T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 13-04-2011, n. 556 Regolamenti comunali e provinciali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gli odierni ricorrenti impugnano gli artt. 14 e 9 del regolamento acustico comunale, nel testo modificato nel marzo del 2010, nonché – quale atto ad essi consequenziale – la concessione di suolo pubblico rilasciata il 7. 7. 2010 al bar della controinteressata J. srl per tenere i tavolini su una piazzetta su cui affaccia l’appartamento dei ricorrenti.

Il bar gestito dalla controinteressata aveva aperto in loco nell’ottobre 2007. A partire da allora, con una serie di provvedimenti di durata temporanea, il Comune di Treviglio aveva in alcuni periodi dell’anno autorizzato il bar – oltre che ad esercitare l’attività nei propri locali -all’occupazione di una parte della piazzetta con tavolini ed altri arredi.

L’aumento della rumorosità dell’esercizio commerciale cagionato dall’utilizzo anche dello spazio esterno sottostante le finestre dei ricorrenti aveva aperto le ostilità con essi, ed aveva portato in data 23. 3. 2009 ad accertare mediante rilievi strumentali effettuati dall’ARPA che l’attività del bar J. superava le soglie limite di rumorosità.

Nel marzo del 2010 era stato, allora, modificato il regolamento acustico comunale in modo oggettivamente favorevole agli interessi dell’azienda che gestisce il bar, prevedendo la possibilità per l’amministrazione comunale di rilasciare anche autorizzazione in deroga ai limiti massimi di rumorosità purchè per attività soltanto stagionali ed, in forza di tale modifica, era stata rilasciata la nuova concessione all’occupazione del suolo pubblico (per il periodo 7. 7. 2010 – 30. 10. 2010, e per l’orario dalle 10.00 alle 18.30) contro cui i ricorrenti insorgono con il presente ricorso.

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. la novella al regolamento acustico del marzo 2010, che ha consentito il rilascio in deroga ai limiti di rumorosità per le concessioni per occupazioni di suolo pubblico "temporanee stagionali connesse all’attività di pubblici esercizi", sarebbe illegittima in quanto l’art. 6 l. 447/95 consente ai Comuni di autorizzare la deroga ai valori limite soltanto per attività diverse da quelle oggetto del bar J.;

2. la novella al regolamento acustico del marzo 2010, che ha consentito il rilascio in deroga ai limiti di rumorosità per le concessioni per occupazioni di suolo pubblico "temporanee stagionali connesse all’attività di pubblici esercizi", sarebbe illegittima anche in quanto avrebbe violato i criteri previsti dalla deliberazione di Giunta Lombardia 12 luglio 2002 che non consente autorizzazioni in deroga per le zone I e II;

3. (motivo rubricato sub B1B in ricorso) la consequenziale concessione di suolo pubblico del luglio 2010 sarebbe illegittima per illegittimità derivata perché solo modificando il regolamento acustico era stato possibile rilasciare la concessione di suolo pubblico, posto che negli anni precedenti ogni volta che era stata rilasciata la occupazione del suolo pubblico erano stati violati i limiti di rumorosità;

4. (motivo rubricato sub B2B in ricorso) la concessione di suolo pubblico del luglio 2010 sarebbe illegittima per travisamento del fatto perché non sarebbe possibile applicare la deroga per attività stagionali, e non meramente temporanee;

5. (motivo rubricato sub B3B in ricorso) la concessione di suolo pubblico del luglio 2010 sarebbe illegittima per difetto di istruttoria perché sarebbe fondata sulla constatazione che fino alle 18.30 la rumorosità del locale sarebbe comunque nella norma, ma si tratterebbe di una constatazione nata da un accertamento tecnico di parte;

6. (motivo rubricato sub B4B in ricorso) la concessione di suolo pubblico del luglio 2010 sarebbe illegittima per violazione dell’art. 3 del regolamento comunale in materia di occupazioni di solo pubblico perché non sarebbe indicato esattamente il tratto di strada da occupare e la planimetria dell’area interessata, fatto che sarebbe ancor più grave perché sulla istanza del bar sarebbe stata annotata a penna dall’ufficio la frase "manca tutta la documentazione" e ciò nonostante sarebbe stato poi rilasciato il provvedimento finale.

