Corte Costituzionale, Sentenza n. 271, elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 21, comma 1, n.
2 e n. 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia), promossi dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con ordinanze dell’11 (nn. 3
ordinanze), del 14, del 15 dicembre 2009, dell’11 (nn. 2 ordinanze) e
del 14 dicembre 2009 rispettivamente iscritte ai nn. 22, 23, 28, 29,
30, 31, 32 e 33 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 7, 1ª serie speciale,
dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di Giuseppe Gargani, Pasquale
Sommese, Maddalena Calia, Nicola Vendola ed altri, Oliviero Diliberto
ed altri, Felice Carlo Besostri ed altri, Salvatore Caronna ed altra,
Roberto Gualtieri, Giovanni Collino, Oreste Rossi, Iva Zanicchi,
Sonia Viale, del PD – Partito Democratico, della Regione Sardegna, di
Sebastiano Sanzarello, della Regione Siciliana, di Gino Trematerra,
Giommaria Uggias, dell’IDV – Italia dei Valori, di Giuseppe Arlacchi
ed altro nonche’ gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore
Sabino Cassese;
Uditi gli avvocati Mario Sanino e Lorenzo Lentini per Giuseppe
Gargani e Pasquale Sommese, Federico Sorrentino e Antonello Rossi per
Maddalena Calia, Oreste Morcavallo per Gino Trematerra, Giampaolo
Parodi e Luigi Manzi per Sonia Viale, Vincenzo Cerulli Irelli per il
PD – Partito Democratico e Roberto Gualtieri, Stelio Mangiameli per
Giovanni Collino, Oreste Rossi e Iva Zanicchi, Giuseppe Morbidelli e
Paolo Trombetti per Salvatore Caronna, Alessandra Camba per la
Regione Sardegna, Giovanni Pitruzzella per la Regione Siciliana, Luca
Di Raimondo per Nicola Vendola ed altri, Silvio Crapolicchio per
Oliviero Diliberto ed altri, Felice Carlo Besostri per Felice Carlo
Besostri, Sergio Scicchitano e Giommaria Uggias per Giommaria Uggias,
Sergio Scicchitano per l’IDV – Italia dei Valori e Giuseppe Arlacchi
ed altro e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione II
bis, con tre ordinanze di identico tenore dell’11 dicembre 2009 (r.o.
nn. 29 e 30 del 2010) e del 14 dicembre 2009 (r.o. n. 31 del 2010),
ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 21,
comma 1, n. 2, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei
membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia), in riferimento
agli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione, e all’art. 11
della Costituzione, in relazione all’art. 10 del Trattato sull’Unione
europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, e agli artt. 10,
11, 39 e 40 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata e resa esecutiva
con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora in avanti «CEDU»).
Ad avviso del collegio rimettente, la norma censurata sarebbe
illegittima in quanto prevede «la soglia nazionale di sbarramento
[…] senza stabilire alcun correttivo, anche in sede di riparto dei
resti», in particolare «non consentendo anche alle liste escluse
dalla soglia di sbarramento di partecipare all’assegnazione dei seggi
attribuiti con il meccanismo dei resti», in tal modo privandole del
«c.d. diritto di tribuna».
1.1. – Il giudice a quo riferisce che i ricorrenti nei giudizi
principali hanno impugnato il verbale delle operazioni dell’Ufficio
elettorale centrale nazionale presso la suprema Corte di cassazione,
con cui e’ stato adottato l’atto di proclamazione degli eletti al
Parlamento europeo in esito alle elezioni svoltesi in data 6 e 7
giugno 2009, nonche’ gli atti presupposti, connessi e consequenziali,
chiedendone l’annullamento nella parte in cui non sono stati
assegnati seggi alle seguenti liste: «Sinistra e Liberta’ –
Federazione dei Verdi» (r.o. nn. 29 e 31 del 2010); «Partito della
Rifondazione Comunista – Sinistra Europea – Partito dei Comunisti
italiani» (r.o. nn. 30 e 31 del 2010); «Associazione politica
nazionale Lista Pannella»; «La Destra»; «Movimento per le Autonomie»;
«Partito Pensionati»; «Alleanza di Centro per la Liberta’» (r.o. n.
31 del 2010). I ricorrenti nei giudizi principali hanno altresi’
chiesto, secondo quanto riferisce il collegio rimettente, la
conseguente proclamazione dei candidati della Lista «Sinistra e
Liberta’ – Federazione dei Verdi», Nicola Vendola (r.o. n. 29 del
2010) e della lista «Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra
Europea – Partito dei Comunisti italiani», Oliviero Diliberto (r.o.
n. 30 del 2010), in sostituzione dei candidati risultati eletti della
lista «Lega Nord», ovvero del candidato della lista «Italia dei
Valori – Lista Di Pietro».
I ricorrenti nei giudizi principali hanno lamentato, secondo
quanto rappresenta il Tribunale rimettente, che alle predette liste
«Sinistra e Liberta’ – Federazione dei Verdi» e «Partito della
Rifondazione Comunista – Sinistra Europea – Partito dei Comunisti
italiani», in ragione del mancato raggiungimento della soglia di
sbarramento, non siano stati attribuiti seggi, pur avendo alcuni
candidati delle medesime liste ottenuto un numero di voti maggiore
rispetto ai «resti» che hanno consentito ai candidati di altre liste,
le quali hanno superato la soglia di sbarramento, di beneficiare «dei
due seggi residuati dopo l’assegnazione dei seggi a quoziente
intero». Il collegio rimettente, in particolare, espone che i
ricorrenti nel giudizio principale hanno dedotto la falsa
applicazione della disposizione contenuta nell’ultimo periodo
dell’art. 21, comma 1, n. 2, della legge n. 18 del 1979 («si
considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che
non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale»). Questa
disposizione, a loro avviso, imporrebbe di considerare come resti, ai
fini della attribuzione dei seggi non assegnati a quoziente intero,
anche la cifra elettorale nazionale delle liste che non hanno
superato la soglia di sbarramento del 4%, di cui all’art. 21, comma
1, n. 1-bis, della legge n. 18 del 1979, in modo da concedere ad esse
un «diritto di tribuna». Ove tale interpretazione non fosse accolta,
i ricorrenti deducono in via subordinata l’illegittimita’
costituzionale della norma censurata.
