Corte Costituzionale, Sentenza n. 274, giudizi per conflitti di attribuzione tra enti

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Sentenza

nei giudizi per conflitti di attribuzione tra enti sorti a seguito
del decreto del Ministro dell’interno dell’8 agosto 2009, recante:
«Determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di
osservatori volontari, requisiti per l’iscrizione nell’elenco
prefettizio e modalita’ di tenuta dei relativi elenchi, di cui ai
commi da 40 a 44 dell’articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94»,
promossi dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna con ricorsi
notificati il 5 ed il 7 ottobre 2009, depositati in cancelleria l’8
ed il 13 ottobre 2009 ed iscritti ai nn. 10 e 11 del registro
conflitti tra enti 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore
Giuseppe Frigo;
Uditi gli avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana,
Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello
Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 5 ottobre 2009 e depositato il
successivo 8 ottobre (reg. confl. enti n. 10 del 2009), la Regione
Toscana ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del
Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del
Ministro dell’interno 8 agosto 2009, pubblicato nella Gazzetta
ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 183 dell’8 agosto
2009, recante «Determinazione degli ambiti operativi delle
associazioni di osservatori volontari, requisiti per l’iscrizione
nell’elenco prefettizio e modalita’ di tenuta dei relativi elenchi,
di cui ai commi da 40 a 44 dell’articolo 3 della legge 15 luglio
2009, n. 94», prospettando la violazione dell’art. 117, commi
secondo, lettera h), quarto e sesto, della Costituzione e del
principio di leale collaborazione.
La ricorrente espone che con il decreto impugnato e’ stata data
attuazione ai commi da 40 a 44 dell’art. 3 della legge 15 luglio
2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), i quali
consentono ai sindaci di avvalersi della collaborazione di
associazioni di cittadini ai fini della segnalazione alle Forze di
polizia dello Stato o locali di eventi pericolosi per la sicurezza
urbana ovvero di situazioni di disagio sociale. La ricorrente deduce,
altresi’, di avere gia’ proposto questione di legittimita’
costituzionale in via principale nei confronti delle disposizioni di
cui ai commi 40, 41, 42 e 43 del citato 3, per contrasto con i
medesimi parametri dianzi indicati.
Come rilevato in tale sede, dette disposizioni non potrebbero
essere infatti inquadrate nella materia «ordine pubblico e
sicurezza», nella quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva
(art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.): materia da intendere,
per consolidata giurisprudenza costituzionale, in senso restrittivo,
e cioe’ come comprensiva dei soli interventi finalizzati alla
prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso,
quest’ultimo, quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli
interessi pubblici primari sui cui si regge l’ordinata e civile
convivenza nella comunita’ nazionale.
In assenza di ogni indicazione limitativa in tale direzione, il
concetto di «sicurezza urbana» abbraccerebbe, infatti, anche misure
volte a contrastare il degrado delle citta’ e a favorire l’ordinato
sviluppo delle relazioni socio-economiche, riconducibili alla materia
«polizia amministrativa locale», di competenza regionale esclusiva
(art. 117, comma secondo, lettera h, e quarto, Cost.). A sua volta,
l’espressione «disagio sociale» comprenderebbe situazioni di
difficolta’ di integrazione dell’individuo nel tessuto sociale
derivanti dalle piu’ varie cause, evocative, come tali, di interventi
rientranti nella materia «politiche sociali», anch’essa di competenza
regionale residuale: competenza che la ricorrente ha, in effetti,
esercitato con la legge regionale 24 febbraio 2005, n. 41 (Sistema
integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di
cittadinanza sociale), il cui art. 58 prevede specificamente
l’adozione di «politiche per le persone a rischio di esclusione
sociale».