Nel ricorso era formulata altresì istanza di risarcimento del danno ingiusto "derivante dal provvedimento annullato" (pag. 28 del ricorso) spiegata nei confronti del solo Comune di Treviglio (a quanto è dato di capire, tra le parti private pende altra causa civile in cui pure è rifusa domanda di risarcimento del danno).

Nel giro di poche settimane seguiva, poi, anche il deposito di motivi aggiunti dove le stesse domande già esplicate in ricorso venivano formulate anche sulla base dell’ulteriore documento costituito da un parere dell’ARPA, conosciuto successivamente dal ricorrente, che era stato chiesto autonomamente dal Comune dopo il rilascio del provvedimento impugnato, e che in realtà confermava per l’ennesima volta la eccessiva rumorosità dell’attività del bar.

Si costituivano in giudizio il Comune di Treviglio e la controinteressata J. srl, che deducevano l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 1. 10. 2010, n. 692 il Tribunale accoglieva l’istanza.

Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 23. 3. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I. Il ricorso è in parte fondato, in parte improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.

II. Nella parte in cui è impugnata la novella al regolamento acustico introdotta nel marzo 2010 il ricorso è fondato.

La novella, nella parte che riguarda questo giudizio, consta di 3 norme:

– il nuovo art. 14 del regolamento acustico comunale che ha stabilito che "le concessioni per occupazioni di suolo pubblico temporanee stagionali, connesse alle attività di pubblici esercizi, sono rilasciate in deroga ai limiti massimi di rumore ammissibili, determinandone le prescrizioni, secondo quanto previsto nella tabella 4";

– il nuovo art. 9 che esclude il parere dell’ARPA per le autorizzazioni legate a concessione di suolo pubblico di carattere stagionale;

– la nuova tabella allegata n. 4 che introduce tra le attività a carattere temporaneo per cui è prevista la deroga "le consumazioni all’aperto presso pubblici esercizi".

Per effetto del complesso di queste tre disposizioni il Comune di Treviglio ha potuto rilasciare alla J. la concessione ad utilizzare il suolo pubblico per le consumazioni all’aperto dei propri clienti (tabella 4) per la stagione estiva del 2010 (art. 14) senza il parere dell’ARPA (art. 9).

Parere dell’ARPA che, d’altronde, era sempre stato negativo ogni qual volta il Comune lo aveva richiesto (parere 7 luglio 2008, parere 23 marzo 2009) prima di autorizzare la occupazione stagionale della piazza con i tavolini del bar J..

Queste norme di deroga introdotte con la novella al regolamento acustico del marzo 2010 sono illegittime e devono essere annullate per le ragioni esposte dalla difesa dei ricorrenti nel primo motivo di ricorso, secondo cui l’art. 6 l. 447/95 consente ai Comuni di autorizzare la deroga ai valori limite soltanto per attività molto diverse da quelle oggetto del bar J..

In effetti, la norma attributiva di potere costituita dall’art. 6, co. 1, lett. h), l. 447/95, consente di rilasciare "l’autorizzazione, anche in deroga ai valori limite di cui all’articolo 2, comma 3, per lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e per spettacoli a carattere temporaneo ovvero mobile, nel rispetto delle prescrizioni indicate dal Comune stesso".

Si tratta di previsione che consente in modo evidente la deroga ai valori limite soltanto per attività sporadiche ed occasionali, quali una festa paesana, uno spettacolo in piazza, una specifica manifestazione destinata a tenersi in una certa data ed in una certa ora, ma non permette in alcun modo di estendere la deroga anche ad attività di carattere continuativo, quale quella di un esercizio commerciale, la cui idoneità ad incidere sul bene giuridicosalute tutelato dalle norme in tema di inquinamento acustico è talmente superiore a quella della attività sporadica ed occasionale da non poter in alcun modo esservi assimilata.

Le disposizioni novellate del regolamento acustico comunale sono state, pertanto, emesse in carenza di potere, perché non coperte dalla previsione dell’art. 6 l. 447/95 non potendo rientrare nella previsione normativa che disciplina le attività temporanee e le manifestazioni in luogo pubblico e gli spettacoli a carattere temporaneo.

L’impugnazione della novella al regolamento acustico è tempestiva, in quanto la previsione censurata non era di per sé immediatamente lesiva degli interessi dei ricorrenti, ed ha acquistato carattere lesivo soltanto nel momento in cui il Comune, sulla base di tale modifica al regolamento acustico, ha rilasciato al gestore del bar la concessione ad utilizzare il suolo pubblico prospiciente l’abitazione dei ricorrenti.

