Corte Costituzionale, Sentenza n. 272, disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 6, 7, comma
6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n.
54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione) e
dell’art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa per l’installazione,
il monitoraggio e la localizzazione degli impianti di telefonia
mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre
2003, n. 104, promosso dal Tribunale di Pisa nel procedimento
vertente tra la H3G s.p.a. e la S.E.PI. − Societa’ Entrate Pisa
s.p.a. con ordinanza del 3 ottobre 2008, iscritta al n. 30 del
registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione della H3G s.p.a. nonche’ l’atto di
intervento della Regione Toscana;
Udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore
Alfonso Quaranta;
Uditi gli avvocati Claudia Zhara Buda per la H3G s.p.a. e Lucia
Bora per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza indicata in
epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 117, commi
primo e terzo, della Costituzione – questione di legittimita’
costituzionale degli articoli 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9, comma 6,
della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n. 54 (Disciplina in
materia di impianti di radiocomunicazione) e dell’art. 19 del
Regolamento del Comune di Pisa per l’installazione, il monitoraggio e
la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, approvato con
delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104.
1.1. – Il remittente premette, in punto di fatto, di dover
decidere in ordine all’opposizione proposta dalla societa’ "H3G"
s.p.a. avverso l’ingiunzione emessa dalla societa’ "S.E.PI." s.p.a.,
avente ad oggetto il pagamento di «oneri per lo svolgimento di
controlli ARPAT sugli impianti di telefonia mobile». In particolare,
si sottolinea nell’ordinanza di rimessione, la societa’ opponente ha
chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, di tale
ingiunzione – emessa ai sensi degli artt. 6, comma 6, 7, comma 6, e
9, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000 e
dell’art. 19 del gia’ citato Regolamento del Comune di Pisa n. 104
del 2003 – per «violazione della normativa nazionale in materia di
comunicazioni elettroniche e di prevenzione del rischio connesso
all’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche».
Ai sensi, infatti, dell’art. 93 del decreto legislativo 1° agosto
2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), norma che da’
attuazione – come sottolineato dalla parte ricorrente nel giudizio a
quo – a talune direttive comunitarie, le «pubbliche amministrazioni,
le Regioni, le Provincie ed i Comuni non possono imporre per
l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione
elettronica, oneri e canoni che non siano stabiliti per legge».
1.2. – Tanto premesso, il giudice remittente – non senza
osservare che, «in riferimento all’art. 93» del d.lgs. n. 259 del
2003, la parte opponente nel giudizio principale ha chiesto
sollevarsi questione di legittimita’ costituzionale dei predetti
artt. 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale
n. 54 del 2000, per violazione degli artt. 3, 41 e 117, della
Costituzione – rammenta che sul contenuto del predetto art. 93 del
Codice delle comunicazioni elettroniche si e’ gia’ espressa la Corte
costituzionale con la sentenza n. 336 del 2005.
In particolare, e’ stato affermato che «la disposizione in esame
deve ritenersi espressione di un principio fondamentale, in quanto
persegue la finalita’ di garantire a tutti gli operatori un
trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione
del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni». Si e’
anche precisato che, in mancanza di un tale principio, «ciascuna
Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi "pecuniari" a carico
dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio,
appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori
di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero
non essere imposti», concludendosi, pertanto, «che la finalita’ della
norma e’ anche quella di "tutela della concorrenza", sub specie di
garanzia di parita’ di trattamento e di misure volte a non ostacolare
l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (cosi’, testualmente, la
sentenza n. 336 del 2005, ma e’ richiamata anche la sentenza n. 450
del 2006).
Sulla base di tali rilievi, il giudice a quo reputa che la
Regione Toscana, con le norme censurate, abbia violato gli art. 4 e
93 del d.lgs. n. 259 del 2003, stabilendo che gli oneri relativi
all’effettuazione di verifiche e controlli «degli impianti radio base
della telefonia mobile esistenti sul proprio territorio sono posti a
carico dei titolari di detti impianti». Ed invero, se il primo di
tali articoli «si mette in linea con i dettami comunitari,
realizzando l’obiettivo della liberalizzazione e semplificazione
delle procedure anche al fine di garantire l’attuazione delle regole
della concorrenza» (e’ richiamata, in particolare, la direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE,
che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di
comunicazione elettronica), il secondo si colloca nel novero di quei
«principi fondamentali», la cui «determinazione, nelle materie di
legislazione concorrente, e’ riservata allo Stato».