Nei giudizi principali si sono costituiti o sono intervenuti i
seguenti soggetti: Ministero dell’interno – Ufficio elettorale
centrale nazionale e Italia dei Valori (r.o. n. 30 del 2010);
Giommaria Uggias, Sonia Viale e Lega Nord per l’Indipendenza della
Padania (r.o. nn. 29 e 30 del 2010), Salvatore Caronna, Roberto
Gualtieri, Oreste Rossi e Luigi De Magistris (r.o. n. 31 del 2010).
1.2. – Il giudice a quo, innanzitutto, esclude di poter
accogliere il ricorso in virtu’ della prospettata interpretazione
dell’art. 21, comma 1, n. 2, ultimo periodo, della legge n. 18 del
1979, in base alla quale tale previsione normativa «consentirebbe
anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento di partecipare
all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti».
Il collegio rimettente chiarisce infatti che una simile
interpretazione poggia su una indebita sovrapposizione fra il
concetto di «cifra elettorale nazionale», che e’ «presupposto
previsto, nel minimo del 4%, per l’ammissione al riparto dei seggi» e
«quello di quoziente elettorale nazionale», che e’ invece «frutto di
un’elaborazione matematica per l’assegnazione in concreto dei seggi».
L’impossibilita’ di aderire alla interpretazione offerta dai
ricorrenti impone al Tribunale rimettente di esaminare le eccezioni
di legittimita’ costituzionale da essi sollevate in via subordinata.
Il rimettente, peraltro, esclude anche che la previsione della
clausola di sbarramento del 4%, in se’ considerata, contrasti con le
norme costituzionali o con il diritto comunitario. Tuttavia, il
giudice a quo ritiene rilevante, e non manifestamente infondata, la
questione di legittimita’ costituzionale della disciplina censurata,
in quanto riferita al «meccanismo che esclude il c.d. diritto di
tribuna, non consentendo anche alle liste escluse dalla soglia di
sbarramento di partecipare all’assegnazione dei seggi attribuiti con
il meccanismo dei resti».
In punto di rilevanza, il collegio rimettente osserva che la
norma censurata osta all’accoglimento della domanda dei ricorrenti
nel giudizio principale, candidati per una lista che non ha superato
la soglia di sbarramento, di partecipare con i propri voti alla
ripartizione dei «resti».
In ordine alla non manifesta infondatezza, ad avviso del
rimettente, la disposizione, in primo luogo, violerebbe l’art. 3
Cost. sotto diversi profili. Essa sarebbe manifestamente
irragionevole, in quanto consentirebbe alle liste che hanno superato
la soglia di sbarramento, «in sede di computo dei resti eccedenti il
quorum elettorale intero», di ottenere ulteriori seggi «sulla base di
cifre elettorali irragionevolmente ben piu’ modeste […] rispetto a
quelle riportate dalle liste che non hanno raggiunto la soglia di
sbarramento del 4% e che vengono escluse dalla norma in esame anche
dal predetto riparto dei resti». La disposizione sarebbe, poi, non
proporzionata rispetto al fine di favorire le aggregazioni politiche,
il quale verrebbe gia’ sufficientemente assicurato dalla esclusione
delle liste minori ad opera della clausola di sbarramento del 4%. Un
«ulteriore profilo di irragionevolezza», infine, risiederebbe nel
«denegato accesso al rimborso delle spese effettuate dai partiti che
hanno partecipato con proprie liste alla competizione elettorale, ma
che non hanno raggiunto il quorum, in quanto cio’ appare suscettibile
di determinare una possibile disparita’ di trattamento fra i diversi
attori politici».
In secondo luogo, la disciplina censurata, ad avviso del giudice
a quo, sarebbe illegittima in quanto «porrebbe radicalmente nel nulla
la volonta’ popolare di una piu’ o meno ampia platea di elettori»,
rispetto ad essi interrompendo il «filo democratico» che unisce
insieme i diversi momenti in cui si articola l’esercizio della
sovranita’ popolare (art. 1 Cost.): il diritto di associarsi in
partiti politici al fine di concorrere a determinare la politica
nazionale (art. 49 Cost.); il diritto di concorrere direttamente
all’elezione dei parlamentari (art. 48 Cost.); il principio secondo
cui ciascun parlamentare esercita i suoi poteri rappresentando
l’intera Nazione e non una limitata cerchia di elettori (art. 67
Cost.).
In terzo luogo, la norma impugnata violerebbe l’art. 11 Cost., in
relazione sia all’art. 10 del Trattato sull’Unione europea, come
modificato dal Trattato di Lisbona, secondo cui «il funzionamento
dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa» e «ogni
cittadino ha diritto di partecipare alla vita democratica
dell’Unione», sia agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea], che sanciscono
«il diritto di ciascun individuo di manifestare le proprie
convinzioni e di godere dell’elettorato attivo e passivo per il
Parlamento europeo» e «non possono non porsi anche a fondamento della
necessita’ di rappresentanza degli elettori comunitari nel Parlamento
europeo».
1.4. – E’ intervenuto, in tutti i giudizi, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano
dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque, manifestamente
infondate.
Secondo la difesa dello Stato, la questione sarebbe
inammissibile, innanzitutto, per la «evidente perplessita’ e
contraddittorieta’ delle censure» prospettate dal giudice rimettente,
il quale, da un lato, «riconosce la compatibilita’ con la
Costituzione della clausola di sbarramento» e, dall’altro lato,
«solleva questioni attinenti alla legittimita’ del sistema di
attribuzione dei seggi che non potrebbero essere accolte senza
mettere in discussione la stabilita’ di quella scelta legislativa»,
dal momento che la clausola di sbarramento «sarebbe inevitabilmente
superata» ove si consentisse anche alla liste che non l’hanno
raggiunta di concorrere alla assegnazione dei seggi non attribuiti in
base ai quozienti interi. Costituisce ulteriore ragione di
inammissibilita’, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la
«manifesta irragionevolezza dell’intervento additivo» richiesto. Il
riconoscimento di un diritto di tribuna alle liste che non hanno
superato lo sbarramento risulterebbe infatti affidato, nella
prospettiva fatta propria dal giudice a quo, a circostanze
accidentali: esso dipenderebbe, secondo la difesa dello Stato, dalla
duplice circostanza che residuino seggi da assegnare dopo il riparto
effettuato in base ai quozienti interi e che i voti ottenuti dalla
lista che non ha superato la soglia di sbarramento siano maggiori dei
resti rimasti a disposizione della lista che la ha superata.