Ne consegue che il primo motivo di ricorso deve essere accolto e le norme introdotte nel regolamento acustico comunale con la novella del marzo 2010 oggetto di questo ricorso devono essere annullate.

III. Il ricorso è improcedibile nella parte in cui riguarda il consequenziale provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico.

Il provvedimento, infatti, è comunque scaduto il 30. 10. 2010; le parti hanno convenuto che la sua efficacia è cessata nelle more della fissazione del merito. Sul punto, quindi, deve essere dichiarata la carenza d’interesse a coltivare ulteriormente il ricorso.

Ai fini della domanda risarcitoria che verrà affrontata al punto che segue, va precisato peraltro che in ogni caso il provvedimento era affetto da illegittimità derivata (dall’illegittimità del regolamento acustico appositamente modificato per poterlo emettere) come dedotto nel terzo motivo di ricorso.

IV. La domanda risarcitoria – svolta nei confronti del solo Comune di Treviglio (cfr. pagg. 43 e 44 della memoria conclusionale) – deve essere accolta nei limiti di cui alla motivazione che segue.

IV. 1. Ogni illecito civile deve essere costituito da un elemento oggettivo (che è a sua volta composito, perché fatto di una condotta e di un danno che ne è conseguenza) e da un elemento soggettivo.

Nel caso di specie:

– quanto alla condotta, essa è costituita dal rilascio del provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico che è stato impugnato e dichiarato illegittimo in questo giudizio;

– quanto al danno conseguenza della condotta, esso è costituito dalla lesione alla integrità psicofisica ed alla conseguente vita di relazione dei ricorrenti B. e B. (richiesto a pag. 20 della memoria conclusionale), che – persino nelle letture più restrittive (v. Cass. civ., sez. III, 18. 1. 2006, n. 828: "il danno alla salute, per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell’integrità psicofisica, di cui quel peggioramento è solo la conseguenza, non, essendo risarcibile la minore godibilità della vita, ma solo la lesione della salute…") – una volta provata, è fonte di danni risarcibili.

La prova della esistenza di una lesione alla integrità psicofisica dei coniugi B.- B. viene dai numerosi certificati medici depositati in atti (cfr. certificato dott. Odone del 25. 6. 2008: "ho visitato in data odierna la sig.ra B. inviatami dal medico di medicina generale per una valutazione specialistica inerente uno stato di disagio psicofisico insorto negli ultimi mesi messo in relazione con la recente apertura di un bar che utilizza gli spazi esterni adiacenti all’abitazione… L’umore appare deflesso, con marcata diminuzione di interesse per quasi tutte le attività quotidiane, difficoltà di sonno, facile affaticabilità, difficoltà di concentrazione. E" presente una notevole componente ansiosa… come testimonia la significativa perdita di peso di 9 kg. in seguito a disturbi gastrici neurovegetativi e inappetenza. Sono presenti a livello ideativo pensieri di profonda sfiducia e sentimenti di mortificazione, legati a vissuti di impotenza e prevaricazione, in quanto la signora non si sente rispettata nei fondamentali diritti di riservatezza, tranquillità, libertà di gestire la quotidianità domestica… La signora è attualmente in terapia farmacologia con antidepressivi ed ansiolitici"; certificato dott. Ausari del 13. 9. 2010: "la signora B. risulta affetta da sindrome ansiosodepressiva ed è stata in cura con i seguenti farmaci fino a novembre 2009 Eutimil, Lantanon, Alprazolam, Halcion. Dal novembre 2009 in terapia con Lendormin, trittico Eutimil, Xeristar60, EN"; certificato dott. Ausari del 13. 9. 2010: "il sig. B. risulta affetto da sindrome depressiva e dal 2008 è in cura con i seguenti farmaci: Eutimil, Pasaden, Lendormin, Stilnox"), dalle prescrizioni mediche per l’acquisto dei farmaci appena citati da cui risulta che i ricorrenti stanno effettivamente utilizzando tutti questi ansiolitici ed antidepressivi, il che comprova ulteriormente che la loro integrità psicofisica è stata effettivamente lesa, perché persone che stanno bene in salute non assumono psicofarmaci; le prescrizioni sono pure depositate in atti e coprono pressoché tutto il periodo di apertura del bar (sono allegati ai docc. 31 e 32), tanto che per quello che interessa questo giudizio si può affermare la derivazione del danno dalla condotta citata al punto che precede;

– quanto all’elemento soggettivo dell’illecito, esso consiste nella consapevolezza da parte del Comune che rilasciare la concessione di occupazione di suolo pubblico del 7. 7. 2010 pur se in deroga ai limiti massimi di inquinamento acustico in zona II (zona prevalentemente residenziale) avrebbe comportato la lesione dell’integrità psicofisica dei ricorrenti.