Tali considerazioni varrebbero anche in rapporto al decreto
ministeriale attuativo su cui si fonda l’odierno conflitto. I suoi
primi sette articoli devolvono, infatti, al prefetto – cioe’ ad un
rappresentante territoriale del Governo – senza alcun coinvolgimento
delle Regioni, tutte le funzioni e le competenze: in specie, la
tenuta dell’elenco delle associazioni di osservatori (art. 1), la
definizione del contenuto delle convenzioni che i sindaci possono
stipulare con le associazioni stesse (art. 4, comma 2), la revoca
delle iscrizioni (art. 6) e la revisione degli elenchi (art. 7);
realizzando, con cio’, una inammissibile intromissione nelle
attribuzioni regionali in materia di «polizia amministrativa locale»
e di «politiche sociali». Meramente eventuale e del tutto marginale
sarebbe, d’altronde, la forma di partecipazione delle Regioni
prefigurata dall’art. 8 del decreto, concernente l’organizzazione di
corsi di formazione e di aggiornamento per gli osservatori volontari.
Risulterebbe violato, di conseguenza, anche l’art. 117, sesto
comma, Cost., in forza del quale lo Stato puo’ esercitare la potesta’
regolamentare solo nelle materie di sua competenza legislativa
esclusiva: violazione tanto piu’ evidente ove si consideri che la
ricorrente ha gia’ disciplinato la materia con la legge regionale 3
aprile 2006, n. 12 (Norme in materia di polizia comunale e
provinciale), il cui art. 7 prevede specificamente che i comuni e le
province possano stipulare convenzioni con le associazioni di
volontariato iscritte nel registro regionale, «per realizzare
collaborazioni tra queste ultime e le strutture di polizia locale
rivolte a favorire l’educazione alla convivenza, al senso civico e al
rispetto della legalita’».
Particolarmente lesiva, per questo verso, risulterebbe la norma
transitoria di cui all’art. 9 del decreto impugnato, la quale –
incidendo sulla citata disciplina regionale – consente alle
associazioni che gia’ collaboravano con le autorita’ locali di
continuare ad esercitare l’attivita’ solo per un limitato periodo di
tempo, dovendo indi uniformarsi a quanto stabilito dal decreto
censurato e, dunque, passare sotto la vigilanza del prefetto.
Da ultimo, l’atto impugnato risulterebbe lesivo del principio di
leale collaborazione, giacche’, disciplinando ambiti di competenza
regionale, avrebbe dovuto prevedere quantomeno l’intesa con le
Regioni interessate o, comunque, adeguate forme di concertazione con
queste ultime.
Per le ragioni esposte, la ricorrente chiede che la Corte
dichiari che il decreto ministeriale censurato e’ lesivo delle
attribuzioni regionali e, per l’effetto, lo annulli.
2. – Avverso il medesimo decreto ministeriale ha proposto
conflitto di attribuzione anche la Regione Emilia-Romagna con ricorso
notificato il 7 ottobre 2009 e depositato il successivo 13 ottobre
(reg. confl. enti n. 11 del 2009), denunciando la violazione degli
artt. 117, secondo, quarto e sesto comma, e 118 Cost., nonche’ del
principio di leale collaborazione.
Premesso di avere anch’essa proposto questione di legittimita’
costituzionale in via principale nei confronti delle norme
legislative statali attuate dal decreto impugnato, la ricorrente
rileva come l’accoglimento di tale questione comporterebbe
automaticamente l’illegittimita’ del decreto attuativo, per lesione
delle prerogative costituzionali della Regione: in particolare, per
avere disciplinato materie quali la «polizia amministrativa locale»,
la «sicurezza urbana» (in quanto materia ulteriore rispetto
all’«ordine pubblico e sicurezza») e il «disagio sociale», che l’art.
117, secondo e quarto comma, Cost., riserverebbe alla potesta’
legislativa regionale.
Il decreto impugnato risulterebbe emesso anche in violazione del
sesto comma dell’art. 117 Cost., che limita la potesta’ regolamentare
dello Stato alle materie di cui al secondo comma dello stesso
articolo.
