Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-07-2011, n. 15155 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello dell’Aquila, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di D.P.G., proposta nei confronti della Casa di Cura Villa Pini d’Abruzzo, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli dalla predetta Casa di cura con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

La Corte territoriale, premesso che solo una delle tre condotte contestate alla lavoratrice risultava provata, ed in particolare quella isolata afferente le scorrette risposte alle continue sollecitazioni di un inalato, riteneva che tale condotta di per sè sola non integrava quel reiterato inadempimento ai doveri del dipendente che giustificava il licenziamento in oggetto tenendo anche presente, alla luce della contrattazione collettiva, l’imprescindibile presupposto della proporzionalità tra il comportamento tenuto in concreto e la sanzione irrogata.

Nè, rilevava la predetta Corte, il fatto addebitato integrava gli estremi del giustificato motivo soggettivo.

Avverso questa sentenza la Casa di Cura in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria illustrativa.
Motivi della decisione

Con il primo motivo la Casa ricorrente, deducendo violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito: "Dica il Collegio, se sulla scorta delle risultanze istruttorie come sopra trascritte, risultava provata la giusta causa di licenziamento dedotta e dunque se i comportamenti in concreto tenuti dalla dipendente D.P. G. così contestati (omissis) concretassero addebiti tali da costituire una giusta causa di licenziamento".

La censura non merita accoglimento.

Infatti secondo giurisprudenza di legittimità è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che, invece, deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e Cass. 23 luglio 2008 n. 20355 cui adde, nello stesso senso, Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471).

Nella specie vi è appunto la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizi di motivazione che si conclude con la formulazione di un solo quesito.

Nè può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai singoli quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali alla violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’arti. 366 bis c.p.c..

A tanto va aggiunto che il quesito, per come articolato, tende sostanzialmente ad ottenere una valutazione dei fatti la quale è estranea al sindacato di legittimità in quanto è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di Individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (V. per tutte Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049).

Al riguardo va, comunque, osservato che l’iter argomentativo di cui alla impugnata sentenza si presenta del tutto corretto dal punto di vista logico-giuridico laddove sottolinea che la condotta addebitata alla D.P. era consistita in un comportamento, che seppure poco corretto nei riguardi di un malato, non assumeva però una rilevanza tale da giustificare, in ragione delle modalità di detto comportamento – poi non più ripetuto – la massima sanzione disciplinare.

Con la seconda critica la Casa ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2119, 2104 e 2106 c.c. nonchè degli artt. 27 e 33 del CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie e vizio di motivazione, articola, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: "Dica il Collegio se i comportamenti tenuti dalla dipendente D.P.G., così contestati (omissis) siano disciplinarmente rilevanti in quanto contrastanti con i precetti generali dell’ordinamento, anche rinvenibili nella coscienza sociale e se gli stessi contravvengono a specifici doveri ed obblighi imposti dal CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie, nonchè agli obblighi dr diligenza e fedeltà del lavoratore".

Il motivo è improcedibile non avendo la società ricorrente, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 depositato il testo integrale del contratto collettivo di cui deduce la violazione. Questa Corte infatti a Sezioni Unite, con sentenza del 23 ottobre 2010 n. 20075 ha sancito, nel comporre un contrasto sorto in senso alla sezione lavoro della Cassazione, che il richiamato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 nella parte in cui onera il ricorrente principale o incidentale – a pena d’improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, deve interpretarsi nel senso che allorchè il ricorrente denunci la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve avere ad oggetto, a pena d’improcedibilità non già solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni. Nella specie con la censura in esame si deduce la violazione di norme di contratto collettivo nazionale e la ricorrente non ha provveduto a depositare insieme al ricorso il testo integrale del contratto collettivo nazionale di cui denuncia la violazione a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con l’ultima censura la Casa ricorrente, assumendo violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e vizio di motivazione, pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: "Dica il Collegio se, sulla scorta delle risultanze istruttorie come sopra trascritte sub 1, risultava provata la ricorrenza di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento in relazione a fatti commessi da D.P. G.".

La censura, come le precedenti, è inammissibile in quanto oltre a contenere la mescolanza di motivi relativi alla violazione di legge ed al vizio di motivazione, il relativo quesito si risolve nell’istanza di un accertamento di fatto, quello concernente la ricorrenza in base alle risultanze istruttorie di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, precluso, come innanzi osservato, in questa sede di legittimità.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro tremilaquaranta/00 di cui Euro tremila/00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali che attribuisce all’avv.to Bruno Marcone anticipatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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