Il Comune era consapevole del danno perché il rilascio del provvedimento del 7. 7. 2010 era stato preceduto da quasi tre anni di corrispondenza tra il Comune, l’ARPA ed i ricorrenti in occasione del rilascio dei vari provvedimenti stagionali di occupazione della piazzetta con i tavolini del bar J., corrispondenza a seguito della quale il Comune di Treviglio aveva avuto precisa cognizione della circostanza che la rumorosità data dall’utilizzo della piazzetta da parte del bar superava i limiti massimi di emissione acustica da un minimo di 9db ad un massimo di 19 db (il limite massimo di differenziale è di 5db, quindi si tratta di superamenti abbondanti della soglia massima), corrispondenza a seguito della quale il Comune di Treviglio aveva potuto riscontrare il parere sempre contrario dell’ARPA (espressi il 7. 7. 2008 ed il 23. 3. 2009) al rilascio di ulteriori provvedimenti di occupazione del suolo pubblico.

La consapevolezza da parte del Comune che dall’ulteriore rilascio della concessione per l’occupazione di suolo pubblico anche per la stagione estiva 2010 sarebbe derivata la lesione all’integrità psicofisica dei ricorrenti è, quindi, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, classificabile come dolo diretto (il dolo si distingue in dolo intenzionale, diretto, ed eventuale; è intenzionale quando l’agente si propone di ottenere il danno; è diretto quando lo accetta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta; è eventuale quando si limita ad accettarne il rischio della possibile verificazione).

In realtà, il dolo diretto è persino categoria che sta stretta all’atteggiamento soggettivo tenuto dal Comune di Treviglio, posto che lo stesso, dopo aver ricevuto per la stagione 2009 il parere contrario dell’ARPA ed aver avuto contezza del superamento dei limiti massimi di rumorosità, ha nel marzo 2010 modificato ad hoc il regolamento acustico comunale stabilendo la possibilità di rilasciare il provvedimento anche in deroga ai limiti massimi di rumorosità ed anche senza il parere dell’ARPA.

Il dolo diretto è in ogni caso atteggiamento soggettivo più che idoneo a fondare una responsabilità civile per danni, essendo sufficiente in realtà anche la mera colpa.

IV. 2. Ciò posto, quanto alle voci di danno:

– i ricorrenti chiedono complessivamente 3.978,42 euro per il sig. B. e 4.275,06 per la sig.ra B., cui arrivano sommando per ciascuno di essi tre voci: il danno biologico temporaneo, il danno biologico permanente, il danno patrimoniale,

– il Tribunale ritiene di poter riconoscere il danno biologico temporaneo, di non poter riconoscere il danno biologico permanente, e di essere limitato dai principi sulla corrispondenza tra chiesto pronunciato a non riconoscere neanche il danno patrimoniale,

– il danno biologico permanente non viene riconosciuto perché il periodo oggetto del presente giudizio (che va dal 7. 7. 2010 al 30. 9. 2010, data in cui il T.a.r. ha sospeso gli effetti del provvedimento impugnato facendo cessare la causa di danno) è troppo breve per poter cagionare un danno permanente; il consulente di parte ha stimato un danno permanente nell’ordine del 79% per i ricorrenti, ma al di là del fatto che occorrerebbe C.T.U. per provarlo in modo adeguato, si tratta comunque di un danno che è conseguenza di complessivi tre anni di stress patiti per il disagio alla propria vita che è seguito all’apertura del bar; se infatti può conseguire una diminuzione permanente della propria integrità psicofisica (a prescindere dalla sua esatta quantificazione in punti percentuali) dopo tre anni di lotte e sofferenze per vedersi garantire il semplice bisogno primario di starsene in pace quando si torna a casa propria, non sarebbe conseguita alcuna diminuzione permanente della integrità psicofisica se la molestia fosse stata limitata nel tempo a soli 2 mesi e 24 giorni. Se non ci fosse stato tutto il pregresso, e l’unica fonte di danno fosse stato soltanto il provvedimento impugnato, i ricorrenti avrebbero avuto un sensibile peggioramento della integrità psicofisica per i 2 mesi e 20 gg. in oggetto (con conseguente risarcibilità del danno biologico temporaneo per quegli 85 gg.), ma non ne avrebbero riportato alcun danno permanente.