Passando quindi analiticamente in rassegna i contenuti del
decreto, la ricorrente rileva come ne resti avvalorata la conclusione
che esso disciplina l’attivita’ dei volontari in relazione ai servizi
di polizia amministrativa locale: attivita’ che la Regione
Emilia-Romagna ha regolato con la legge 4 dicembre 2003, n. 24
(Disciplina della polizia amministrativa locale e promozione di un
sistema integrato di sicurezza).
Rimarchevole sarebbe la circostanza che, malgrado cio’, non venga
riconosciuto alcun ruolo alle Regioni, fatta eccezione per quanto
previsto dall’art. 8, in tema di organizzazione di corsi di
formazione e aggiornamento per gli osservatori volontari:
disposizione da considerare, peraltro, anch’essa illegittima, non
spettando al regolamento statale prevedere e disciplinare l’attivita’
regionale di formazione.
Anche la Regione Emilia-Romagna ravvisa, d’altro canto, nella
disposizione transitoria dell’art. 9 – concernente le associazioni
che gia’ svolgevano attivita’ di volontariato «comunque
riconducibili» alle previsioni dell’art. 3, comma 40, della legge n.
94 del 2009 – una palese interferenza con la disciplina regionale
gia’ in vigore, dettata, nella specie, dalla citata legge n. 24 del
2003.
La ricorrente assume, inoltre, che talune disposizioni del
decreto, tra cui quelle da ultimo indicate, andrebbero oltre la
stessa previsione dell’art. 3, comma 43, della legge n. 94 del 2009,
secondo la quale il Ministro dell’interno era chiamato solo a
determinare gli ambiti operativi delle associazioni di osservatori
volontari, i requisiti per la loro iscrizione negli appositi elenchi
e le modalita’ di tenuta di questi. Per tale parte, l’atto impugnato
sarebbe dunque illegittimo in via autonoma, e non gia’ come
conseguenza dell’incostituzionalita’ delle norme legislative attuate.
In via subordinata, e per l’ipotesi in cui si ritenesse
sussistente una esigenza di disciplina unitaria delle attivita’ di
volontariato in relazione alle materie «ordine pubblico e sicurezza»
e «polizia amministrativa locale», la Regione Emilia-Romagna lamenta
che, in violazione del principio di leale collaborazione, il decreto
impugnato sia stato emanato senza la previa intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, ovvero, in via di ulteriore subordine, senza avere
sentito tale Conferenza (o la Conferenza unificata), rimarcando come
la previsione di «forme di coordinamento» con le Regioni nella
materia «ordine pubblico e sicurezza» risulti doverosa anche alla
luce dello specifico disposto dell’art. 118, terzo comma, Cost.
Alla luce di tali considerazioni, la ricorrente chiede, quindi,
che la Corte dichiari che non spettava allo Stato adottare, a mezzo
del Ministro dell’interno, l’atto impugnato e, conseguentemente, lo
annulli.
3. – Si e’ costituito, in entrambi i giudizi, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Ad avviso della difesa dello Stato, l’attivita’ degli osservatori
volontari sarebbe, in realta’, integralmente riconducibile alla
materia «ordine pubblico e sicurezza»: e cio’ quantomeno alla luce
del criterio della prevalenza, di cui la giurisprudenza
costituzionale ha gia’ fatto specifica applicazione in rapporto a
situazioni di astratto concorso con la competenza regionale in
materia di «polizia amministrativa locale».
Quanto, infatti, al concetto di «sicurezza urbana», la relativa
definizione, offerta dal decreto del Ministro dell’interno 5 agosto
2008, e’ gia’ passata al vaglio della Corte costituzionale, che, con
la sentenza n. 196 del 2009 – emessa a seguito di un conflitto di
attribuzione proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano – ha
ritenuto che detto decreto concerna esclusivamente la tutela della
sicurezza pubblica, intesa come attivita’ di prevenzione e
repressione dei reati.