1.3. – Pertanto, i predetti artt. 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9,
comma 6, della legge regionale n. 54 del 2000, nonche’ il gia’ citato
art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa n. 104 del 2003, sarebbero
costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 3 e 117,
commi primo e terzo, Cost.
In particolare, il primo di tali parametri sarebbe violato
giacche’ la disciplina regionale (e comunale) in contestazione,
«imponendo per le attivita’ inerenti al proprio territorio oneri e
costi non previsti da altre Regioni, relativamente alle verifiche e
controlli degli impianti radio-base» delle imprese esercenti
l’attivita’ di telefonia, determinerebbe «una disparita’ di
trattamento tra operatori economici la cui attivita’ e’ distribuita
sul territorio nazionale».
Del pari, sarebbe violato anche il primo comma dell’art. 117
Cost., giacche’ l’imposizione di oneri e costi non contemplati in
altre Regioni darebbe luogo ad «un’alterazione del sistema
concorrenziale del mercato nazionale, in violazione della normativa
comunitaria», la quale, tra l’altro, prescrive «che le procedure
previste per la concessione del diritto di installare le predette
infrastrutture di comunicazione elettronica debbano essere
tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che
vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed
effettiva» (in tal senso si esprime il ventiduesimo considerando
della direttiva 2002/21/CE).
Infine, la «deroga all’art. 93» del d.lgs. n. 259 del 2003,
integrando una situazione di contrasto «con la menzionata norma
statale che esprime un principio fondamentale cui le Regioni, nella
materie di legislazione concorrente, non possono derogare», darebbe
luogo anche alla violazione del terzo comma dell’art. 117 Cost.
1.4. – Ritenendo la questione non manifestamente infondata, il
remittente osserva conclusivamente che la stessa risulta rilevante
nel giudizio a quo, «atteso che alla luce del petitum e della causa
petendi (annullamento per illegittimita’ dell’ingiunzione di
pagamento opposta) e’ necessaria la soluzione della questione di
incostituzionalita’», non sussistendo le condizioni per «una lettura
costituzionalmente orientata delle norme in discussione».
2. – E’ intervenuta in giudizio la Regione Toscana, con memoria
depositata il 28 gennaio 2009, chiedendo che la questione sia
dichiarata «inammissibile ed infondata».
3.- E’ intervenuta in giudizio la societa’ «H3G» s.p.a. con atto
depositato in cancelleria il 2 marzo 2009.
3.1. – In limine, la societa’ interveniente – nel ricostruire i
termini dell’iniziativa assunta nel giudizio principale, nonche’
l’evoluzione legislativa intervenuta in materia – sottolinea che
l’art. 93, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003, «al fine di
promuovere ed agevolare l’installazione delle infrastrutture per le
telecomunicazioni», ha sancito che le «pubbliche Amministrazioni, le
Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto
di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,
oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
Cio’ premesso, la societa’ interveniente eccepisce, in via
preliminare, la non assoggettabilita’ del Regolamento comunale al
sindacato di costituzionalita’, richiamando quel costante
orientamento della giurisprudenza della Corte che esclude, per i
regolamenti amministrativi, la possibilita’ del sindacato ex art. 134
Cost.
3.2. – In secondo luogo, viene eccepita «l’inammissibilita’ del
giudizio» per sopravvenuta inefficacia delle norme contenute nella
legge regionale n. 54 del 2000, in quanto incompatibili con il d.lgs.
n. 259 del 2003.
Si assume, infatti, che la necessaria coerenza tra norme di
principio e di dettaglio, operanti nella stessa materia, ha come
conseguenza che «il mutamento delle prime non puo’ non comportare il
mutamento delle seconde». Si richiama, in merito, la giurisprudenza
costituzionale relativa all’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n.