La scelta della difesa (avvenuta prima dell’entrata in vigore del c.p.a.) di contestare in questo giudizio al Comune non tutti i tre anni di battaglie, ma solo il periodo del danno strettamente consequenziale al provvedimento impugnato, limita la cognizione del Tribunale a quel solo periodo che di per sé non avrebbe potuto portare a danni permanenti alla integrità psicofisica dei ricorrenti;

– il danno patrimoniale non viene riconosciuto per ragioni analoghe; infatti, esso è stato chiesto con riferimento alle sedute di terapia che saranno necessarie per recuperare l’equilibrio psicofisico, ma una così incisiva misura terapeutica è necessaria perché segue a tre anni di battaglie con i gestori del bar e con il Comune, ma per regola di esperienza non sarebbe stato necessario andare in terapia se il disturbo dato dalla rumorosità si fosse arrestato ad un periodo di tempo molto delimitato.

Sarebbe stato invece possibile risarcire a titolo di danno patrimoniale le spese per le medicine assunte nel periodo oggetto di esame, ma tale voce di danno (forse per la sua non particolare rilevanza) non è stata chiesta, e pertanto su di essa non si può provvedere;

– il danno biologico temporaneo per il periodo dal 7. 7. 2010 al 30. 9. 2010 viene invece riconosciuto. Il danno biologico temporaneo (inabilità temporanea o IT), infatti, è definito come la percentuale di tempo in cui per la lesione alla integrità psicofisica un individuo non ha potuto vivere le proprie quotidiani personali attività nello stesso modo in cui le avrebbe vissute se non avesse subito la lesione. Ed esso come si spiegava prima è stato leso negli 85 gg. di efficacia del provvedimento impugnato e dichiarato illegittimo.

IV. 3. Sulla somma da riconoscere esattamente a titolo di danno biologico temporaneo, il Tribunale precisa anzitutto che, anche se si disponesse C.T.U. medicolegale e si applicassero in modo rigoroso le tabelle sul danno biologico usate da alcuni Tribunali civili, ciò non toglie che si tratterebbe comunque di una valutazione equitativa (del lucro cessante ex art. art. 2056, co. 2, c.c.), perché le tabelle con l’individuazione del danno risarcibile in base ai punti percentuali di inabilità non sono altro che delle tracce per guidare il potere equitativo del giudice (Cass. civ., sez. L, sentenza n. 11039 del 12/05/2006: Unica possibile forma di liquidazione – per ogni danno che sia privo, come il danno biologico ed il danno morale, delle caratteristiche della patrimonialità – è quella equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura stessa di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico, con la conseguenza che non si può fare carico al giudice di non aver indicato le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare – costituente, in linea generale, la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa – giacché intanto una precisa quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può mai essere provato nel suo preciso ammontare, fermo restando, tuttavia, il dovere del giudice di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto a quel determinato risultato).

Ne consegue che la scelta del giudice nel liquidare il danno biologico potrà essere soltanto tra il criterio equitativo puro ed il criterio equitativo guidato dalle standardizzazioni previste dalle tabelle; tabelle che però, a loro volta, non devono essere seguite in modo rigido, perché per effettuare una piena valutazione equitativa occorrerà comunque ed in ogni caso considerare tutti gli elementi del caso di specie (Cass. civ., sez. 3, sentenza n. 7740 del 29/03/2007: In tema di liquidazione del danno biologico e del danno morale, entrambe voci di danno non patrimoniale, l’applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice deve consentirne – sia in caso di adozione del criterio equitativo puro che di applicazione di criteri predeterminati e standardizzati (in tal caso previa la definizione di una regola ponderale commisurata al caso specifico: es., in base al valore medio del punto di invalidità calcolato sulla media dei precedenti giudiziari) -, l’integrale risarcimento; a tal fine tali criteri devono essere pertanto idonei a garantire anche la c.d. personalizzazione del danno).

