Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-02-2011) 15-04-2011, n. 15446 bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di questa stessa città che aveva dichiarato A.G. – nella qualità di amministratore della società S.A.M.A. srl, dichiarata fallita con sentenza del 23 settembre 1998 – del reato di bancarotta fraudolenta documentale, ai sensi della L. Fall., art. 217, nn. 1 e 2 (per avere omesso di depositare la situazione contabile patrimoniale alla data del dichiarato fallimento, unitamente ai libri sociali ed alle scritture contabili), assolvendolo invece dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale a lui ascritto nello stesso capo d’imputazione.

Avverso la sentenza anzidetta, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Lamenta, in particolare, che i giudici di merito, nel riconoscere la sua qualità di mero prestanome, abbiano ritenuto la sua colpevolezza in ordine al reato in questione, nonostante fosse emerso che avesse assunto la carica di amministratore solo nel 1997 e, a quella data, la società fosse oramai una scatola vuota essendo stata spogliata dei suoi beni dai precedenti amministratori, che avevano pure occultato la documentazione contabile. Inoltre, esso istante non era neppure socio nè era mai occupato dell’amministrazione della società, che, di fatto, era gestita da altri.

Il secondo motivo d’impugnazione deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza della legge sostanziale con riferimento alla L. Fall., art. 216 e art. 2392 c.c, sul rilievo che la responsabilità di esso istante era stata fatta discendere dalla violazione dei doveri discendenti dalla posizione di garanzia rivestita ai sensi dell’art. 2392 c.c., che avrebbe potuto essere positivamente evocata solo per reati puniti a titolo di colpa, ma non per quelli, come il reato in questione, puniti a titolo di dolo, secondo giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Nel caso di specie, avrebbero dovuto al più ravvisarsi gli estremi della bancarotta semplice.

2. – Le censure – esaminabili congiuntamente, stante l’identità di ratio contestativa che le accomuna – sono palesemente infondate.

Ed invero, è frutto di insindacabile accertamento di merito, in quanto compiutamente argomentato sulla scorta delle emergenze di causa, l’assunto che l’imputato, amministratore formale della società dal 30.4.1997, abbia operato come mero prestanome di altri.

Sicchè il titolo di imputazione, in riferimento al contestato reato di bancarotta fraudolenta documentale, è stato correttamente radicato in siffatta qualità, in ragione dell’assunzione che le relative funzioni comportano, dei doveri di vigilanza e di controllo di cui all’art. 2932 c.c. (cfr., per l’ipotesi di bancarotta semplice, Cass. sez. 5, 23.6.2009, n. 31885, rv. 244497).

D’altronde, con specifico riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, è ius receptum, alla luce di costante insegnamento di questa Corte regolatrice, che l’amministratore di diritto risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, sia se abbia agito di comune accordo con questi, sia in virtù dei principi generali che regolano la responsabilità penale. Da un canto, infatti, l’art. 40 c.p., comma 2 stabilisce che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, dall’altro è obbligo degli amministratori vigilare sul generale andamento della gestione, nonchè di fare quanto in loro potere per impedire il compimento di atti pregiudizievoli, ovvero di eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 5, 27.5.1996, n, 580, rv. 205058). La valenza del principio anzidetto cede nei soli casi in cui consti che l’amministratore sia rimasto completamente estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri ovvero lo stesso dimostri o chieda di dimostrare la totale dissociazione dall’operato degli stessi gestori (cfr., nello stesso senso, id. Sez. 5, 3.6.2005, Ambrosin). La fattispecie in questione non integrava certamente l’ipotesi derogatoria. Ed infatti, la sentenza in esame, integrata per quanto di ragione dalla motivazione della sentenza di primo grado – che, stante la convergenza in punto di penale responsabilità, forma con la prima una sola entità giuridica – ha sufficientemente argomentato in ordine al convincimento che l’imputato abbia dato un contributo causale alla realizzazione della fattispecie prevista e punita dalla L. Fall., art. 216, ritenendo peraltro insussistenti gli estremi per il riconoscimento della meno grave ipotesi della bancarotta semplice.

3. – Per quanto precede, il ricorso è inammissibile ed alla relativa declaratoria conseguono le statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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