62 (Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della Repubblica),
secondo cui, «in conseguenza del subentrare, nella legislazione
statale, di nuovi principi (espressi o impliciti che siano), bene
puo’ verificarsi l’abrogazione di precedenti norme regionali»
(sentenza n. 40 del 1972).
La societa’ interveniente richiama, a conferma dell’abrogazione
per sopravvenuta incompatibilita’ di norme regionali di dettaglio in
contrasto con norme statali di principio, un consolidato indirizzo
della giurisprudenza sia di legittimita’ che amministrativa.
3.3. ― E’ solo, quindi, in via di subordine che la societa’ «H3G»
s.p.a. ha chiesto la declaratoria di illegittimita’ delle norme
regionali censurate, limitatamente, peraltro, agli artt. 7, comma 6,
e 9, comma 6, della legge regionale n. 54 del 2000.
Difatti, l’art. 6 – che si compone di un solo comma, diviso in
quattro lettere (diversamente da quanto indicato dal giudice
remittente, che censura un inesistente comma 6) – disciplina
unicamente le funzioni comunali, nulla disponendo, invece,
«relativamente agli oneri per i controlli sanitari per gli impianti
di telefonia mobile».
Quanto, invece, all’illegittimita’ costituzionale dei predetti
artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale della Toscana
n. 54 del 2000, la societa’ «H3G» s.p.a. richiama le sentenze della
Corte costituzionale n. 336 del 2005 e n. 450 del 2006, e dunque la
qualificazione come principio fondamentale, della materia
«ordinamento delle comunicazione», di quello enunciato dall’art. 93
del d.lgs. n. 259 del 2003, disatteso – a suo dire – dalla disciplina
regionale in esame.
4. – Con memoria depositata presso la cancelleria il 16 giugno
2010, la Regione Toscana ha meglio precisato le proprie difese,
insistendo per la declaratoria di non fondatezza della questione
sollevata.
4.1. – Ricostruito il complessivo quadro normativo nel quale si
inseriscono le disposizioni censurate, la difesa della Regione assume
che, «diversamente da quanto sostenuto dalla societa’ «H3G» s.p.a.,
la legge regionale n. 54 del 2000 deve ritenersi tuttora in vigore»,
nonche’ «pienamente compatibile con i principi fondamentali posti
dalla legislazione statale nelle materie qui in argomento».
In particolare, sarebbe da escludere la violazione dell’art. 93
del d.lgs. n. 259 del 2003.
Poiche’ esso, infatti, si limita soltanto a vietare «oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge», senza imporre che tale
legge sia statale, tale condizione risulterebbe senz’altro
soddisfatta dalla legge regionale n. 54 del 2000.
Del resto, la Corte costituzionale ha affermato – prosegue la
difesa regionale, richiamando la sentenza n. 350 del 2008 – che «le
disposizioni del Codice delle comunicazioni intervengono in
molteplici ambiti materiali, diversamente tra loro caratterizzati in
relazione al riparto della competenza legislativa tra Stato e
Regioni», essendo rinvenibili, accanto a titoli di esclusiva
competenza statale e di competenza ripartita, «anche materie di
competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in
particolare, l’"industria" ed il "commercio"».
4.2. – Tanto premesso, poiche’ «il controllo delle emissioni
elettromagnetiche e’ un’attivita’ che attiene alla tutela della
salute, materia di competenza concorrente» e considerato, altresi’,
che lo stesso d.lgs. n. 259 del 2003 fa salvo il rispetto della
normativa in materia di tutela dell’ambiente e della salute, occorre
verificare – secondo la difesa della Regione – «quali siano i
principi fondamentali in materia di controllo sulle emissioni e, di
conseguenza, se questi principi siano stati o meno correttamente
rispettati dalla normativa regionale impugnata».
In proposito, la difesa regionale rileva – innanzitutto – come
gli stessi artt. 107, comma 6, e 185, comma 1, lettera b), del d.lgs.
n. 259 del 2003 prevedano oneri a carico degli esercenti i servizi di
comunicazione elettronica.