Nel merito, la difesa dello Stato richiama la giurisprudenza di
questa Corte secondo cui l’eguaglianza del voto non e’ compromessa
se, in virtu’ del sistema elettorale prefigurato dal legislatore, «i
suffragi espressi da taluni elettori non concorrono, in concreto,
all’attribuzione di seggi» ed aggiunge che la previsione di un quorum
funzionale per l’attribuzione dei seggi non comporta che coloro che
hanno votato per liste che non raggiungono il quorum restano privi di
rappresentanza politica, ma significa solo che tale rappresentanza
«e’ costituita […] sulla base della prevalente aggregazione
dell’opinione politica degli elettori».
1.5. – Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti nei giudizi
principali, chiedendo che questa Corte dichiari l’illegittimita’
costituzionale della disposizione censurata. In prossimita’
dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memorie illustrative,
ribadendo e sviluppando quanto affermato nei rispettivi atti di
costituzione e insistendo per l’accoglimento della questione di
legittimita’ costituzionale.
1.6. – Si sono altresi’ costituiti in giudizio, chiedendo che la
questione di legittimita’ costituzionale sia dichiarata inammissibile
o infondata, alcuni soggetti controinteressati nei giudizi principali
(Giommaria Uggias, Oreste Rossi, Roberto Gualtieri, Luigi De
Magistris, Salvatore Caronna e Francesca Balzani, Sonia Viale, Italia
dei Valori, Giuseppe Arlacchi). In prossimita’ dell’udienza, alcuni
di essi (Roberto Gualtieri, Salvatore Caronna e Francesca Balzani,
Sonia Viale) hanno depositato memorie illustrative, ribadendo quanto
affermato nei rispettivi atti di costituzione e insistendo per la
dichiarazione di inammissibilita’ o infondatezza della questione.
2. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione II
bis, con cinque ordinanze di identico tenore dell’11 dicembre 2009
(r.o. nn. 22, 23 e 28 del 2010), del 14 dicembre 2009 (r.o. n. 32 del
2010) e del 15 dicembre 2009 (r.o. n. 33 del 2010), ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 3,
della legge n. 18 del 1979, in riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49,
51, 56, 57 e 97 Cost., nonche’ agli artt. 10, 11 e 117 Cost., in
relazione agli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto relativo all’elezione dei
rappresentanti del Parlamento europeo a suffragio universale diretto,
allegato alla Decisione del Consiglio del 20 settembre 1976, n.
76/787/CECA/CEE/Euratom, come modificato dalla Decisione del
Consiglio 25 giugno 2002, n. 2002/772/CE/Euratom (d’ora in avanti
«Atto di Bruxelles») e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU.
Secondo il Tribunale rimettente, tale disposizione sarebbe
illegittima nella parte in cui, «senza rispettare il numero dei seggi
preventivamente attribuito alle singole circoscrizioni, in relazione
alla popolazione residente, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 18
del 1979», stabilisce quanto segue: «[l’Ufficio elettorale]
attribuisce, poi, alla lista, sia essa singola sia formata da liste
collegate a norma dell’articolo 12, nelle varie circoscrizioni, tanti
seggi quante volte il rispettivo quoziente elettorale di lista
risulti contenuto nella cifra elettorale circoscrizionale della
lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati,
rispettivamente, nelle circoscrizioni per le quali le ultime
divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parita’ di resti, a
quelle circoscrizioni nelle quali si e’ ottenuta la maggiore cifra
elettorale circoscrizionale».
2.1. – Il Collegio rimettente riferisce che i ricorrenti nei
giudizi principali hanno impugnato il verbale delle operazioni
dell’Ufficio elettorale centrale nazionale del 26 giugno 2009, nella
parte in cui con esso «si e’ provveduto all’assegnazione dei seggi
nella competizione per il rinnovo dei rappresentanti del Parlamento
europeo del 6 e 7 giugno 2009», contestando, in particolare,
l’effetto di «contrazione» del numero di seggi previamente
attribuiti, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979, alle
circoscrizioni territoriali dell’Italia meridionale e dell’Italia
insulare, asseritamente determinato dall’applicazione della norma
censurata. Quest’ultima prevede, infatti, un sistema di assegnazione
dei seggi alle liste in base al numero dei votanti nelle singole
circoscrizioni che, ad avviso dei ricorrenti nei giudizi principali,
si porrebbe in contrasto con il diverso criterio di attribuzione dei
seggi sulla base della popolazione, stabilito dal predetto art. 2
della legge n. 18 del 1979 conformemente al diritto europeo (art. 189
Tr. CE e Atto di Bruxelles). Il giudice a quo espone che, alla luce
di tali considerazioni, i ricorrenti nei giudizi principali hanno
chiesto: in via principale, la correzione del verbale dell’Ufficio
elettorale centrale nazionale, nonche’ di quelli degli uffici
circoscrizionali, con conseguente elezione dei ricorrenti stessi a
parlamentari europei, previa disapplicazione dell’art. 21 della legge
n. 18 del 1979; in via subordinata, la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale ai fini della dichiarazione di illegittimita’
costituzionale degli artt. 21 e 22 della legge n. 18 del 1979.
Il Tribunale amministrativo rimettente riferisce che si sono
costituiti o sono intervenuti nei giudizi principali i seguenti
soggetti: Ministero dell’Interno e Ufficio elettorale centrale
nazionale presso la Corte suprema di cassazione (r.o. nn. 22, 28, 32
e 33 del 2010); Roberto Gualtieri (r.o. nn. 22, 23, 28, 32 e 33 del
2010); Salvatore Caronna (r.o. nn. 22, 28 e 33 del 2010); Sonia Viale
(r.o. n. 22 del 2010); Lega Nord per l’Indipendenza della Padania
(r.o. n. 22 del 2010); Partito Democratico (r.o. n. 22 del 2010);
Regione Sardegna (r.o. nn. 28, 32 del 2010); Regione Siciliana (r.o.
n. 32 del 2010).
