Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-02-2011) 15-04-2011, n. 15440

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.V., assieme ad E.S., era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Rossano, del reato di cui agli artt. 110 e 611 c.p. perchè, in concorso tra loro, l’ E. quale mandante ed il M. quale esecutore materiale, usavano minaccia nei confronti di V.M. per costringerla o comunque includa ad allontanarsi da (OMISSIS), al fine di non farle assumere la qualità di testimone, e quindi sostanzialmente a ritrarre il contenuto delle dichiarazioni da ella rese all’autorità giudiziaria di Rossano nella fase delle indagini preliminari in qualità di persona informa sui fatti e successivamente coindagata nell’ambito del procedimento penale n. 744/2006 (ex n. 1866/07) (concernente le truffe e le estorsioni perpetrate, tra gli altri, da E.S.). Minaccia proferita dal M. e consistita nel dire, con tono minaccioso, alla V., " S. ha mandato a dire che hai cinque giorni di tempo per andartene da Rossano. Visto che con le buone non l’hai capito adesso te le faccio capire con le tristi. Hai capito Bene?"; con l’ulteriore aggravante per E.S. ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 7 per aver commesso il fatto durante l’applicazione del provvedimento definitivo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale e sino a tre anni dal momento in cui ne era cessata l’esecuzione.

Con sentenza del 10 novembre 2008, il GIP del Tribunale, pronunciando con le forme del rito abbreviato, dichiarava gli imputati colpevoli del reato in contestazione, qualificato ai sensi dell’art. 610 c.p., esclusa per l’ E. l’aggravante di cui alla L. n. 675 del 1965, art. 7, e – con la diminuente di rito – li condannava alle pene ritenute di giustizia, oltre consequenziali statuizioni nonchè al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.

Pronunciando sui gravami proposti dai difensori, la Corte di Appello di Catanzaro con la sentenza indicata in epigrafe, riformava la sentenza impugnata, assolvendo l’ E. dal reato di cui agli artt. 56 e 610, così riqualificata l’imputazione, per non aver commesso il fatto; dichiarava invece il M. colpevole del reato così configurato e, per l’effetto, rideterminava la pena nella misura di mesi dieci di reclusione.

Avverso la sentenza anzidetta il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnativa, parte ricorrente deduce violazione di legge sostanziale e processuale, nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e). Si duole, in particolare, del credito accordato alle dichiarazioni della persona offesa, ancorchè contrastate dalle dichiarazioni rese da R. A., C.V., M.F. e M. G. in sede di indagini preliminari ed acquisite ai sensi dell’art. 438 c.p.p..

Il secondo motivo denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 610 c.p., contestando la ritenuta sussistenza del reato, pur nella forma del tentativo. Il terzo motivo deduce identico vizio di legittimità con riferimento al diniego delle attenuanti generiche ed all’erronea applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. in ordine al regine sanzionatorio.

2. – La prima ragione di censura è priva di fondamento, in quanto la struttura motivazionale della sentenza impugnata non presenta affatto i vizi e le incongruenze denunciate. Il nucleo centrale dell’impianto argomentativo risiede, infatti, nelle parole di accusa della persona offesa che, in ragione delle peculiarità della fattispecie e della posizione della donna (a sua volta imputata in un procedimento penale, unitamente al M. ed all’ E., nell’ambito del quale aveva reso dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie, tanto da essere sottoposta, a quanto pare, al programma di protezione dei testimoni), sono state sottoposte a rigoroso e prudente apprezzamento. D’altronde, la valutazione di attendibilità, oggetto di convergente giudizio di entrambi i giudici di merito, si è fondata anche sulla conferma offerta dalle dichiarazioni testimoniali di T.F.. Non è mancata, poi, la valutazione critica delle dichiarazioni raccolte in sede di investigazioni difensive, oggi richiamate in ricorso, in ordine alle quali la Corte ha motivatamente espresso un giudizio di inaffidabilità, ritenendo che le stesse, anche perchè provenienti da stretti congiunti dell’imputato, fossero fortemente ispirate da compiacenza e, ad ogni modo, fossero decisamente smentite dalle altre risultanze di causa.

Infondato è anche il secondo motivo, posto che la ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito è stata, correttamente, inquadrata nel paradigma normativo della violenza privata, seppur configurata nella forma del tentativo, non essendo stato possibile accertare se, per effetto della minaccia ricevuta, la V. sia stata davvero costretta a lasciare Rossano.

La terza censura, relativa al regime sanzionatorio, si colloca, invece, in area di inammissibilità, attenendo a questione squisitamente di merito che, in quanto adeguatamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimità. In particolare, la Corte ha spiegato perchè mai l’imputato non potesse essere ammesso al beneficio delle attenuanti generiche, in ragione del precedente penale, correttamente, assunto come indice di negativa personalità e, quindi, di capacità a delinquere. Il conclusivo giudizio di congruità della pena irrogata in primo grado risulta, poi, adeguatamente motivato, tenuto conto dell’entità del fatto-reato e dell’intensità del dolo.

3 – Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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