T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 13-04-2011, n. 552 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

M.L.B., la quale gestisce in Castel Rozzone, al numero 18 di piazza Castello, un pubblico esercizio all’insegna "M.C.", ha realizzato nell’immobile che tale esercizio ospita, costituito dalla corte di una vecchia cascina, alcune opere edilizie abusive, a suo dire ultimate nel 1985 e costituite da un prefabbricato in legno adibito a magazzino, sempre a suo dire edificato in sostituzione di un preesistente e più ampio manufatto in muratura, da una tettoia di copertura e dall’ampliamento di un ripostiglio, così adibito a cucina (l’ubicazione e la natura dell’esercizio sono pacifici in causa; per la descrizione delle opere abusive, si veda copia della relazione tecnica con fotografie all’interno del doc. 3 Comune).

Scoperto l’abuso nel corso di un sopralluogo dell’autorità comunale avvenuto il 19 settembre 2008 ed emanata da parte dell’autorità stessa ordinanza di demolizione, gravata in altro giudizio (tali fatti sono pure pacifici in causa), M.L.B. ha presentato per tali opere istanza di sanatoria, alla quale ha ricevuto diniego con l’atto meglio indicato in epigrafe, che nella motivazione recita: "il magazzino, essendo diverso per sagoma, sedime e prospetti del (rectius, dal) fabbricato esistente si configura come opera nuova; l’ampliamento del locale accessorio, indipendentemente dalla destinazione indicata "cucina’, contrasta con la normativa in quanto viene a costituire incremento di densità fondiaria ed è inoltre in contrasto con l’art. 3.4.2. del regolamento locale di igiene; la tettoia esterna è in contrasto con le vigenti norme che escludono la possibilità di realizzare tettoie in ambito residenziale"; lo stesso provvedimento precisa che l’art. 3.4.2. citato impone per i locali accessori, come la cucina di che trattasi, una altezza netta media interna di mt. 2.40, nella specie pacificamente non rispettata (doc. 3 Comune, cit., copia domanda di sanatoria; doc. 1 ricorrente, copia diniego, da cui le citazioni).

Avverso tale diniego, M.L.B. propone nella presente sede impugnazione, con ricorso articolato in due censure, riconducibili secondo logica ad un unico motivo di violazione dell’art. 36 del T.U. 6 giugno 2001 n°380. In proposito, la ricorrente premette in fatto (ricorso, p. 4 quartultimo rigo) di avere chiesto la sanatoria solo per il magazzino e la cucina, non già per la tettoia; aggiunge poi che per ciascuno di detti due manufatti il requisito della doppia conformità doveva ritenersi sussistere. In ordine al magazzino, afferma che nella zona di pertinenza, classificata zona A – centro storico, l’art. 20 delle NTA di piano consentiva all’epoca della costruzione le "trasformazioni anche sostitutive" dell’esistente, e che analoga norma è prevista dall’art. 22 delle NTA vigenti, che consente le ristrutturazioni edilizie. In tale concetto si dovrebbe classificare la costruzione del magazzino, che avrebbe sostituito con un decremento di volumetria il fabbricato già esistente. In ordine alla cucina, afferma infine che essa si dovrebbe ritenere conforme alla disciplina edilizia, in quanto rappresenterebbe un adeguamento igienico sanitario dell’esistente, con volume inferiore al 20% di quello dell’immobile principale.

Resiste il Comune, con atto 5 marzo e memoria 30 giugno 2010, e chiede che il ricorso sia respinto, evidenziando che il magazzino per cui è causa non può considerarsi ristrutturazione, ma solo nuova costruzione, dato che la preesistenza di altro manufatto non è provata, e che la cucina è comunque non conforme al regolamento di igiene nei termini citati.

La Sezione all’udienza del giorno 23 marzo 2011 tratteneva il ricorso in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. Come si è detto in narrativa, la ricorrente, nell’unico motivo proposto, afferma in sintesi che il permesso di costruire in sanatoria le si sarebbe dovuto rilasciare in anzitutto in quanto l’intervento da lei realizzato relativo al magazzino rientrerebbe nel concetto di ristrutturazione edilizia, nel caso di specie consentita. Tale ordine di idee non è peraltro condivisibile, come risulta ricostruendo secondo logica, i passaggi nei quali esso si articola.

2. Come è noto, ai sensi dell’art. 36 del T.U. 380/2001, non derogato in alcuna parte dalla l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, il permesso di costruire in sanatoria, in via generale, è rilasciato "se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda": è il requisito della cd. doppia conformità.

3. Nella specie, secondo quanto affermato dalla ricorrente nella relativa domanda (doc. 3 Comune, copia di essa), l’intervento da sanare era poi rappresentato da una ristrutturazione edilizia, ovvero, ai sensi dell’art. 27 comma 1 lettera d) della citata l.r. 12/2005, da uno degli "interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica".

4. Come è noto, il legislatore lombardo ha ritenuto, attraverso l’art. 22 comma 1 della recente l.r. 5 febbraio 2010 n°7, ha ritenuto di intervenire sulla norma citata e di adottare in tal modo nel caso di "demolizione e ricostruzione" un concetto di ristrutturazione più ampio di quello accolto nella normativa nazionale, eliminando in buona sostanza la sagoma quale vincolo da rispettare.

5. A prescindere da ogni questione relativa alla legittimità costituzionale di tale nuova norma, va allora detto che la ristrutturazione nel caso in esame rimane pur sempre assoggettata ad un requisito essenziale che è logico, prima che giuridico: demolizione del preesistente e sua successiva ricostruzione debbono essere contemplati dal titolo come due momenti di un singolo intervento, mentre non sarebbe possibile "ristrutturare" un edificio che già più non esiste per cause del tutto diverse dalla ristrutturazione in programma: su tale concetto generale, in termini di principio si vedano anche C.d.S. sez. IV, 16 aprile 2010 n°2175 e sez. V 23 marzo 2000 n°1610.

