T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 13-04-2011, n. 558

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna il provvedimento del 23. 7. 2010 con cui gli è stata negata la conversione del permesso di soggiorno ottenuto in minore età.

L’amministrazione aveva motivato la decisione impugnata sostenendo che la normativa introdotta con la l. 94/2009 precludeva che lo stesso ottenesse il permesso di soggiorno ex art. 32 d.lgs. 286/98, in quanto il ricorrente non aveva il requisito legalmente richiesto di aver seguito per due anni un corso d’integrazione sociale e civile.

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto la Questura di Brescia non avrebbe considerato tutti gli elementi favorevoli al ricorrente in punto di pregressa presenza sul territorio nazionale;

2. il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto non sarebbe stato considerato l’importante apporto fornito dalla giurisprudenza in punto di trattamento minori stranieri e non sarebbe stato applicato l’art. 5, co. 5, d.lgs. 286/98 che consente di rilasciare il permesso di soggiorno anche per motivi sopravvenuti, e nel caso di specie andava verificato che il soggetto è pienamente integrato nel territorio, anche per effetto dell’equiparazione legale tra figli e minori affidati;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto non sarebbe applicabile al caso in esame la normativa della l. 94/2009 perché la fattispecie si sarebbe verificata prima dell’entrata in vigore della novella in quanto il 16. 1. 2009 il Procuratore minorile di Bologna avanzava ricorso di volontaria giurisdizione, il 2. 4. 2009 il Tribunale disponeva l’affido al fratello; applicare a tale fatto la normativa successiva significherebbe ammettere una retroattività delle legge.

Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 14. 10. 2010, n. 731 il Tribunale respingeva l’istanza cautelare.

Con ordinanza del 15. 12. 2010, n. 5699 il Consiglio di Stato accoglieva l’appello cautelare.

Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 23. 3. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il Tribunale ritiene che il ricorso sia infondato e prova a spiegare le ragioni del proprio convincimento.

Si risponderà a quello che sopra è stato rubricato come terzo motivo di ricorso (nel ricorso c’è una numerazione diversa perché manca il motivo numero 1), in quanto i primi due motivi di ricorso sono palesemente inconferenti, posto che il provvedimento richiesto è stato negato soltanto perché il soggetto è privo del requisito legale dell’aver seguito per due anni un corso d’integrazione sociale e civile, e quindi tutto ciò che deve essere stabilito per decidere questo ricorso è se fosse necessario o meno detto corso.

Si tratta infatti di una vicenda in cui è decisiva la soluzione che si decide di dare al problema della successione di norme nel tempo, in quanto – com’è noto – la necessità dei due anni di corso d’integrazione sociale e civile è stata introdotta con la l. 94/2009 per arginare il fenomeno degli extracomunitari (essenzialmente dell’Albania e del Kossovo), che entrano in Italia quando mancano poche settimane o mesi al raggiungimento della maggiore età, ricevono un titolo provvisorio di soggiorno in quanto minorenni e quindi non espellibili, si fanno affidare a qualche persona o ente (la giurisprudenza ha ritenuto vada bene qualunque tipo di affido), e poi – appena scattati i 18 anni – chiedono un permesso in deroga ex art. 32 t.u., così eludendo in buona sostanza il sistema dei flussi.

La norma è cambiata con l. 94/2009 con cui, per evitare questo fenomeno di elusione dei flussi, è stato introdotto il requisito della previa frequentazione di un progetto di integrazione civile e sociale per almeno anni due.

Nel caso di specie, si tratta di una persona che è entrata in Italia il 12. 10. 2008 (prima dell’entrata in vigore della novella), che ha chiesto il permesso di soggiorno ex art. 32 t.u. il 10. 11. 2009 (dopo l’entrata in vigore della novella), che gli è stato negato con provvedimento del 23. 7. 2010.

A questo procedimento amministrativo l’amministrazione ha applicato le regole introdotte con la novella della l. 94/2009, ed il Tribunale ritiene che abbia fatto bene.

Ogni procedimento amministrativo, infatti, deve essere retto dalle norme vigenti nel momento in cui esso si svolge; il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo di soggiorno ex art. 32 t.u. è stato aperto con una domanda dell’interessato presentata il 10. 11. 2009, e si è concluso con un provvedimento del 23. 7. 2010; esso cioè si è svolto interamente sotto il vigore delle nuove norme, che ad esso pertanto andavano applicate.