Sul punto, inoltre, la Regione Toscana osserva che l’art. 33 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale) non solo prevede che «le tariffe per la copertura dei
costi sopportati dall’autorita’ competente per l’organizzazione e lo
svolgimento delle attivita’ istruttorie, di monitoraggio e controllo
previste dal codice siano applicate ai proponenti», ma stabilisce
anche che, per le stesse finalita’, «le Regioni possono definire
proprie modalita’ di quantificazione e corresponsione degli oneri da
porre in capo ai proponenti».
Parimenti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11, comma
3, e 18 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione
integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e
riduzione integrate dell’inquinamento), le «spese occorrenti per
effettuare i rilievi, gli accertamenti ed i sopralluoghi necessari
per l’istruttoria delle domande di autorizzazione integrata
ambientale e per i successivi controlli previsti dall’art. 11, comma
3, sono a carico del gestore».
E’ lo stesso legislatore statale, dunque, ad ammettere che le
Regioni possano intervenire a disciplinare gli oneri conseguenti ai
controlli effettuati per finalita’ di tutela della salubrita’
ambientale.
Ne’, d’altra parte, indicazioni in senso contrario sembrano
ricavabili – sempre secondo la difesa regionale – dalle sentenze n.
336 del 2005 e n. 450 del 2006 della Corte costituzionale, giacche’
le stesse avrebbero censurato soltanto la scelta del legislatore
regionale «di stabilire la misura dei predetti oneri economici senza,
pero’, prevedere alcun criterio di determinazione quantitativa degli
stessi» (e’ citata, in particolare, la seconda di tali sentenze).
Evenienza, questa, da escludere nel caso di specie, giacche’ tali
criteri «sono quelli stabiliti dal tariffario ARPAT» ed individuati,
oggi, dalla legge della Regione Toscana 22 giugno 2009, n. 30,
recante «Nuova disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione
ambientale della Toscana (ARPAT)».
Infine, la difesa regionale nega «che in Toscana si operi
diversamente da quanto avviene nel resto del territorio nazionale».
Cita, al riguardo, le scelte compiute nelle Regioni Lombardia,
Marche, Molise e Puglia e consistite nell’adozione di norme che – in
sostanziale applicazione del principio cuius commoda, eius et
incommoda – hanno posto «gli oneri dei controlli a carico dei gestori
degli impianti», cio’ che, oltretutto, escluderebbe che «l’asserita
disparita’ di trattamento e violazione della concorrenza» abbia
realmente «il rilievo lamentato».

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale ordinario di Pisa ha sollevato – in riferimento
agli articoli 3 e 117, commi primo e terzo, della Costituzione –
questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 6, «comma 6»,
7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile
2000, n. 54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione)
e dell’art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa per
l’installazione, il monitoraggio e la localizzazione degli impianti
di telefonia mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale
del 2 dicembre 2003, n. 104.
1.1. – In particolare, il giudice a quo assume che gli atti
normativi in contestazione sarebbero costituzionalmente illegittimi
nello stabilire che gli oneri relativi all’effettuazione di verifiche
e controlli degli impianti radio base della telefonia mobile,
esistenti sul territorio della Regione Toscana (e in particolare nel
Comune di Pisa), siano posti a carico dei titolari di detti impianti.
Tali atti derogherebbero agli artt. 4 e 93 del decreto
legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche), atteso che, in particolare, il secondo dei citati
articoli stabilisce che le «pubbliche amministrazioni, le Regioni, le
Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per
l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri e canoni
che non siano stabiliti per legge». In tal modo la disciplina
regionale in contestazione (della quale il Regolamento comunale
censurato costituirebbe pedissequa attuazione), «imponendo per le
attivita’ inerenti al proprio territorio oneri e costi non previsti
da altre Regioni, relativamente alle verifiche e controlli degli
impianti radio-base», determinerebbe «una disparita’ di trattamento
tra operatori economici la cui attivita’ e’ distribuita sul
territorio nazionale», donde la violazione dell’art. 3 Cost.