6. Sempre nel caso di specie, la ricorrente ritiene di dimostrare il requisito della doppia conformità nei termini di cui appresso. In primo luogo, l’edificio preesistente oggetto di demolizione sarebbe stato un manufatto di muratura, il cui esatto aspetto rimane ignoto, ma che sarebbe esistito sin dal 1967, come proverebbe la piantina annessa alla scheda catastale n°064649 allegata alla domanda di sanatoria (doc. 3 Comune, cit., ove copia della stessa). In secondo luogo, nel 1980, o comunque nel relativo decennio (v. ricorso p. 1 quintultimo rigo), tale edificio sarebbe stato demolito e ricostruito nelle forme dell’attuale deposito in legno. Da ultimo, l’intervento, appunto perché costituente ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, sarebbe stato legittimo nella zona A6 nella quale l’immobile si trova sia nel 1980, a mente dell’art. 20 delle NTA allora vigenti, sia oggi, a mente dell’art. 22 dello strumento urbanistico attuale (doc. ti Comune 5 e 4, copie estratto delle norme pertinenti).

7. Tale ragionamento è però fallace, perché manca di un necessario presupposto di fatto, senza del quale, come si è detto, di ristrutturazione non si può comunque parlare. Così come dimostrato dalla difesa del Comune, infatti, all’epoca in cui venne realizzato il magazzino oggi esistente nessun preesistente fabbricato da demolire e ristrutturare esisteva più.

8. L’edificio in muratura raffigurato nella scheda catastale, infatti, dato e non concesso che la scheda stessa valga a provarne l’effettiva realizzazione, già non esisteva più nel 1972, ovvero allorquando il Comune rilasciò a favore di certo L.B., verisimilmente padre della ricorrente, una "licenza di costruzione", 24 giugno 1972 n°11, relativa all’immobile cui il magazzino accede: nelle relative tavole progettuali, il cortile preteso sedime dell’immobile in parola è rappresentato come libero da costruzioni (doc. 10 Comune, copia fascicolo relativo).

9. Ad escludere che si possa parlare di ristrutturazione operata nei successivi anni "80 ciò basterebbe; si può poi aggiungere che tale conclusione non muta anche tenendo conto di un altro fabbricato che sembrerebbe sia esistito sempre nel cortile di che trattasi. Si allude al box in lamiera che compariva, come puntualizzato dalla difesa del Comune nelle tavole allegate ad altra concessione edilizia rilasciata all’odierna ricorrente, 19 gennaio 1991 n°17 (doc. 8 Comune, copia di essa), ma era già scomparso nel 1994, come risulta da altre tavole, allegate alla diversa concessione 11 giugno 1994 n°592 (doc. 7 Comune, copia di essa). In proposito, va detto che tale box risulta realizzato senza titolo alcuno, e quindi non poteva legittimamente essere "ristrutturato", non è in alcun modo menzionato nella domanda di sanatoria (doc. 3 Comune, citato), e appare esser stato ancora esistente nel 1991, ovvero dopo che lo si sarebbe, in ipotesi, dovuto demolire per dar luogo al magazzino per cui è causa: è evidente come esso nessuna attinenza abbia con la materia del contendere.

10. E" quindi del tutto corretta la motivazione dell’atto impugnato che sinteticamente qualifica il magazzino in questione come "opera nuova", nei termini sin qui illustrati: si ricorda il pacifico principio giurisprudenziale per cui non costituisce motivazione postuma una difesa della p.a. la quale si limiti a rendere esplicite ragioni del provvedimento già comprensibili esaminando il provvedimento stesso, così come affermato per tutte da C.d.S. sez. V 9 ottobre 2007 n°5271.

11. E" poi solo per completezza che si ricorda come non vi sia luogo a sollevare l’eccezione di incostituzionalità della sopra menzionata norma dell’art. 22 comma 1 della l.r. 5 febbraio 2010 n°7, sollevata dal Comune nelle conclusioni della memoria 30 giugno 2010, dato che la norma stessa, come si è visto, nel caso in esame non rileva.

12. Analoghe conclusioni valgono per il ripostiglio adattato a cucina, ovvero per il secondo ed ultimo manufatto per cui la richiesta di sanatoria è stata presentata. Le ragioni della reiezione sono, come si è detto in premesse, duplici, rappresentate da un lato dall’aumento della densità fondiaria cagionato dalla nuova costruzione, dall’altro dal mancato rispetto della normativa del regolamento di igiene. Vale allora il noto principio, ribadito da costante insegnamento giurisprudenziale (da ultimo C.d.S. parere su ricorso straordinario sez. I 30 novembre 2009 n°3426), secondo il quale "per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie è sufficiente che sia fondata anche una sola di esse".

13. Nel caso di specie, come si ricava a semplice lettura del ricorso, la ricorrente sul punto specifico si è limitata a dedurre che l’intervento sarebbe assentibile in quanto "adeguamento igienico sanitario" sotto il profilo della volumetria occupata (ricorso, p. 9 penultimo paragrafo); nulla però ha detto quanto al rispetto del regolamento di igiene, come nota anche la difesa del Comune, che ribadisce il punto (memoria 30 giugno 2010 p. 10). Il ricorso va quindi respinto anche sotto questo profilo.

14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna M.L.B. a rifondere al Comune di Castel Rozzone le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 2.000 (duemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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