Se – in effetti – si può discutere della questione della successione di leggi nel tempo se il procedimento fosse iniziato prima della entrata in vigore della l. 94/2009 e si fosse concluso dopo, nel caso in esame neanche di successione di leggi nel tempo si può parlare perché il procedimento amministrativo che ha originato il provvedimento impugnato si è svolto interamente dopo l’entrata in vigore della nuova norma.

Nel terzo motivo di ricorso si sostiene una prospettazione differente, perché si dice che la fattispecie si sarebbe in realtà verificata prima dell’entrata in vigore della novella in quanto il 16. 1. 2009 il Procuratore minorile di Bologna aveva avanzato ricorso di volontaria giurisdizione finalizzato all’affido, ed il 2. 4. 2009 il Tribunale aveva disposto l’affido al fratello del ricorrente.

Ma si tratta di provvedimenti (peraltro, giudiziari) che sono estranei al procedimento amministrativo per il rilascio del titolo di soggiorno ex art. 32 t.u. che è stato negato al ricorrente, e che avevano la diversa finalità di dare ad un minorenne, che per legge non può vagare da solo per il territorio nazionale, un soggetto incaricato di provvedere a lui fino a quando raggiungerà la maggiore età. Il procedimento amministrativo per il rilascio del permesso di soggiorno che è stato negato si è aperto solo con la istanza presentata dall’interessato il 10. 11. 2009.

D’altronde, tutte le soluzioni diverse dal collegare la decorrenza della nuova norma alla data in cui viene aperto il procedimento amministrativo, concluso con il provvedimento impugnato, presentano margini di opinabilità, com’è dimostrato dalla circostanza che la difesa del ricorrente propone due prospettazioni alternative (collegarlo alla data in cui il P.M. ha chiesto l’affido, oppure collegarlo alla data in cui il Tribunale ha disposto l’affido) e che in altre ricostruzioni vengono proposte soluzioni ancora diverse (come, ad esempio, collegare la decorrenza della novella alla data in cui il soggetto è entrato nel territorio nazionale).

La difesa del ricorrente sostiene anche che la decisione della Questura comporta la retroattività di una norma più sfavorevole. Ma, in realtà, proprio perché il procedimento si è svolto interamente sotto il vigore della nuova norma, non può parlarsi di alcuna retroattività di legge più sfavorevole, ma – al contrario – è la prospettazione della difesa del ricorrente che pretenderebbe di rendere ultrattiva una norma più favorevole, che non esisteva più nel momento in cui il suo assistito ha presentato la domanda per ottenere il titolo di soggiorno.

La diversa tesi, non esposta dalla difesa del ricorrente ma sostenuta in alcuni precedenti giurisprudenziali di cui è da verificare allo stato se si consolideranno, secondo cui l’entrata in vigore della novella viene in via interpretativa differita di due anni, perché soltanto dopo due anni i minorenni possono aver avuto il tempo di seguire il corso di integrazione civile e sociale previsto dalla norma, è a stretto diritto priva di base normativa perché finisce con il creare una norma transitoria che non è stata prevista dalla legge.

Si può sostenere che la mancanza di una norma transitoria sia incostituzionale, perché non dà il tempo di seguire il corso a coloro che erano entrati in Italia prima della novella e che facevano affidamento sulla conservazione della normativa in essere, ma allora occorre deferire la questione alla Corte Costituzionale per irragionevolezza della previsione della l. 94/09.

Irragionevolezza della previsione che, peraltro, il Tribunale, nei limiti della delibazione che ad esso compete quale giudice a quo, non ritiene sussistente, posto che nessun soggetto può vedersi garantire l’affidamento a che sia conservata la normativa in essere fino a quando maturerà i presupposti per poter presentare una domanda. In altri termini, nessun diritto quesito può essere configurato prima ancora che sorgano i presupposti per chiedere il riconoscimento di tale diritto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione resistente delle spese di lite, che determina in euro 500, oltre i.v.a. e c.p.a. (se dovute).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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