Sarebbero, inoltre, violati i commi primo e terzo dell’art. 117
Cost.
Per un verso, infatti, l’imposizione di oneri e costi non
contemplati in altre Regioni darebbe luogo ad «un’alterazione del
sistema concorrenziale del mercato nazionale, in violazione della
normativa comunitaria», la quale, tra l’altro, prescrive «che le
procedure previste per la concessione del diritto di installare le
predette infrastrutture di comunicazione elettronica debbano essere
tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che
vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed
effettiva» (in tal senso dispone il ventiduesimo "considerando" della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, n.
2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed
i servizi di comunicazione elettronica).
Per altro verso, la disciplina normativa in esame,
nell’introdurre una «deroga all’art. 93» del d.lgs. n. 259 del 2003,
si porrebbe in contrasto «con la menzionata norma statale che esprime
un principio fondamentale cui le Regioni, nella materie di
legislazione concorrente, non possono derogare».
2. – Cio’ premesso, in via preliminare deve essere dichiarata
l’inammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale,
sia nella parte in cui investe l’art. 19 del Regolamento del Comune
di Pisa, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre
2003, n. 104, sia nella parte in cui ha ad oggetto l’art. 6 della
legge della Regione Toscana n. 54 del 2000.
2.1. – In relazione, difatti, alla censura che investe la citata
disposizione regolamentare, questa Corte non puo’ che ribadire come
essa costituisca «norma sottratta al sindacato di costituzionalita’»
(ex multis, ordinanza n. 192 del 2010; nello stesso senso, da ultimo,
anche sentenza n. 58 del 2010 e ordinanza n. 59 del 2009).
2.2. – Quanto, invece, all’art. 6 della legge regionale in esame
(censurato, peraltro, dal Tribunale rimettente in un inesistente
«comma 6»), deve rilevarsi che esso si limita a disciplinare le
funzioni comunali in materia di impianti di radiocomunicazione, tra
le quali rilevano anche – lettera c) – quelle «di vigilanza e di
controllo secondo quanto previsto dall’art. 9».
E’, pertanto, soltanto nell’art. 9 che si rinviene la
disposizione che pone – al comma 6 – «a carico dei titolari degli
impianti fissi per la telefonia mobile, nonche’ dei concessionari per
radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere
commerciale» gli «oneri relativi all’effettuazione dei controlli»
compiuti dall’ARPAT e «finalizzati a garantire: a) il rispetto dei
limiti di esposizione e delle misure di cautela, di cui agli articoli
3 e 4 del decreto ministeriale n. 381 del 1998; b) l’attuazione, da
parte dei soggetti obbligati, delle azioni di risanamento previste
dall’articolo 8; c) il mantenimento dei parametri tecnici
dell’impianto dichiarati dal gestore ai sensi dell’articolo 5, comma
3» (cosi’ testualmente, il comma 3 del medesimo art. 9).
L’art. 6, lettera c), non contiene, dunque, una norma che
disciplina il profilo della ripartizione degli oneri economici
conseguenti ai controlli effettuati dall’ARPAT, sicche’ essa – oltre
a non porsi in contrasto, di per se’, con l’art. 93 del d.lgs. n. 259
del 2003 – non viene neppure in rilievo nel giudizio a quo, che ha ad
oggetto l’impugnativa del provvedimento che ha ingiunto il pagamento
di somme, tra l’altro, proprio per l’effettuazione di tali controlli.
La questione relativa all’art. 6 e’, pertanto, inammissibile per
difetto di rilevanza nel giudizio principale.
3. – La questione relativa agli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6,
della legge regionale in esame, oltre ad essere ammissibile, e’ anche
fondata.
3.1.- In limine, deve essere disattesa l’eccezione sollevata
dalla difesa della parte privata, intervenuta nel presente giudizio,
secondo cui le norme censurate dovrebbero ritenersi abrogate
tacitamente per sopravvenuta incompatibilita’ con l’art. 93 del
d.lgs. n. 259 del 2003.