Neppure il riferimento alle «situazioni di disagio sociale»
intaccherebbe le competenze regionali, e in particolare quella
relativa ai «servizi sociali». Gli osservatori volontari non
sarebbero, infatti, chiamati ad erogare tali servizi, ma soltanto a
segnalare situazioni critiche riscontrate nel corso del loro operato.
Parimenti infondate risulterebbero le censure di violazione del
principio di leale collaborazione. La piena competenza statale in
materia renderebbe, infatti, del tutto legittimi i meccanismi
configurati dal legislatore per le predisposizione degli elenchi
delle associazioni, la disciplina degli iscritti e il controllo sugli
stessi. Ne’ potrebbero invocarsi forme di coordinamento ulteriori
rispetto a quelle insite nel previsto coinvolgimento, in forma
consultiva, del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza
pubblica, alle cui sedute possono essere chiamati a partecipare i
responsabili degli enti locali.
4. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica, entrambe le Regioni
ricorrenti hanno depositato memorie illustrative, volte a contestare
le tesi della difesa dello Stato.
Le ricorrenti rilevano, in particolare, come la definizione della
«sicurezza urbana» offerta dal decreto ministeriale del 2008 sia
stata ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla Corte sulla
base di specifici argomenti esegetici, non riproponibili in rapporto
al decreto oggi impugnato. Ne’ – secondo la Regione Toscana – sarebbe
comunque possibile una lettura delle disposizioni censurate che eviti
la lesione delle competenze regionali, perche’ cio’ significherebbe
affidare a privati cittadini una funzione necessariamente pubblica
(quale quella della prevenzione dei reati e del mantenimento
dell’ordine pubblico).
Quanto, poi, alle situazioni di «disagio sociale», anche
l’attivita’ di mera segnalazione rientrerebbe nella competenza
regionale in materia di «politiche sociali», non essendo ipotizzabile
che alle Regioni spetti solo il compito di intervenire ex post –
quando, cioe’, le situazioni di disagio sono gia’ insorte – lasciando
allo Stato la determinazione della disciplina applicabile
all’attivita’ di prevenzione.
Ne’, d’altro canto, la competenza statale potrebbe essere
affermata sulla base del criterio della prevalenza, giacche’, a tacer
d’altro, mancherebbe il relativo presupposto di applicabilita’,
rappresentato dall’identita’ di ratio delle disposizioni oggetto di
censura.
Del tutto inidoneo a soddisfare il principio di leale
collaborazione sarebbe, infine, il previsto intervento del comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (circoscritto,
peraltro, alla formulazione di un parere circa il possesso, da parte
delle associazioni, dei requisiti necessari ai fini dell’iscrizione
nell’elenco), anche perche’ in tale organo possono essere coinvolti i
responsabili degli enti locali, ma non anche quelli della Regione
interessata.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna hanno proposto
conflitti di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio
dei ministri, in relazione al decreto del Ministro dell’interno 8
agosto 2009, recante disposizioni attuative dei commi da 40 a 44
dell’articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), i quali prevedono che i sindaci
possano avvalersi, alle condizioni e con le modalita’ ivi stabilite,
della collaborazione di associazioni di cittadini non armati al fine
di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali «eventi che
possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di
disagio sociale».
Premesso di avere proposto questioni di legittimita’ in via
principale nei confronti delle norme legislative attuate, le
ricorrenti deducono che, per le medesime ragioni esposte in quella
sede, anche la disciplina recata dal decreto attuativo risulterebbe
lesiva delle attribuzioni regionali. Essa esorbiterebbe, infatti,
dall’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di
competenza esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettera h,
Cost.): materia da intendere, per consolidata giurisprudenza
costituzionale, in senso restrittivo, ossia come comprensiva dei soli
interventi finalizzati alla prevenzione dei reati o al mantenimento
dell’ordine pubblico.
Il concetto di «sicurezza urbana» abbraccerebbe, infatti, anche
misure volte a contrastare il degrado delle citta’ e a favorire
l’ordinato sviluppo della convivenza civile, riconducibili alla
materia «polizia amministrativa locale», di competenza regionale
esclusiva, ai sensi dei commi secondo, lettera h), e quarto dell’art.
