T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 13-04-2011, n. 542 lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 17 giugno 2003 B.R. e K.O. impugnavano, chiedendone l’annullamento, il provvedimento Codice Dom. n.4807574 del 21.3.2003, con il quale la Prefettura di Brescia rigettava l’istanza di sanatoria presentata dal sig. B. a favore del sig. K., privo del regolare permesso di soggiorno, per la legalizzazione del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra i due.

Il provvedimento impugnato si fondava in ragione della esistenza dei motivi ostativi previsti dall’art.1, co.8 del D.L. 9.9.2002, n.195, convertito nella legge 9.10.2002, n.222, motivi, deducibili dalla nota richiamata nel provvedimento impugnato in cui si affermava che il cittadino straniero era stato destinatario di un provvedimento di espulsione del 7.12.1999, emesso dalla Prefettura di Messina, eseguito con accompagnamento coattivo della forza pubblica alla frontiera.

Peraltro, risulta dagli atti di causa che il predetto cittadino straniero era stato destinatario di un precedente provvedimento di espulsione emesso dallo stesso Prefetto di Messina in data 16.101998, anche questo eseguito con accompagnamento della forza pubblica alla frontiera.

Ancorchè espulso per ben due volte, il sig. K., prima della scadenza dei cinque anni decorrenti dalle date di espulsioni, previsti al fine di un possibile rientro legale, si introduceva clandestinamente in Italia, avanzando istanza di legalizzazione del rapporto di lavoro intercorso con il ricorrente sig. B..

I ricorrenti, a sostegno del gravame, in primo luogo deducevano il difetto di motivazione nel provvedimento impugnato, attesa la genericità con cui erano indicati i motivi ostativi alla richiesta legalizzazione del rapporto di lavoro.

In secondo luogo affermavano l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto l’espulsione si sarebbe concretizzata semplicemente con invito al cittadino straniero a lasciare il territorio dello stato. Comunque, ad avviso degli stessi, considerata la vita irreprensibile del lavoratore straniero, vi sarebbero tutte le ragioni per ritenere molto probabile una revoca del provvedimento di espulsione.

I ricorrenti concludevano chiedendo l’accoglimento del ricorso con vittoria delle spese di giudizio.

Si costituiva l’amministrazione con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, che dopo aver contestato i motivi di ricorso avversari, ne chiedeva il rigetto, con vittoria delle spese di causa.

Con ordinanza di questa Sezione n.786 del 23.9.2003 veniva accolta l’istanza di sospensiva in attesa dell’esito del giudizio pendente davanti alla Corte Costituzionale in ordine alla questione di costituzionalità della norma posta a base del provvedimento impugnato, giudizio, successivamente conclusosi con la sentenza n.206 del 26.5.2006.

Con ordinanze nn.218/09 e 152/10, rispettivamente, del 19.11.2009 e 6.10.2010 questa Sezione richiedeva notizie circa l’esito della domanda di revoca della espulsione presentata dal K. al Prefetto di Messina, il quale, con nota del 21.10.2010 affermava l’impossibilità di emettere il provvedimento di revoca ai sensi dell’art.1, co.8, della legge 222/2002.

All’odierna pubblica udienza il ricorso passava in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è destituito di fondamento.

Risulta dagli atti di causa che il sig. K.O., in favore del quale il ricorrente B. aveva presentato istanza di regolarizzazione del rapporto di lavoro intercorso tra di loro, era stato espulso per ben due volte, con accompagnamento alla frontiera, con provvedimenti del Prefetto di Messina in data 16.10.1998 e 7.12.1999.

Com’è noto l’art.1, comma 8 lett.a) del D.L.195/2002 è stato ritenuto dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 26 maggio 2006, n.206, legittimo, così come legittima e non irragionevole è stata ritenuta la disciplina prevista per l’allontanamento coattivo dal T.N. del cittadino extracomunitario clandestino.

In forza della suddetta pronuncia della Corte delle leggi, in presenza di un provvedimento di espulsione coattiva ovvero eseguita tramite forza pubblica, come nel caso che ci occupa, la legalizzazione non può essere in alcun modo riconosciuta, a meno che l’espulso sia autorizzato al reingresso da parte del Ministro dell’Interno, prima che sia decorso il periodo di 10 anni (di 5 anni all’epoca dei fatti di causa) previsto dalla legge, decorrente dalla data di espulsione, ovvero vi sia stato un provvedimento di revoca dell’espulsione che, peraltro, come ricordato sopra, nella fattispecie è stato ritenuto impossibile dallo stesso Prefetto di Messina.

A fronte dell’applicazione vincolata per l’amministrazione della normativa sopra indicata nonché degli artt. 4 e 13 del T.U. del D.Lgs n.286/98, viene meno la rilevanza del motivi dedotti in ricorso, sia per quanto concerne la invocata incensurabilità del lavoratore extracomunitario, sia per quanto concerne la possibilità della revoca dei provvedimenti di espulsione.

Né maggiore attendibilità merita l’ulteriore motivo di ricorso del difetto di motivazione del provvedimento impugnato atteso che esso fa riferimento al provvedimento questorile con cui si evidenzia il provvedimento espulsivo emesso dal Prefetto di Messina, seguito da accompagnamento alla frontiera del lavoratore per mezzo della forza pubblica.

In conclusione il ricorso deve essere respinto.

Si ritiene comunque equo compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (sezione prima interna) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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