Sul punto e’ necessario premettere che il «controllo sull’attuale
vigenza di una norma giuridica spetta istituzionalmente al giudice
comune e precede ogni possibile valutazione sulla legittimita’
costituzionale della medesima norma» (sentenza n. 222 del 2007).
Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale remittente, nel negare
che ricorrano le condizioni per «una lettura costituzionalmente
orientata delle norme in discussione», ha, di fatto, implicitamente
escluso la possibilita’ – suggerita dalla difesa della parte privata
– di risolvere il contrasto tra le disposizioni regionali e la citata
norma statale in applicazione dell’art. 10 della legge 10 febbraio
1953, n. 62 (Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della
Repubblica), cioe’ ritenendo abrogate le prime per sopravvenuta e
diretta incompatibilita’ con la seconda.
Anche nel caso in esame, quindi, come in quello in cui il giudice
a quo escluda espressamente, con affermazione non palesemente
infondata, la ricorrenza di un fenomeno abrogativo, questa Corte non
puo’ che rilevare come «ragioni essenziali di certezza del diritto»
impongano, di fronte a un contrasto tra le disposizioni di legge
regionale censurate e una successiva norma di principio statale, di
«dichiarare l’illegittimita’ costituzionale delle norme sottoposte al
proprio giudizio» (sentenza n. 153 del 1995).
3.2. – Tanto premesso, deve osservarsi che gli artt. 7, comma 6,
e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000
violano l’art. 117, terzo comma, Cost.
Sul punto, occorre rilevare, innanzitutto, che la giurisprudenza
costituzionale ha ritenuto l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003
«espressione di un principio fondamentale» della materia
dell’ordinamento delle comunicazioni, «in quanto persegue la
finalita’ di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme
e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre
a carico degli stessi oneri o canoni» (sentenza n. 336 del 2005, in
particolare, punto 15.1. del Considerato in diritto). Su queste basi
si e’, dunque, precisato che, in «mancanza di un tale principio»,
ogni singola Regione «potrebbe liberamente prevedere obblighi
"pecuniari" a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio,
con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione
rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali
obblighi potrebbero non essere imposti». In forza di tali rilievi,
pertanto, questa Corte e’ pervenuta alla conclusione che «la
finalita’ della norma e’ anche quella di "tutela della concorrenza",
sub specie di garanzia di parita’ di trattamento e di misure volte a
non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (ancora
sentenza n. 336 del 2005, punto 15.1. del Considerato in diritto).
Tali principi sono stati, inoltre, puntualizzati da questa Corte
con la sentenza n. 450 del 2006, che si e’ pronunciata sulla
legittimita’ costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo
comma Cost., proprio in ragione dell’ipotizzato contrasto con l’art.
93 del d.lgs. n. 259 del 2003, degli artt. 6, comma 4, e 15 della
legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste 4 novembre
2005, n. 25, recante «Disciplina per l’installazione, la
localizzazione e l’esercizio di stazioni radioelettriche e di
strutture di radiotelecomunicazioni. Modificazioni alla legge
regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di
pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), e abrogazione della
legge regionale 21 agosto 2000, n. 31».
In particolare, con tale sentenza si e’ affermato come la
previsione da parte del legislatore regionale «di oneri economici
posti a carico degli operatori, in relazione all’attivita’ di
consulenza tecnica svolta dall’ARPA», sia «suscettibile di
determinare un trattamento discriminatorio e non uniforme tra gli
operatori del settore, con conseguente violazione del principio
fissato dal legislatore statale» (cioe’ proprio quello desumibile
dall’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003), con la conseguenza della
illegittimita’ costituzionale della censurata disciplina valdostana.
Nella medesima sentenza e’ stato anche disatteso l’argomento
svolto in quella sede dalla difesa regionale (secondo cui «gli oneri
in esame altro non sarebbero che corrispettivi per l’attivita’ di
consulenza svolta dall’ARPA in favore degli operatori di settore»),
osservandosi che l’ARPA non svolge «una attivita’ di consulenza
liberamente richiesta dalle parti, bensi’ una attivita’
autoritativamente prevista», ponendosi, difatti, il parere reso da
tale ente come «un momento procedimentale obbligatorio», tale da far
emergere «il carattere autoritativo ed impositivo della prestazione
pecuniaria stessa».