117 Cost.; mentre la formula «disagio sociale» comprenderebbe
situazioni di emarginazione della piu’ varia origine, da fronteggiare
con interventi rientranti nella materia «politiche sociali»,
anch’essa di competenza regionale residuale.
Sarebbe quindi violato anche il sesto comma dell’art. 117 Cost.,
avendo lo Stato esercitato una potesta’ regolamentare in materia non
di propria competenza legislativa esclusiva: violazione
particolarmente apprezzabile in rapporto alla norma transitoria
dell’art. 9 del decreto, che impone alle associazioni di
volontariato, gia’ operanti in ambiti «comunque riconducibili» a
quelli considerati, di uniformarsi – dopo un breve lasso di tempo –
alle previsioni del decreto stesso, con conseguente interferenza su
rapporti regolati da leggi regionali in vigore.
Le ricorrenti censurano, per altro verso, che il decreto demandi
al prefetto ogni competenza – segnatamente in rapporto alla tenuta
dell’elenco delle associazioni, alla definizione del contenuto delle
convenzioni stipulate con esse dai sindaci, alla revoca delle
iscrizioni e alla revisione degli elenchi – senza contemplare alcuna
forma di coinvolgimento delle Regioni, fatta eccezione per quella,
del tutto marginale, prefigurata all’art. 8, attinente
all’organizzazione di corsi di formazione e aggiornamento dei
volontari: donde – secondo la Regione Toscana – anche la violazione
del principio di leale collaborazione.
In via subordinata, la Regione Emilia-Romagna lamenta – sotto il
profilo della violazione del medesimo principio – che il decreto sia
stato emanato senza la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni
o, in via di ulteriore subordine, senza avere sentito tale Conferenza
(o la Conferenza unificata), rimarcando come la previsione di «forme
di coordinamento» con le Regioni nella materia dell’ordine pubblico e
sicurezza debba ritenersi doverosa anche alla luce dello specifico
disposto dell’art. 118, terzo comma, Cost., che risulterebbe, dunque,
esso pure violato.
2. – I ricorsi sollevano conflitti di attribuzione aventi ad
oggetto il medesimo atto e basati su censure in larga parte analoghe,
sicche’ i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con
unica decisione.
3. – In via preliminare, va rilevato che, successivamente alla
proposizione dei ricorsi, il decreto ministeriale impugnato e’ stato
oggetto di modifica ad opera del decreto del Ministro dell’interno 4
febbraio 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
serie generale, n. 30 del 6 febbraio 2010.
Si e’ trattato, peraltro, di modifiche marginali (soppressione
del divieto, per gli osservatori volontari, di avvalersi di mezzi
motorizzati; proroga del termine entro il quale le associazioni gia’
operanti possono continuare l’attivita’ in difetto di iscrizione
nell’elenco), manifestamente prive di incidenza sul thema decidendum.
4. – Nel merito, i ricorsi sono parzialmente fondati, secondo
quanto di seguito specificato.
4.1. – Nelle more del giudizio, questa Corte si e’ pronunciata,
con la sentenza n. 226 del 2010, sulle questioni di legittimita’
costituzionale proposte dalle ricorrenti, aventi ad oggetto le norme
legislative cui si e’ proposto di dare attuazione il decreto
ministeriale impugnato (art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge n.
94 del 2009).
Nell’occasione, la Corte ha preliminarmente rimarcato come la
normativa concernente gli osservatori volontari venisse vagliata
nella sola prospettiva della verifica della denunciata invasione
delle competenze regionali, avuto riguardo, in specie, alla spettanza
del potere di stabilire le condizioni alle quali i Comuni possono
avvalersi della collaborazione di associazioni di privati per il
controllo del territorio; mentre restava affatto estraneo allo
scrutinio – e dunque impregiudicato, ai sensi dell’art. 18, primo
comma, Cost. – il diritto di associazione dei cittadini ai fini dello
svolgimento dell’attivita’ di segnalazione descritta dalle
disposizioni censurate. Questo rilievo vale evidentemente anche con
riferimento al giudizio odierno.