2.2. – Cio’ premesso, il giudice a quo, dopo aver ricostruito il
contenuto della disciplina, nazionale e sovranazionale, per le
elezioni del Parlamento europeo, osserva che l’applicazione della
norma censurata produce, «di fatto», un effetto distorsivo,
consistente nella assegnazione a ciascuna circoscrizione di un numero
di seggi «direttamente correlato all’affluenza al voto», anziche’
proporzionale alla popolazione residente, come e’ invece previsto
dall’art. 2 della legge n. 18 del 1979, nonche’ dal diritto
comunitario, che stabilisce i principi della «rappresentanza
territoriale» e della «proporzionalita’ degressiva», in base alla
quale «il numero degli eletti in ciascuna ripartizione territoriale
deve garantire un’adeguata rappresentanza della popolazione nella
corrispondente circoscrizione». In particolare, rispetto alla
ripartizione di seggi effettuata in attuazione dell’art. 2 della
legge n. 18 del 1979 (che prevede 18 seggi per la circoscrizione
dell’Italia meridionale e 8 seggi per quella dell’Italia insulare), i
risultati elettorali del 2009 avrebbero determinato, secondo quanto
rileva il giudice a quo, «un deficit di rappresentanza […] per i
cittadini delle circoscrizioni del Sud e delle Isole, che hanno visto
la diminuzione di 3 e 2 rappresentanti rispettivamente (con la
conseguente mancata elezione de[i] ricorrent[i]) in ragione della
ripartizione di voti sulla base di altro e discordante criterio (di
cui all’art. 21) riferito al numero di cittadini che hanno esercitato
il diritto di voto».
In ragione del descritto effetto distorsivo, il collegio
rimettente ha sollevato la questione di legittimita’ costituzionale
della disposizione censurata, osservando, in punto di rilevanza, che
«una eventuale pronuncia di incostituzionalita’ della Corte
costituzionale imporrebbe di decidere la posizione de[i] ricorrent[i]
[…] alla stregua della nuova disciplina che ne risulterebbe».
In ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale
amministrativo rimettente dubita della legittimita’ costituzionale
della disposizione censurata in relazione a diversi parametri
costituzionali.
Essa sarebbe in contrasto, in primo luogo, con l’art. 3 Cost.,
con riguardo sia alla ragionevolezza, sia all’uguaglianza: la
«intrinseca irragionevolezza» deriverebbe dalla «prospettata
contraddittorieta’ […] con l’intenzione del legislatore, quale
risultante dai lavori parlamentari preparatori e dal tenore del
citato art. 2» della legge n. 18 del 1979, secondo il quale i seggi
devono essere distribuiti in proporzione della popolazione residente
in ogni circoscrizione; il canone dell’eguaglianza sarebbe violato
con riferimento sia al diritto di elettorato attivo, per la lesione
del principio di uguaglianza del voto, sia al diritto di elettorato
passivo, in quanto si consentirebbe «ad una o piu’ liste, all’interno
delle circoscrizioni in cui vi e’ stata una maggiore affluenza di
elettori, di ottenere piu’ seggi, alterando il numero di quelli
assegnati alle medesime circoscrizioni, a scapito dei candidati che
concorrono nelle circoscrizioni con minore affluenza di votanti».
In secondo luogo, risulterebbero violati i principi di buon
andamento e imparzialita’ di cui all’art. 97 Cost., in quanto, mentre
l’art. 2 della legge n. 18 del 1979 avrebbe correttamente accolto
l’indicazione del legislatore comunitario relativa alla facolta’
degli Stati «di autovincolarsi ad un sistema di ripartizione
territoriale – per circoscrizione – dei seggi», al contrario la norma
censurata «ancora il risultato elettorale […] ad un sistema
premiante delle circoscrizioni in cui la popolazione […] si e’
dimostrata politicamente e civicamente piu’ matura», senza che tale
diverso criterio trovi «una sua ratio nell’ordinamento».
In terzo luogo, vi sarebbe un contrasto con l’art. 1 Cost., in
base al quale «anche l’esercizio delle procedure nazionali relative
all’attribuzione di profili di sovranita’ all’Unione europea, quali
l’elezione degli europarlamentari», deve avvenire «in conformita’ al
principio democratico».
In quarto luogo, sarebbero lesi gli artt. 10 e 11 Cost., in
relazione agli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto di Bruxelles, in quanto il
«sistema della ripartizione territoriale» dei seggi, benche’ non
obbligatorio in base al diritto comunitario, «risponde alle esigenze
di proporzionalita’ e rappresentativita’ della popolazione», con la
conseguenza che il legislatore nazionale non potrebbe prevedere un
«meccanismo contrastante» con tale sistema, ma semmai alternativo ed
equivalente nel perseguimento dello scopo.
In quinto luogo, sarebbero violati gli artt. 48, 49 e 51 Cost.,
considerati anche in congiunzione con gli artt. 2, 18, 21, 39, 64,
67, 82 e 118 Cost., i quali «affermano il criterio della
rappresentativita’ della popolazione, quale derivazione del piu’ alto
principio democratico».
In sesto luogo, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 10
e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 10, 11, 39 e 40
della CEDU [recte: della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea], i quali «sanciscono il diritto di ciascun individuo di
manifestare le proprie convinzioni e di godere dell’elettorato attivo
e passivo per il Parlamento europeo», a sua volta «strettamente
conness[i] a quelli tutelati dagli articoli che nella Carta
costituzionale affermano la regola democratica secondo il principio
di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost». Ad avviso del collegio
rimettente, che richiama in proposito le sentenze n. 348 e n. 349 del
2007 di questa Corte, la disposizione censurata sarebbe incompatibile
con le predette norme della CEDU e, dunque, con gli obblighi
internazionali di cui agli artt. 10 e 117 Cost.
Infine, il giudice a quo ritiene che la norma censurata violi
anche gli artt. 56 e 57 Cost., che sanciscono il principio di
«rappresentativita’ del cittadino nelle istituzioni», del quale
costituisce espressione «il criterio della rappresentanza
proporzionale territoriale».
2.3. – E’ intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano
dichiarate manifestamente non fondate.