3.3. – Orbene, le suddette considerazioni valgono anche per gli
artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana n.
54 del 2000 ora in esame.
In relazione, infatti, alla prima delle citate norme (che – come
si e’ detto – pone «a carico dei richiedenti l’autorizzazione»
all’installazione od alla modifica degli impianti di telefonia mobile
gli «oneri relativi allo svolgimento dei controlli effettuati
dall’ARPAT all’atto del rilascio dell’autorizzazione), la sentenza n.
450 del 2006 di questa Corte assume valore di precedente specifico,
giacche’ anche le disposizioni allora dichiarate costituzionalmente
illegittime riguardavano proprio le spese per l’attivita’ di
consulenza tecnica svolta dall’ARPA nell’ambito dei procedimenti
autorizzatori.
Ad analoga conclusione si deve pervenire anche per l’art. 9,
comma 6, della stessa legge regionale, che pone a carico «dei
titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonche’ dei
concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e
televisivi a carattere commerciale» gli oneri relativi
all’effettuazione dei controlli, compiuti dall’ARPAT nell’ambito
delle sue funzioni «di vigilanza e controllo».
A favore di tale esito dello scrutinio di costituzionalita’
depone, innanzitutto, la formulazione letterale dell’art. 93 del
d.lgs. n. 259 del 2003, che stabilisce un divieto di imposizione di
oneri e canoni «per l’impianto di reti» e «per l’esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica»; formula che, nel suo carattere
generico, include anche la fattispecie contemplata dal predetto art.
9, comma 6 (e non soltanto quella di cui al precedente art. 7, comma
6), della legge regionale in esame.
Inoltre, se lo scopo del citato art. 93 e’ quello di impedire che
le Regioni possano «liberamente prevedere obblighi "pecuniari" a
carico dei soggetti operanti sul proprio territorio» e, dunque, di
scongiurare il rischio «di una ingiustificata discriminazione
rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali
obblighi potrebbero non essere imposti», deve rilevarsi come tale
esigenza si ponga, nello stesso modo, per tutti gli obblighi
pecuniari, siano essi imposti in occasione del rilascio
dell’autorizzazione ovvero previsti per interventi di vigilanza e di
controllo che si rendano necessari nel corso dello svolgimento del
servizio e che, dunque, siano inerenti al rapporto instauratosi con
l’amministrazione proprio in forza dell’originario titolo
autorizzativo.
Ne’, infine, puo’ sottacersi la circostanza – messa in luce dalla
parte privata intervenuta nel presente giudizio – secondo cui gli
oneri di cui al citato art. 9, comma 6, si presentano del tutto
«imprevedibili, in quanto non predeterminati, non conosciuti e non
quantificabili in anticipo dai gestori di telefonia al momento
dell’attivazione degli impianti», non avendo provveduto, nella
specie, la Giunta regionale ad individuare «tutte le modalita’
tecniche e procedurali per lo svolgimento dei controlli» in
questione.
Tale circostanza evidenzia, vieppiu’, l’illegittimita’
costituzionale della norma suddetta, come si evince, d’altronde,
anche dalla citata sentenza n. 450 del 2006.
Difatti, alla necessita’ di pervenire ad una pronuncia
caducatoria delle norme regionali valdostane, sopra meglio
identificate, non e’ stata estranea la considerazione che esse
demandavano «alla Giunta regionale di stabilire la misura dei
predetti oneri economici senza, pero’, prevedere alcun criterio di
determinazione quantitativa degli stessi».
4. – Neppure, d’altra parte, ad escludere la declaratoria di
illegittimita’ costituzionale degli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6,
della legge regionale censurata, possono valere i rilievi svolti
dalla difesa della Regione Toscana.