Cio’ premesso, si e’ osservato, nella citata sentenza n. 226 del
2010, come il problema nodale posto dai quesiti di costituzionalita’
attenesse alla valenza delle formule «sicurezza urbana» e «situazioni
di disagio sociale», impiegate nel comma 40 dell’art. 3 per
identificare i compiti di segnalazione degli osservatori volontari, e
segnatamente alla loro riconducibilita’ o meno alla materia, di
competenza statale esclusiva, «ordine pubblico e sicurezza» (all’art.
117, secondo comma, lettera h, Cost.): materia che – in
contrapposizione alla «polizia amministrativa locale», da essa
espressamente esclusa – va intesa restrittivamente, ossia come
relativa alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati e alla
tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l’ordinata e
civile convivenza della comunita’ nazionale (ex plurimis, sentenze n.
129 del 2009, n. 237 e 222 del 2006, n. 383 e n. 95 del 2005, n. 428
del 204).
All’interrogativo si e’ data una risposta differenziata.
Quanto al concetto di «sicurezza urbana», il dettato della norma
impugnata e’ stato ritenuto non in contrasto con il riparto
costituzionale delle competenze. Si e’ reputata difatti valevole, al
riguardo, la conclusione gia’ raggiunta in rapporto al decreto del
Ministro dell’interno 5 agosto 2008, recante la definizione del
suddetto concetto agli effetti del potere di ordinanza dei sindaci di
cui all’art. 54, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali): e, cioe’, che
esso ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica,
intesa come attivita’ di prevenzione e repressione dei reati
(sentenza n. 196 del 2009). La titolazione della legge n. 94 del 2009
(che richiama anch’essa la «sicurezza pubblica»); il collegamento
sistematico tra la norma impugnata e il citato art. 54, comma 4, del
d.lgs. n. 267 del 2000; i richiami a tale articolo e al decreto
ministeriale del 2008 contenuti del decreto attuativo oggi impugnato;
la complessiva disciplina dettata dai commi 40-43 dell’art. 3 della
legge n. 94 del 2009 (coerente con una lettura del concetto di
«sicurezza pubblica» evocativa dei soli interventi di prevenzione e
repressione delle attivita’ criminose) sono tutti elementi che
convergono nella direzione dianzi indicata.
Si e’ negata, inoltre, validita’ alla tesi della ricorrente
Regione Toscana – oggi riproposta – secondo cui detta conclusione
comporterebbe un inammissibile affidamento a privati di una funzione
pubblica, quale appunto quella di prevenzione dei reati. A tale tesi
va, infatti, obiettato che i volontari svolgono attivita’ di mera
osservazione e segnalazione e che qualsiasi privato cittadino puo’
denunciare i reati, perseguibili d’ufficio, di cui venga a conoscenza
(art. 333 del codice di procedura penale) e finanche procedere
all’arresto in flagranza (art. 383 cod. proc. pen.); mentre lo stesso
art. 24 della legge 1° aprile 1981, n. 181 (Nuovo ordinamento
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza»), nel descrivere i
compiti istituzionali della Polizia di Stato, prevede che essa debba
sollecitare la collaborazione dei cittadini.