L’Avvocatura osserva, preliminarmente, che la legge n. 18 del
1979 prevede un sistema elettorale proporzionale «c.d. perfetto», il
quale cioe’ «garantisce in massimo grado la rappresentativita’
politica del corpo elettorale, a parziale scapito della
rappresentativita’ territoriale». Cio’ premesso, la difesa dello
Stato rileva che, in base al diritto comunitario citato dal
rimettente, il criterio della rappresentativita’ territoriale del
Parlamento europeo (c.d. proporzionalita’ degressiva) e’ riferibile
alle sole «rappresentanze nazionali» e non anche a rappresentanze di
realta’ territoriali interne agli Stati membri. In particolare, ad
avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, l’Atto di Bruxelles,
all’opposto di quanto ritenuto dal giudice rimettente, recherebbe
«una decisa opzione in favore della rappresentativita’ politica, in
senso proporzionale e su base nazionale, degli eletti al Parlamento
europeo», dal momento che esso consente la «costituzione di
circoscrizioni o altre suddivisioni interne […] solo in funzione di
specificita’ nazionali e a condizione che non venga pregiudicato il
carattere proporzionale del voto, vale a dire la rappresentativita’
del voto rispetto alla composizione politica dell’elettorato
dell’intero Stato membro». Secondo la difesa dello Stato, il
legislatore nazionale non avrebbe inteso avvalersi di tale facolta’,
dato che le circoscrizioni di cui alla legge n. 18 del 1979 non
perseguono lo scopo di «attribuire rilevanza a realta’ territoriali
omogenee sul piano istituzionale», ma rispondono a mere finalita’
amministrative «volte a favorire l’ordinato svolgimento delle
operazioni elettorali oltre che a consentire una effettiva campagna
elettorale, mantenendo a livelli fisiologici il rapporto tra elettori
e candidati».
Sulla base di tali considerazioni, l’Avvocatura generale dello
Stato esclude l’asserita lesione delle fonti sovranazionali. Ne’
sussisterebbe, secondo la difesa dello Stato, il prospettato
contrasto con l’art. 3 Cost. Il principio della eguaglianza del voto,
infatti, sarebbe potuto semmai essere «vulnerato» dalla scelta
dell’opposto criterio dell’attribuzione alle varie circoscrizioni di
un numero di seggi fisso, in base al quale «gli eletti nelle
circoscrizioni con minore affluenza finirebbero per rappresentare un
numero minore di votanti». Quanto, poi, all’asserita intrinseca
irragionevolezza della disposizione censurata, per contraddittorieta’
rispetto all’art. 2 della medesima legge n. 18 del 1979, l’Avvocatura
generale dello Stato osserva che, in realta’, le due previsioni
«fa[nno] corpo», «perche’ la suddivisione dei seggi in circoscrizioni
non puo’ prescindere dalla fissazione del metodo di attribuzione dei
seggi medesimi, che la legge elettorale in esame ha stabilito in
funzione della maggiore garanzia della rappresentativita’ in senso
proporzionale, come previsto nel principio fondamentale contenuto
nell’art. 1, comma 2, della legge, secondo il quale "l’assegnazione
dei seggi tra le liste concorrenti e’ effettuata in ragione
proporzionale" (non, quindi, su base circoscrizionale)».
2.4. – Si sono costituiti tutti i ricorrenti nei giudizi
principali, chiedendo che questa Corte dichiari l’illegittimita’
costituzionale della disposizione censurata. Si sono altresi’
costituite in giudizio, insistendo per l’accoglimento della sollevata
questione di legittimita’ costituzionale, le Regioni Sardegna e
Sicilia, intervenute in alcuni dei giudizi principali. In prossimita’
dell’udienza, alcuni dei ricorrenti nei giudizi principali
costituitisi nel giudizio costituzionale (Giuseppe Gargani, Pasquale
Sommese, Maddalena Calia e Sebastiano Sanzarello) hanno depositato
memorie illustrative, ribadendo e sviluppando quanto sostenuto nei
rispettivi atti di costituzione e insistendo affinche’ la Corte
dichiari l’illegittimita’ costituzionale della disciplina censurata.
Anche le Regioni Sicilia e Sardegna hanno depositato memorie
illustrative in prossimita’ dell’udienza, confermando quanto
sostenuto nei rispettivi atti di costituzione e insistendo per
l’accoglimento della questione di legittimita’ costituzionale.
2.5. – Si sono costituiti in giudizio, chiedendo che la Corte
dichiari inammissibile o infondata la questione, alcuni soggetti
controinteressati nei giudizi principali (Salvatore Caronna, Roberto
Gualtieri, Sonia Viale, Iva Zanicchi, Giovanni Collino, Oreste Rossi,
Partito democratico). In prossimita’ dell’udienza, alcuni di tali
soggetti (Salvatore Caronna, Roberto Gualtieri, Sonia Viale, Partito
democratico) hanno depositato memorie illustrative, sviluppando le
argomentazioni svolte nei rispettivi atti di costituzione e
insistendo affinche’ la Corte dichiari inammissibile o comunque non
fondata la questione.

Considerato in diritto

1. – Con otto ordinanze, il Tribunale amministrativo regionale
del Lazio solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’art.
21, comma 1, n. 2 e n. 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18
(Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia), in
riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49, 51, 56, 57 e 97 della
Costituzione, nonche’ agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, in
relazione all’art. 10 del Trattato sull’Unione europea, agli artt. 1,
2 e 7 dell’Atto relativo all’elezione dei rappresentanti del
Parlamento europeo a suffragio universale diretto, allegato alla
Decisione del Consiglio del 20 settembre 1976, n.
76/787/CECA/CEE/Euratom, come modificato dalla Decisione del
Consiglio 25 giugno 2002, n. 2002/772/CE/Euratom (d’ora in avanti
«Atto di Bruxelles») e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’
fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.
848 (d’ora in avanti «CEDU») [recte: della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea].
All’art. 21, comma 1, n. 2, della legge n. 18 del 1979 si
riferiscono, in particolare, le censure contenute in tre ordinanze di
rimessione del Tar del Lazio (r.o. nn. 29, 30 e 31 del 2010), di
identico tenore, le quali riguardano l’accesso al riparto dei seggi,
in base ai resti, delle liste che non abbiano superato la soglia di
sbarramento del 4%.
All’art. 21, comma 1, n. 3, si riferiscono, invece, le censure
proposte dal Tar del Lazio con cinque ordinanze di rimessione (r.o.
nn. 22, 23, 28, 32 e 33 del 2010), anch’esse di identico tenore, le
quali attengono alle modalita’ di ripartizione dei seggi fra le
diverse circoscrizioni elettorali.
2. – In ragione della loro connessione oggettiva, i giudizi
possono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
3. – Preliminarmente, vanno esposte le principali caratteristiche
della disciplina per l’elezione dei membri del Parlamento europeo
spettanti all’Italia, nel cui contesto si collocano le disposizioni
oggetto di censura.
