sull’imputato onde accertare il suo stato mentale al momento del fatto; ed il perito incaricato era giunto alla conclusione che l’imputato era affetto da una psicosi cronica qualificabile come disturbo delirante certamente esistente al momento del fatto e tale da compromettere le sue capacità di intendere di volere, facendole scemare grandemente, senza tuttavia abolirle completamente.

3. Avverso detta sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ricorre per cassazione A.G. per il tramite del proprio difensore, che ha dedotto:

a)- violazione di legge in quanto la morte della vittima era da ritenere una conseguenza non voluta del suo comportamento, qualunque fosse stata la natura del medesimo.

La sentenza impugnata aveva ritenuto che esso ricorrente fosse a conoscenza dell’ubicazione della camera da letto del proprio fratello e della dislocazione all’interno della stessa dei mobili e quindi anche nel letto; il dato era tuttavia incerto e non provato, in quanto esso ricorrente da oltre 10 anni non frequentava più la casa del fratello, con il quale non era in buoni rapporti; pertanto era da ritenere escluso qualsiasi suo intento volitivo, anche a livello di dolo eventuale; invero un’ipotesi di dolo, anche nella forma eventuale, poteva essere ritenuta sussistente purchè fosse stata acquisita la certezza che l’imputato conoscesse lo stato attuale dell’abitazione del fratello nel momento della commissione del fatto.

La sentenza impugnata aveva poi fondato la sua penale responsabilità sulla direzione dei colpi di fucile esplosi nei confronti della vittima, direzione ritenuta come lievemente rivolta verso il basso, sulla base dell’esame dei fori di entrata dei colpi rinvenuti sulle persiane, sui vetri interni e sui muri della camera; tuttavia, per la distanza in cui lo sparatore era collocato rispetto al bersaglio, i colpi esplosi avevano provocato la cosiddetta rosata, sicchè non era possibile identificare in modo certo la direzione precisa di colpi, atteso che la rosata, nel momento in cui si apriva, investiva un’ampia zona; non era possibile quindi stabilire con certezza l’inclinazione della posizione di sparo, onde poterne dedurre l’esistenza della volontà omicida.

Quest’ultima era poi da escludersi anche perchè non era stato accertata la conoscenza che esso ricorrente poteva avere della circostanza che, a quell’ora, sicuramente il proprio fratello si trovasse al letto, ben avrebbe potuto il medesimo trovarsi in un altro ambiente intento a guardare la televisione; l’omicidio si era verificato il (OMISSIS), in una stagione cioè nella quale le temperature erano tiepide, sicchè non poteva ipotizzarsi con assoluta certezza che una persona andasse a letto alle 23:00.

La psicosi cronica qualificabile come disturbo delirante, del quale esso ricorrente era stato ritenuto affetto, sì da essergli stata riconosciuta la seminfermità mentale, avrebbe dovuto indurre i giudici a ritenere incerta l’affermazione da lui fatta secondo cui, subito dopo gli spari, avrebbe sentito gridare la propria moglie, da lui infondatamente ritenuta essere assieme al fratello al momento degli spari; e tale circostanza era stata ritenuta dai giudici di merito come prova certa da cui era stata desunta la sussistenza della sua volontà omicida. Esso ricorrente, nell’ammettere immediatamente in sede di interrogatorio la propria responsabilità, aveva fatto subito presente che non era stata sua intenzione uccidere il proprio fratello ma solo spaventarlo sicchè l’azione da lui compiuta avrebbe potuto essere inquadrata in ipotesi delittuosa di danneggiamento e di minacce; anche in considerazione delle sue menomate capacità psichiche, i giudici non avrebbero potuto ritenere provata la sua volontà omicidiaria e quindi ritenere sussistente l’elemento psicologico del dolo, neppure sotto il profilo del dolo eventuale.

Se esso ricorrente avesse avuto l’intenzione di attentare alla vita del fratello avrebbe potuto farlo in tempi e modalità tali da avere maggiori certezze sull’effetto della sua condotta e non sparando al buio attraverso una persiane chiuse; egli infatti non si era rappresentato l’evento come possibile risultato della sua condotta, sì da avere agito con un comportamento colposo con previsione e non con dolo eventuale;

b)- violazione di legge, per non avergli la sentenza impugnata concesso le attenuanti generiche nella loro massima estensione.

Le argomentazioni svolte al riguardo dalla Corte non avevano tenuto conto del sua particolare stato psichico, delle sue condizioni di vita (era sposato con 6 figli), del suo passato di onesto lavoratore, della confessione resa e degli altri elementi indicati dall’art. 133 c.p..
Motivi della decisione

1. E’infondato il motivo di ricorso proposto da A.G. sub a).

2. Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata erroneamente abbia ravvisato nel suo comportamento la sussistenza del dolo omicidiario, in quanto sarebbe stato sua intenzione solo spaventare il proprio fratello e non certo attentare alla sua vita.

