Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-02-2011) 15-04-2011, n. 15441 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Trento confermava la sentenza del 18 dicembre 2008, con la quale il Tribunale di Rovereto aveva dichiarato T.A. colpevole del reato di cui al capo a) della rubrica (art. 612, commi 1 e 2 per avere minacciato di danno ingiusto la propria moglie B.E.) e T.I. dei reati di cui ai capi b) (lesioni aggravate in danno di B.Y., con uso di cacciavite) c) (porto ingiustificato di cacciavite).

Avverso la sentenza anzidetta il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnativa, parte ricorrente eccepisce nullità della sentenza per mancata sospensione del procedimento a seguito di presentazione di istanza di ricusazione nei confronti del giudice monocratico di Rovereto, che aveva dimostrato ostilità nei confronti degli imputati. La richiesta era stata erroneamente dichiarata tardiva dalla Corte di Appello di Trento.

Il secondo motivo denuncia violazione di legge ed illogicità di motivazione, con riguardo alla valutazione delle risultanze di causa.

Il terzo deduce vizio di legittimità con riferimento alla violazione del principio ne bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. e totale carenza di motivazione sul punto, in riferimento alla dedotta circostanza che l’imputato era stato già giudicato per gli stessi fatti in altro procedimento.

Il quarto motivo deduce carenza e/o illogicità di motivazione in relazione alla reclamata esimente della legittima difesa od alla provocazione.

Il quinto motivo deduce carenza di motivazione ed insussistenza degli elementi costitutivi del reato.

Il sesto motivo lamenta sproporzione della pena ed illogicità di motivazione.

Il settimo motivo riguarda le statuizioni civili, relativamente al disposto risarcimento del danno, in mancanza di idonea prova al riguardo.

2. – La prima ragione di censura è destituita di fondamento, essendo ineccepibile il rilievo del giudice di appello, che, nel rigettare identica eccezione formulata in sede di gravame, aveva rilevato l’improponibilità, in quel contesto, di questioni afferenti alla procedura incidentale di ricusazione per la quale la legge prevede forme e moduli procedimentali autonomi, che non possono in alcun modo interferire con il procedimento principale. Del resto, è indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice che la decisione emessa in violazione del divieto di partecipazione al giudizio del giudice ricusato sino a che l’istanza di ricusazione non sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, è nulla solo nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia accolta, mentre conserva piena validità tutte le volte che la ricusazione sia dichiarata inammissibile o sia rigettata (cfr. Cass. 18.1.2000, n. 275, Anello, rv. 215592). Donde l’irrilevanza sotto tale profilo – in mancanza di allegazione dell’esito della richiesta di ricusazione – della dedotta circostanza relativa alla mancata sospensione del giudizio in attesa della definizione della procedura di ricusazione, in violazione dell’art. 37 c.p.p., comma 2.

Il secondo motivo, relativo alla valutazione delle risultanze di causa, si pone in area di inammissibilità, attenendo a questione squisitamente di merito, improponibile in questa sede di legittimità, a fronte di motivazione congrua e giuridicamente ineccepibile in particolare, in esito a compiuta rivisitazione del compendio probatorio, la Corte distrettuale ha indicato, adeguatamente, le ragioni del ribadito giudizio di colpevolezza, condividendo la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese espressa in primo grado. Il giudice di appello ha correttamente sottolineato che quelle stesse dichiarazioni, oltre che intrinsecamente attendibili, avevano trovato significativa conferma nelle raccolte testimonianze.

La terza censura, relativa alla pretesa violazione del principio ne bis in idem – con riferimento a T.A., asseritamente già giudicato in altro procedimento penale per gli stessi reati, deve essere disattesa – considerato che, nel rispondere ad identica eccezione difensiva, il giudice di appello ha osservato che la questione proposta era del tutto generica, non avendo l’istante assolto all’onere di allegazione della sentenza, divenuta irrevocabile, che avrebbe pronunciato sugli stessi fatti.

La quarta censura è decisamente infondata, posto che la stessa Corte di merito ha spiegato, adeguatamente, perchè la ricostruzione della vicenda, consentita da univoche emergenze processuali, escludesse ogni possibilità di ravvisare in capo agli imputati, odierni ricorrenti, gli estremi della legittima difesa, avendo loro stessi posto in atto la condotta di aggressione nei confronti delle persone offese, le quali, peraltro, non avevano mai assunto atteggiamenti provocatori nei loro confronti o posto in essere alcun fatto ingiusto.

La quinta ragione, proposta specificamente in favore di T.I., è inammissibile per genericità, anche perchè meramente reiterativa di questione già agitata in sede di gravame e, giustamente, disattesa, avuto riguardo alla documentazione sanitaria in atti ed alle dichiarazioni dibattimentali del teste Ba.Os., medico legale.

La sesta censura, riguardante il regime sanzionatorio, si colloca decisamente in ambito di inammissibilità, attenendo a questione di merito improponibile in questa sede, a fronte di motivazione corretta ed adeguata, sia pure con la mera adesione alla determinazione della pena effettuata in primo grado, in rapporto all’obiettiva gravità del fatto-rato e, quanto a T.A., alla personalità dell’imputato, stimata proclive a delinquere alla stregua dei precedenti penali e delle pendenze a suo carico.

Infondata è, infine, la settima censura, riguardante le statuizioni di parte civile, posto che il danno subito dalle persone offese era certo, nella sua ontologica esistenza, consistendo nelle lesioni personali e nel danno morale, che è tipico pregiudizio non patrimoniale, conseguente a fatto reato, ai sensi dell’art. 185 c.p., comma 2. La relativa esistenza può essere ritenuta dal giudice anche in virtù di prova presuntiva, che non è un minus rispetto agli altri mezzi di prova.

Correttamente, allora, è stata ritenuta la potenzialità lesiva dei reati in questione ed emessa sentenza di condanna generica, con rimessione delle parti innanzi al competente giudice civile per la quantificazione dei danni conseguenti.

3. – Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo, anche in ordine alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, come di seguito determinate.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè, in solido, alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida in complessive Euro 1.100,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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