Nel caso in esame, il Tribunale preferisce utilizzare come punto di partenza le tabelle del Tribunale di Milano, ma poi nella individuazione dei punti percentuali di inabilità seguire un criterio di tipo equitativo puro.

Il punto di partenza sono allora i 110 euro/die individuati dai ricorrenti come media tra i valori massimo e minimo previste dalla tabella del tribunale di Milano sul danno biologico temporaneo.

L’inabilità temporanea può, però, essere totale o parziale (è ad esempio del 100% in caso di ricovero ospedaliero o gesso agli arti; del 75% in caso di periodo di deambulazione con due stampelle; del 25% in caso di periodo di terapie fisiche; del 10% in caso di periodo di guarigione di una semplice ferita cutanea).

Per quanto riguarda la scelta dei punti percentuali di inabilità temporanea, il Tribunale non ritiene di avvalersi di C.T.U. e stima – con il criterio equitativo puro – nel 10% la percentuale di tempo in cui per la lesione alla integrità psicofisica i ricorrenti non hanno potuto vivere le proprie quotidiani personali attività nello stesso modo in cui le avrebbero vissute se non avessero subito la lesione (i ricorrenti avevano chiesto il 15% sulla base della loro consulenza di parte).

Il 10% di 110 euro sono 11 euro/die per ciascuno dei ricorrenti, che, moltiplicati per gli 85 gg. di efficacia del provvedimento, sono pari a 935 euro per ciascuno di essi.

La somma deve essere, però, come si diceva prima, personalizzata alle risultanze del caso di specie, dove deve essere recuperata la circostanza che il danno è in realtà superiore a quello che sarebbe stato subito se il provvedimento oggetto di giudizio non si inserisse in una vicenda che aveva già prostrato fisicamente i ricorrenti, e dove può essere ulteriormente valorizzato anche il grado dell’elemento soggettivo del responsabile dell’illecito civile, posto che si è detto che il fatto viene ascritto al Comune non nella forma minima della colpa, ma in quella del dolo diretto.

Si ritiene di stimare nel 40% l’aumento della somma dovuta a titolo di risarcimento per le particolarità del caso di specie, con la conseguenza che ai 935 euro vanno aggiunti ulteriori 374 euro, per un totale complessivo di 1.309 euro per ciascuno dei ricorrenti (la difesa dei ricorrenti aveva chiesto invece 1.402,50 euro).

V. I ricorrenti hanno chiesto la condanna alle spese del Comune. In realtà, la condanna alle spese segue per legge alla soccombenza e non è soggetta ad una domanda di parte.

Il Tribunale ritiene che la soccombenza debba essere addossata tanto al Comune di Treviglio quanto alla controinteressata J., in solido tra loro, posto che il regolamento acustico ed il provvedimento di concessione di suolo pubblico, impugnati e dichiarati illegittimi, sono stati emessi sì dal Comune, ma nell’interesse dell’attività commerciale, che ne ha beneficiato sul piano economico avendo potuto incrementare la propria offerta alla clientela nella stagione estiva 2010, e che non può pertanto in questa sede sostenere di essersi limitata ad applicare dei provvedimenti comunali confidando nella loro legittimità.

Nella quantificazione delle spese si fa riferimento alla notula depositata in giudizio, da cui però vengono sottratti 1.900 euro per motivi aggiunti (in quanto superflui, non hanno spostato in minima parte l’esito del giudizio; il parere ARPA che li ha originati poteva essere prodotto a sostegno come mero documento), e 1.500 euro per discussione merito (le difese hanno assicurato la presenza all’udienza, ma si sono rimesse senza discutere). Si sottraggono anche i 500 euro del contributo unificato (indicati come spese vive), la cui restituzione consegue comunque per legge.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

DICHIARA IMPROCEDIBILE il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, nella parte relativa alla concessione di suolo pubblico del 7. 7. 2010.

ACCOGLIE per il resto, e, per l’effetto, annulla gli articoli 9 e 14 del regolamento acustico del Comune di Treviglio nella versione introdotta nel marzo 2010, e condanna il Comune di Treviglio a risarcire ai ricorrenti il danno costituito dalla somma di euro 1.309 per ciascuno di essi.

CONDANNA il Comune di Treviglio e la controinteressata J., in solido tra loro, al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite, che determina in euro 11.063,50, oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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