Il riferimento alternativo al «disagio sociale» non e’ stato, per
converso, reputato suscettibile di una lettura costituzionalmente
conforme, in base alla quale detta formula evocherebbe le sole
situazioni implicanti un concreto pericolo di commissione di fatti
penalmente illeciti: trattandosi di lettura che – in contrasto con
l’impiego da parte del legislatore della disgiuntiva «ovvero» –
ricondurrebbe interamente la nozione considerata nel preliminare
richiamo agli eventi pericolosi per la sicurezza urbana, rendendola
pleonastica. Nella sua genericita’, la formula «disagio sociale» si
presta dunque ad abbracciare un vasto ambito di ipotesi di
emarginazione o di difficolta’ di inserimento dell’individuo nel
tessuto sociale, derivanti dalle piu’ varie cause (condizioni
economiche, di salute, eta’, rapporti familiari e cosi’ via dicendo):
situazioni che reclamano interventi ispirati a finalita’ di politica
sociale, riconducibili alla materia dei «servizi sociali», di
competenza legislativa regionale residuale. Ne’ a questo fine rileva
che gli osservatori si limitino a mere segnalazioni, senza erogare
servizi. Il monitoraggio delle «situazioni critiche» rappresenta,
infatti, la necessaria premessa conoscitiva degli interventi intesi
alla rimozione e al superamento del «disagio sociale»: onde la
determinazione delle condizioni e delle modalita’ con le quali i
comuni possono avvalersi, per tale attivita’, dell’ausilio di privati
volontari rientra anch’essa nelle competenze del legislatore
regionale.
Da ultimo, si e’ negato che la competenza statale possa essere
affermata sulla base del criterio della prevalenza, mancando il
presupposto di applicabilita’ di tale criterio, rappresentato
dall’esistenza di una disciplina che, collocandosi alla confluenza di
un insieme di materie, sia espressione di un’esigenza di
regolamentazione unitaria. Il riferimento alle «situazioni di disagio
sociale» si presenta, infatti, come un elemento «spurio ed eccentrico
rispetto alla ratio ispiratrice delle norme impugnate», che finisce
«per rendere incongrua la stessa disciplina da esse dettata»
(sentenza n. 226 del 2010).
Il comma 40 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 e’ stato
dichiarato, di conseguenza, costituzionalmente illegittimo, per
contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., limitatamente alle
parole «ovvero situazioni di disagio sociale».
Derivando la lesione del riparto costituzionale delle competenze
esclusivamente dalla eccessiva ampiezza della previsione del comma
40, sono state dichiarate non fondate le restanti questioni,
concernenti i commi 41, 42 e 43, che, rispettivamente, prevedono
l’iscrizione delle associazioni di volontari in apposito elenco
tenuto dal prefetto, stabiliscono criteri di scelta tra le stesse e
demandano al Ministro dell’interno il compito di determinare, con
decreto da adottare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore
della legge, «gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi
40 e 41, i requisiti per l’iscrizione nell’elenco e […] le
modalita’ di tenuta dei relativi elenchi» (disposizione,
quest’ultima, in base alla quale e’ stato emanato l’atto qui
impugnato).
4.2. – La decisione sugli odierni ricorsi non puo’ evidentemente
che orientarsi nella medesima direzione, consistendo le censure di
fondo delle Regioni ricorrenti (cosi’ come le difese dell’Avvocatura
generale dello Stato) in una mera replica delle argomentazioni gia’
svolte in sede di impugnazione in via principale delle norme
legislative attuate.
Premesso che l’atto impugnato richiama, quanto al concetto di
«sicurezza urbana», la definizione offerta dal d.m. 5 agosto 2008
(art. 1, comma 2), mentre non fornisce alcuna precisazione in ordine
alla valenza del concetto alternativo di «disagio sociale», si deve
concludere che – per le ragioni gia’ indicate nella citata sentenza
n. 226 del 2010 e dianzi ricordate – la tesi delle ricorrenti non e’
fondata in rapporto alla prima delle due formule, mentre lo e’
rispetto alla seconda, in quanto comprensiva di interventi
riconducibili alla materia «servizi sociali», di competenza
legislativa regionale residuale (art. 117, quarto comma, Cost.).