4.1. – Essa, innanzitutto, deduce che «la legittima imposizione
di oneri per i controlli» sarebbe «prevista anche dal d.lgs. n. 259
del 2003». Ai sensi, infatti, dell’art. 107, comma 6, alla
dichiarazione dell’interessato, finalizzata al rilascio
dell’autorizzazione, devono essere allegati, tra gli altri, «gli
attestati dell’avvenuto versamento del contributo a titolo di
rimborso delle spese riguardanti l’attivita’ di vigilanza e controllo
relativo al primo anno da cui decorre l’autorizzazione generale»;
analogamente, l’art. 185, comma 1, lettera b), del medesimo decreto
legislativo, pone a carico dei titolari delle gestioni
radioelettriche su navi un «contributo annuo per verifiche e
controlli».
Nondimeno, tale circostanza non comporta – come ipotizzato dalla
difesa regionale, in particolare nel corso della discussione in
udienza – alcuna antinomia con l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Quest’ultima norma, infatti, non esclude in assoluto la
possibilita’ di imposizione di oneri o canoni per l’impianto di reti
o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,
prescrivendo che essi debbano essere, in ogni caso, stabiliti per
atto legislativo, e dunque anche con lo stesso d.lgs. n. 259 del
2003.
4.2. – La difesa regionale, inoltre, nell’evidenziare che «il
controllo delle emissioni elettromagnetiche e’ un’attivita’ che
attiene alla tutela della salute, materia di competenza concorrente»
e che lo stesso decreto legislativo n. 259 del 2003 fa salvo il
rispetto della normativa in materia di tutela dell’ambiente e della
salute, ritiene di individuare, nella stessa legislazione statale, un
principio in forza del quale le Regioni avrebbero liberta’ di
disciplinare anche il profilo attinente alla ripartizione degli oneri
economici conseguenti ai controlli effettuati per finalita’ di tutela
della salubrita’ ambientale. In particolare, sono citati, sul punto,
l’art. 33 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), nonche’ gli artt. 11, comma 3, e 18 del decreto
legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della
direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate
dell’inquinamento).
Nello svolgere simili rilievi, tuttavia, la difesa regionale non
tiene conto della circostanza che, per le comunicazioni elettroniche,
il disposto dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003 si pone come lex
specialis non suscettibile di deroga, dettando una disciplina che
esclude, per gli operatori di quel settore, l’imposizioni di oneri e
canoni che non siano previsti dalla legge statale.
4.3. – L’illegittimita’ costituzionale delle censurate
disposizioni regionali non puo’ essere, infatti, neppure esclusa in
base al rilievo che il citato art. 93 si limiterebbe a sancire una
riserva di legge per cosi’ dire «generica»; cio’ che, pertanto, non
precluderebbe un intervento delle Regioni, purche’ esso sia disposto
con atto legislativo.
Sul punto e’ sufficiente osservare che la citata disposizione ha
inteso riferirsi, con tutta evidenza, alla sola legge statale.
E’ quanto si desume, in primo luogo, dalla circostanza che il
richiamo alla legge, contenuto in una norma dello Stato, deve essere
interpretato – in assenza di ulteriori specificazioni – come rinvio
ad una fonte legislativa comunque di provenienza statale.
In secondo luogo, l’accoglimento dell’opzione ermeneutica
suggerita dalla difesa regionale avrebbe come effetto di contraddire
la stessa ratio legis, come individuata da questa Corte nella gia’
citata sentenza n. 336 del 2005, e cioe’ evitare che ogni Regione
possa «liberamente prevedere obblighi "pecuniari" a carico dei
soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di
una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre
Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere
imposti».
5. – Sulla scorta delle considerazioni che precedono deve,
dunque, pervenirsi alla declaratoria di illegittimita’ costituzionale
degli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione
Toscana n. 54 del 2000, per violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., con conseguente assorbimento delle altre censure.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale degli articoli 7, comma
6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n.
54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione);
Dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 6 della medesima legge della Regione
Toscana n. 54 del 2000 e dell’articolo 19 del Regolamento del Comune
di Pisa per l’installazione, il monitoraggio e la localizzazione
degli impianti di telefonia mobile, approvato con delibera del
Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104, sollevata – in
riferimento agli articoli 3 e 117, commi primo e terzo, della
Costituzione – dal Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Quaranta

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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