3.1. – L’ordinamento comunitario, nell’attesa dell’introduzione
di una procedura uniforme per l’elezione dei rappresentanti al
Parlamento europeo, ha demandato agli Stati membri la definizione di
tale disciplina, fissando tuttavia alcuni principi comuni. Tali
principi sono contenuti nell’Atto di Bruxelles, che esprime una
scelta di fondo a favore di sistemi elettorali di tipo proporzionale.
Esso stabilisce, infatti, che «in ciascuno Stato membro, i membri del
Parlamento europeo sono eletti a scrutinio di lista o uninominale
preferenziale con riporto di voti di tipo proporzionale» (art. 1),
secondo disposizioni nazionali che «non devono nel complesso
pregiudicare il carattere proporzionale del voto» (art. 7); permette
agli Stati membri di costituire circoscrizioni elettorali, ma «senza
pregiudicare complessivamente il carattere proporzionale del voto»
(art. 2); consente ai legislatori nazionali di prevedere una soglia
minima per l’attribuzione dei seggi, purche’ essa non sia « fissata a
livello nazionale oltre il 5% dei suffragi espressi» (art. 2-bis). La
disciplina europea, dunque, e’ ispirata al principio di
proporzionalita’ politica: consente l’istituzione di circoscrizioni
interne, purche’ non pregiudichino tale principio.
3.2. – In attuazione della disciplina europea, l’Italia, con la
legge n. 18 del 1979, ha scelto un sistema elettorale proporzionale
c.d. «puro», con assegnazione dei seggi nell’ambito di un collegio
nazionale unico. Il collegio e’ tuttavia articolato in cinque
circoscrizioni elettorali (Italia nord occidentale; Italia nord
orientale; Italia centrale; Italia meridionale; Italia insulare), in
cui devono essere presentate le liste e alle quali, in virtu’ di una
previsione introdotta con la legge 9 aprile 1984, n. 61 (Disposizioni
tecniche concernenti la elezione dei rappresentanti dell’Italia al
Parlamento europeo), e’ assegnato preventivamente un numero di seggi,
in proporzione alla popolazione residente. Inoltre, con la legge 20
febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18,
concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia), e’ stata introdotta una soglia di sbarramento del 4% dei
voti validi espressi.
3.3. – Le modalita’ di assegnazione dei seggi sono definite
dall’art. 21 della legge n. 18 del 1979, che prevede le seguenti
fasi.
Innanzitutto, e’ determinata la «cifra elettorale nazionale» di
ciascuna lista, data dalla «somma dei voti riportati nelle singole
circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo contrassegno» (art. 21,
comma 1, n. 1), e sono individuate «le liste che abbiano conseguito
sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi»
(art. 21, comma 1, n. 1-bis).
Successivamente, si procede al riparto proporzionale dei seggi
tra le diverse liste che hanno superato la soglia di sbarramento, in
base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista e secondo la
formula dei quozienti interi e dei piu’ alti resti. In particolare,
la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista e’ divisa per il
«quoziente elettorale nazionale» (dato dal totale delle cifre
elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi
diviso per il numero dei seggi da attribuire) e si assegnano ad ogni
lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale nazionale
risulti contenuto nella rispettiva cifra elettorale nazionale. I
seggi residui sono poi attribuiti alle liste per le quali le ultime
divisioni hanno dato maggiori resti, considerandosi resti anche «le
cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il
quoziente elettorale nazionale» (art. 21, comma 1, n. 2).
Infine, si procede alla distribuzione, nelle singole
circoscrizioni, dei seggi assegnati alle varie liste. A tal fine, la
cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista viene divisa per
il «quoziente elettorale di lista» (che e’ dato dalla cifra
elettorale nazionale di lista diviso per il numero di seggi assegnati
alla lista stessa). Si attribuiscono, poi, ad ogni lista, nelle varie
circoscrizioni, tanti seggi quante volte il rispettivo quoziente
elettorale di lista risulti contenuto nella cifra elettorale
circoscrizionale della lista. I seggi che rimangono ancora da
attribuire sono assegnati nelle circoscrizioni per le quali le ultime
divisioni hanno dato maggiori resti (art. 21, comma 1, n. 3).
4. – Con le ordinanze di cui al r.o. nn. 29, 30 e 31, il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione
di legittimita’ costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 2, della
legge n. 18 del 1979, in riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97
Cost., nonche’ all’art. 11 Cost., in relazione all’art. 10 del
Trattato sull’Unione europea e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU
[recte: della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea]. La
disposizione e’ censurata nella parte in cui prevede «la soglia
nazionale di sbarramento […] senza stabilire alcun correttivo,
anche in sede di riparto dei resti», in particolare «non consentendo
anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento di partecipare
all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti».
4.1. – Il Collegio rimettente, pur riconoscendo la legittimita’
costituzionale della soglia di sbarramento in se’ considerata,
osserva che, secondo la disposizione censurata, ai fini del riparto
dei seggi non attribuiti in base ai quozienti interi, «si considerano
resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno
raggiunto il quoziente elettorale nazionale». Ad avviso del giudice a
quo, tale disciplina sarebbe illegittima nella parte in cui essa non
prevede che si considerino resti anche le cifre elettorali nazionali
delle liste che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4%,
negando, in tal modo, a tali liste il c.d. «diritto di tribuna».
Secondo il Tribunale rimettente, la norma censurata, in primo
luogo, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto diversi
profili: essa irragionevolmente consentirebbe alle liste che hanno
superato la soglia di ottenere seggi, in sede di computo dei resti,
sulla base di cifre elettorali piu’ modeste di quelle delle liste
che, non avendo superato la soglia, risultano invece escluse anche
dal riparto dei seggi in base ai resti; la norma oggetto di censura
sarebbe, poi, non proporzionata rispetto al fine di favorire le
aggregazioni politiche, gia’ sufficientemente assicurato dalla
esclusione delle liste minori dal riparto dei seggi a quoziente
intero; infine, un ulteriore profilo di irragionevolezza viene
individuato dal Collegio rimettente nella circostanza che le liste le
quali, per mancato superamento della soglia, non ottengono alcun
seggio, si vedono private (in base peraltro a diversa disciplina non
censurata dal rimettente) del rimborso delle spese elettorali. In
secondo luogo, il Tribunale amministrativo rimettente lamenta la
violazione degli artt. 1, 48, 49, 51 e 97 Cost., in quanto la
disposizione censurata «porrebbe radicalmente nel nulla la volonta’
popolare di una piu’ o meno ampia platea di elettori». Infine, il
Collegio rimettente deduce la violazione dell’art. 11 Cost, in
relazione sia all’art. 10 del Trattato sull’Unione europea, come
modificato dal Trattato di Lisbona, secondo cui «il funzionamento
dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa» e «ogni
cittadino ha diritto di partecipare alla vita democratica
dell’Unione», sia agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea], che sanciscono
«il diritto di ciascun individuo di manifestare le proprie
convinzioni e di godere dell’elettorato attivo e passivo per il
Parlamento europeo».