E’ noto che, per aversi omicidio volontario, è necessario che la volontà dell’agente sia fermamente intesa a cagionare la morte della vittima; e tale atteggiamento mentale è qualificato come dolo intenzionale, nelle sue note graduazione del dolo diretto e del dolo alternativo (cfr. Cass. 1, 20.5.01 n. 25239; Cass. 1, 4.7.07 n. 35369).

L’accertamento dell’uno o dell’altro elemento psicologico, entrambi compatibili con il delitto di omicidio volontario, è rimesso ad una valutazione attenta e rigorosa degli elementi oggettivi, che i giudici di merito sono tenuti ad effettuare, procedendo ad un’accurata analisi delle concrete modalità della condotta dell’agente.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome rispondente ai canoni della logica e della non contraddizione, ha rilevato come tutti gli elementi convergevano nel far ritenere che la volontà dell’ A. era stata intesa a cagionare la morte di suo fratello D., secondo lo schema proprio del dolo diretto, avendo ritenuto che, nella specie in esame, il ricorrente si sia rappresentato l’evento della morte della vittima come conseguenza diretta della propria azione. Tanto i giudici di merito hanno desunto:

– dall’uso di uno strumento micidiale quale un fucile da caccia, col quale il ricorrente ha colpito la vittima a distanza ravvicinata, mirando con determinazione alla finestra dietro la quale egli era ben consapevole che si trovasse il letto della vittima e che quest’ultima, con ogni probabilità, in quel momento si trovasse sdraiato su di esso a riposare;

– dalla circostanza, accertata dai carabinieri e valorizzata dai giudici di merito, che i due colpi di fucile sono stati esplosi dal ricorrente con direzione dall’alto verso il basso, come dimostrato dall’accertato dislivello esistente fra i fori d’entrata dei proiettili nella persiana, rispetto ai fori d’entrata dei medesimi nei vetri dell’infisso interno; in particolare i colpi di fucile rinvenuti sulla finestra esterna erano ad un’altezza dal piano stradale di cm. 120, mentre i medesimi colpi avevano lasciato sul muro interno della stanza da letto, nella quale si trovava la vittima, dei segni ad un’altezza di cm. 79 circa; il che ha correttamente indotto i giudici di merito a ritenere che il ricorrente ha fatto fuoco con la precisa intenzione di colpire chi immaginava si trovasse in quel momento all’interno della camere disteso sul letto, e cioè l’odiato fratello D.;

– dalla circostanza, accertata dai giudici di merito attraverso le deposizioni rese dai testi escussi, che, sebbene il ricorrente non frequentasse da alcuni anni la casa del fratello, contro il quale covava gravi motivi di rancore, non ultimo il sospetto, rivelatosi peraltro infondato, che il medesimo avesse una relazione con la propria moglie, dalla quale si era da poco separata, la disposizione dei mobili nella stanza da letto della vittima non aveva subito alcuna variazione nel corso del tempo, nè alcuna variazione aveva subito la collocazione del letto, che il ricorrente ben conosceva ubicato essere nella stessa direzione della finestra, contro la quale ha esploso i due colpi di fucile;

– dalla circostanza che il ricorrente, che pure ha ammesso di avere sparato contro il fratello, subito dopo il delitto e prima di essere stato sottoposto a fermo, si è lavato e cambiato d’abito, onde eliminare le tracce della polvere da sparo e si è sbarazzato dell’arma del delitto, la quale non è stata infatti mai ritrovata, essendogli stato sequestrato un altro fucile calibro 12 marca Beretta, non usato nella commissione dell’omicidio ascrittogli; e tale suo agire è stato correttamente ritenuto incompatibile con un comportamento meramente colposo.

Numerosi e validi sono stati dunque gli elementi valorizzati dai giudici di merito per ritenere sussistente, nel comportamento del ricorrente, il dolo proprio dell’omicidio volontario ascrittogli.

3. E’ infondato anche il motivo di ricorso sub b).

Con esso il ricorrente lamenta la concessione in suo favore delle attenuanti generiche in misura inferiore rispetto a quella massima prevista dalla legge. I giudici di merito hanno al contrario adeguatamente pur se sinteticamente motivato in ordine alla concessione delle attenuanti generiche in misura inferiore rispetto al massimo consentito dalla legge, avendo da un lato tenuto conto del profilo materiale della condotta posta in essere, certamente di rilevante allarme sociale e, dall’altro, della pregressa incensuratezza del ricorrente, della sua avanzata età e della sua sostanziale ammissione dei fatti.

E’ infatti vero che il giudice, richiesto della concessione di attenuanti generiche, è tenuto a fornire al riguardo idonea motivazione sia quando ritenga di rigettare in toto la richiesta di concessione, sia quando ritenga di concederle, come nel caso in esame, in misura inferiore a quella massima consentita dalla legge;

tuttavia il giudice non è necessariamente tenuto a procedere ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli alla concessione delle medesime, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi ritenuti decisivi o rilevanti e rimanendo implicitamente disattesi tutti gli altri; il che nella specie ha effettuato la sentenza impugnata (cfr. Cass. 2, 11.10.04 n. 2285).

4. Consegue da quanto sopra esposto il rigetto del ricorso proposto da A.G., con sua condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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