4.2. – La questione e’ inammissibile.
In primo luogo, essa e’ prospettata in modo contraddittorio. Il
Collegio rimettente, infatti, da un lato, giudica manifestamente
infondata una ipotetica questione di legittimita’ costituzionale
riferita alla introduzione della soglia di sbarramento, per effetto
della quale le liste che non raggiungono il 4% dei voti validi sono
escluse dal riparto dei seggi; dall’altro lato, censura la disciplina
relativa all’attribuzione dei seggi in base ai resti in quanto, in
applicazione della previsione della soglia di sbarramento, esclude da
tale attribuzione le liste che non l’abbiano superata. Di qui la
contraddizione: se la soglia di sbarramento e’ legittima – come il
giudice rimettente riconosce – allora non puo’ censurarsi la
conseguente scelta del legislatore di escludere dall’attribuzione dei
seggi in base ai resti le liste che non l’abbiano superata; se,
invece, la disciplina sul riparto dei seggi in base ai resti e’
illegittima, nella parte in cui esclude le liste che non abbiano
superato la soglia di sbarramento – come il giudice rimettente
lamenta – allora non puo’ sostenersi che il legislatore possa
legittimamente introdurre tale soglia.
In ogni caso, ove pure si ammettesse che una clausola di
sbarramento, che estrometta del tutto dall’attribuzione dei seggi le
liste sotto il 4%, senza alcun correttivo, sia in contrasto con i
parametri costituzionali indicati dal Collegio rimettente, va
osservato che quest’ultimo domanda una pronuncia additiva. Il giudice
a quo, infatti, chiede a questa Corte di introdurre un meccanismo
diretto ad attenuare gli effetti della soglia di sbarramento,
consistente nel concedere alle liste che non l’abbiano superata la
possibilita’ di partecipare, con le rispettive cifre elettorali, alla
aggiudicazione dei seggi distribuiti in base ai resti. Ma tale
attenuazione non ha una soluzione costituzionalmente obbligata,
potendosi immaginare numerosi correttivi volti a temperare gli
effetti della soglia di sbarramento, a partire dalla riduzione della
soglia stessa.
Ne deriva, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
che la questione sollevata, sollecitando un intervento additivo in
assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, deve ritenersi
inammissibile (fra le piu’ recenti, sentenza n. 58 del 2010;
ordinanze n. 59 e n. 22 del 2010).
5. – Con le ordinanze di rimessione di cui al r.o. nn. 22, 23,
28, 32 e 33 del 2010, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 21,
comma 1, n. 3, della legge n. 18 del 1979, in riferimento agli artt.
1, 3, 48, 49, 51, 56, 57 e 97 Cost., nonche’ in riferimento agli
artt. 10, 11 e 117 Cost., in relazione agli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto
di Bruxelles e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea]. La disposizione
e’ censurata nella parte in cui regola la distribuzione nelle varie
circoscrizioni dei seggi attribuiti a ciascuna lista sul piano
nazionale, «senza rispettare il numero dei seggi preventivamente
attribuito alle singole circoscrizioni, in relazione alla popolazione
residente, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979».
5.1. – Ad avviso del Tribunale rimettente, l’applicazione della
norma censurata darebbe luogo ad un effetto distorsivo, consistente
nella «traslazione» di seggi da una circoscrizione all’altra: alcuni
seggi, assegnati ad una determinata circoscrizione in base al
criterio della popolazione, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 18
del 1979, si trasferirebbero, invece, ad altra circoscrizione, in
virtu’ del diverso criterio di riparto previsto dalla norma
censurata, fondato sui voti validi espressi. Piu’ precisamente, tale
«traslazione», essendo conseguenza del differente rapporto, nelle
varie circoscrizioni, fra numero di abitanti e numero di voti validi
espressi, penalizzerebbe le circoscrizioni nelle quali e’ piu’ bassa
l’affluenza alle urne. In particolare, il Collegio rimettente rileva
come i risultati elettorali del 2009 avrebbero determinato «un
deficit di rappresentanza […] per i cittadini delle circoscrizioni
del Sud e delle Isole, che hanno visto la diminuzione di 3 e 2
rappresentanti rispettivamente, con la conseguente mancata elezione
dei ricorrenti nei giudizi principali».
Sotto tale profilo, secondo il giudice a quo, la disposizione
censurata contrasterebbe con diversi parametri costituzionali.
Sarebbe violato, innanzitutto, l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo
dell’eguaglianza, con riferimento al diritto di elettorato attivo e
passivo, sia sotto il profilo della «intrinseca irragionevolezza»
della norma censurata, che sarebbe contraddittoria rispetto alla
«intenzione del legislatore, quale risultante dai lavori parlamentari
preparatori e dal tenore dell'[…] art. 2» della legge n. 18 del
1979, secondo il quale i seggi devono essere distribuiti in
proporzione della popolazione residente in ogni circoscrizione.
Sarebbe leso, poi, il «principio di rappresentanza territoriale», che
il collegio rimettente ritiene imposto sia da principi della
Costituzione italiana (artt. 1, 48, 49, 51, 56 e 57 Cost.), nel
presupposto che essi si applichino anche alle modalita’ di elezione
dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, sia, per il
tramite degli artt. 10, 11 e 117 Cost., dal diritto europeo e,
segnatamente, dagli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto di Bruxelles, nonche’
dagli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea].
5.2. – La questione e’ inammissibile.
Il legislatore italiano, cui, come chiarito, spetta disciplinare
la materia in attesa che l’Unione europea introduca una procedura
uniforme, ha optato per un sistema elettorale proporzionale a
collegio unico nazionale, articolato in circoscrizioni, nell’ambito
delle quali devono essere presentate le liste. Peraltro, la legge n.
18 del 1979, nella sua versione originaria, non assegnava a ciascuna
circoscrizione un determinato numero di seggi in base alla
popolazione residente, limitandosi ad indicare il numero minimo e
massimo di candidati per lista. Nelle elezioni del 1979, quindi, la
distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni avvenne in ragione dei
voti espressi in ciascuna di esse, secondo la disciplina oggi
censurata. Le liste presentate nelle circoscrizioni meridionali e
insulari, a causa anche della minore partecipazione alla votazione,
ottennero un numero di seggi inferiore a quello che ad esse sarebbe
spettato in proporzione alla popolazione residente nelle medesime
circoscrizioni. Per tentare di rimediare a questo inconveniente, con
la legge n. 61 del 1984, il legislatore ha modificato l’art. 2 della
legge n. 18 del 1979, prevedendo espressamente che a ciascuna
circoscrizione venga assegnato un numero di seggi proporzionale alla
popolazione in essa residente. La legge n. 61 del 1984, pero’, non ha
tratto tutte le conseguenze dalla assegnazione dei seggi alle
circoscrizioni in base alla popolazione. Essa, infatti, ha lasciato
inalterata la disciplina censurata, che, ai fini della distribuzione
dei seggi fra le circoscrizioni, considera il rapporto fra la cifra
elettorale circoscrizionale della lista e il quoziente elettorale
nazionale di lista, anziche’ il quoziente circoscrizionale.
Dal 1984 in poi, pertanto, nella disciplina elettorale italiana
per il Parlamento europeo, convivono due ordini di esigenze: da un
lato, l’assegnazione dei seggi nel collegio unico nazionale in
proporzione ai voti validamente espressi; dall’altro, la
distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni in proporzione alla
popolazione. Il primo riflette il criterio della proporzionalita’
politica e premia la partecipazione alle consultazioni elettorali e
l’esercizio del diritto di voto. Il secondo riflette il principio
della rappresentanza c.d. territoriale, determinata in base alla
popolazione (ma astrattamente determinabile anche in base ai
cittadini, o agli elettori, o in base a una combinazione di tali
criteri).
Tali ordini di esigenze, pero’, sono difficilmente armonizzabili
e, anzi, non possono essere fra loro perfettamente conciliati.
Esistono, tuttavia, diversi possibili meccanismi correttivi che,
senza modificare la ripartizione proporzionale dei seggi in sede di
collegio unico nazionale, riducono l’effetto traslativo lamentato dal
rimettente, cioe’ lo scarto fra seggi conseguiti nelle circoscrizioni
in base ai voti validamente espressi e seggi ad esse spettanti in
base alla popolazione. Questi meccanismi, peraltro, conseguono tale
obiettivo al prezzo di alterare, in maggiore o minore misura, il
rapporto proporzionale fra voti conseguiti e seggi attribuiti a
ciascuna lista nell’ambito della singola circoscrizione. Ma il
legislatore, sia nel 1984 che nelle successive occasioni in cui ha
riesaminato la disciplina elettorale in questione, non ha introdotto
un meccanismo correttivo, con la conseguenza che, nonostante il
disposto dell’art. 2 della legge n. 18 del 1979, come modificato nel
1984, il riparto dei seggi fra le circoscrizioni ha continuato ad
avvenire, come in precedenza, in proporzione ai voti validi, a
prescindere dalla previa assegnazione in ragione della popolazione.
Anche dai lavori preparatori della legge n. 61 del 1984 emerge la
consapevolezza, da parte del legislatore, che la finalita’ di
rispettare la previa assegnazione dei seggi in proporzione alla
popolazione avrebbe richiesto una piu’ ampia revisione della
disciplina contenuta negli artt. 21 e 22 della legge n. 18 del 1979.
Cio’ non e’ pero’ avvenuto, ne’ allora, ne’ successivamente, quando,
con la legge n. 10 del 2009, il legislatore si e’ limitato ad
introdurre la soglia di sbarramento, oltretutto calcolandola «sul
piano nazionale».
Tutto cio’ premesso, deve osservarsi che il Collegio rimettente
sollecita una pronuncia che abbia come effetto l’introduzione, ad
opera di questa Corte, di un sistema di distribuzione dei seggi fra
le circoscrizioni che, a differenza di quello previsto dalla
disposizione censurata, sia rispettoso del riparto previamente
effettuato in base alla popolazione ai sensi dell’art. 2 della legge
n. 18 del 1979. Ma il giudice a quo non precisa quale dei possibili
sistemi dovrebbe essere introdotto per contemperare il principio
della proporzionalita’ politica con quello della rappresentanza
territoriale. Alla disciplina prevista, per la Camera dei deputati,
dall’art. 83, comma 1, n. 8, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), che secondo alcune parti private
intervenute nel giudizio costituzionale potrebbe applicarsi in virtu’
del rinvio di cui all’art. 51 della legge n. 18 del 1979, il Collegio
rimettente, in realta’, riserva solo un breve cenno, in quella parte
dell’ordinanza di rimessione in cui riferisce le tesi dei ricorrenti
nei giudizi principali. In ogni caso, va detto che tale disciplina
rappresenta soltanto uno dei diversi possibili meccanismi in grado di
ridurre l’effetto di slittamento di seggi da una circoscrizione
all’altra. Ma non puo’ che spettare al legislatore individuare, con
specifico riferimento all’organo rappresentativo preso in
considerazione, la soluzione piu’ idonea a porre rimedio alla
lamentata incongruenza della disciplina censurata. In presenza di una
pluralita’ di soluzioni, nessuna delle quali costituzionalmente
obbligata, questa Corte non potrebbe sostituirsi al legislatore in
una scelta ad esso riservata (fra le piu’ recenti, sentenza n. 58 del
2010; ordinanze n. 59 e n. 22 del 2010).

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,
Dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 21, comma 1, n. 2 e n. 3, della legge 24
gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del Parlamento europeo
spettanti all’Italia), sollevate, in riferimento agli artt. 1, 3, 48,
49, 51, 56, 57 e 97 della Costituzione, nonche’ agli artt. 10, 11 e
117 della Costituzione, in relazione all’art. 10 del Trattato
sull’Unione europea, agli artt. 1, 2 e 7 dell’Atto relativo
all’elezione dei rappresentanti del Parlamento europeo a suffragio
universale diretto, allegato alla Decisione del Consiglio del 20
settembre 1976, n. 76/787/CECA/CEE/Euratom, come modificato dalla
Decisione del Consiglio 25 giugno 2002, n. 2002/772/CE/Euratom e agli
artt. 10, 11, 39 e 40 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio
con le ordinanze in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Cassese

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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