Ne deriva che, per la parte in cui disciplina l’attivita’ di
segnalazione di «situazioni di disagio sociale», l’atto impugnato
viola anche il sesto comma dell’art. 117 Cost., che circoscrive la
potesta’ regolamentare dello Stato alle sole materie di sua
competenza legislativa esclusiva. Il presupposto, non contestato
dalla difesa dello Stato, da cui muovono le ricorrenti – e, cioe’,
che l’atto impugnato, pur non recando formalmente tale denominazione,
abbia natura di regolamento – corrisponde, infatti, ai contenuti
sostanziali dell’atto, il quale detta norme intese a disciplinare, in
via generale e astratta, i requisiti delle associazioni e degli
osservatori volontari ad esse appartenenti, il loro ambito di
operativita’ e i procedimenti amministrativi connessi, vincolando con
cio’ i comportamenti dei diversi soggetti, pubblici e privati,
coinvolti nell’attivita’ in questione (lo stesso art. 9 del decreto
reca, del resto, la rubrica «norme transitorie»). Eventuali profili
di illegittimita’ dell’atto conseguenti a tale qualificazione, legati
segnatamente alla mancata osservanza della procedura di cui all’art.
17, comma 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina
dell’attivita’ di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei ministri), esulano dal tema del presente giudizio.
Al fine di eliminare la rilevata lesione delle attribuzioni
regionali e’ sufficiente, peraltro, rimuovere i riferimenti alle
«situazioni di disagio sociale» che compaiono nei commi 1 e 2
dell’art. 1 e nel comma 1 dell’art. 2 del decreto impugnato, con
riguardo, rispettivamente, all’elenco delle associazioni di
osservatori volontari, agli scopi e ai compiti di queste (l’ulteriore
riferimento che figura nel quarto capoverso del preambolo ha
carattere meramente descrittivo dei contenuti delle norme primarie
attuate).
Anche in questo caso, va esclusa la necessita’ di interventi
sulle restanti previsioni del decreto (ivi compresa la norma
transitoria di cui all’art. 9, sulla quale in modo particolare si
appuntano le censure delle ricorrenti). Una volta circoscritta
l’attivita’ degli osservatori volontari alla segnalazione degli
eventi pericolosi per la «sicurezza urbana» – e, dunque, in un ambito
riconducibile alla prevenzione e repressione dei reati – dette
previsioni perdono, infatti, automaticamente ogni carattere invasivo
delle competenze regionali.
Il discorso vale anche in rapporto alla lesione del «principio di
legalita’», denunciata dalla Regione Emilia-Romagna sull’assunto che
il decreto ministeriale impugnato, in alcune sue parti, avrebbe
travalicato l’ambito di intervento assegnatogli dall’art. 3, comma
43, della legge n. 94 del 2009. Tale ipotizzato profilo di
illegittimita’ dell’atto resta, infatti, irrilevante in questa sede,
qualora non ridondi in una lesione delle attribuzioni costituzionali
della Regione.
Con riguardo, poi, alle censure formulate in via subordinata
dalla medesima Regione Emilia-Romagna, va escluso che l’atto
impugnato sia tenuto comunque a prevedere forme di coordinamento con
le Regioni, anche qualora l’attivita’ degli osservatori volontari
rimanga ristretta nell’ambito dell’«ordine pubblico e sicurezza».
Come gia’ rilevato da questa Corte, infatti, l’art. 118, terzo comma,
Cost., nel prevedere una riserva di legge statale ai fini della
disciplina di forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle
materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’art. 117
Cost. (immigrazione, ordine pubblico e sicurezza), non impegna
indefettibilmente lo Stato a prevedere un simile coordinamento ogni
qualvolta rechi disposizioni riferibili alle suddette materie
(sentenza n. 226 del 2010).
Neppure, da ultimo, richiede una soluzione differenziata la
disposizione dell’art. 8 del decreto, attinente all’organizzazione
dei corsi di formazione e di aggiornamento, avuto riguardo alla
censura della Regione Emilia-Romagna, secondo la quale il regolamento
statale non potrebbe comunque prevedere e disciplinare l’attivita’
regionale di formazione. Al riguardo, e’ sufficiente considerare che
l’organizzazione dei suddetti corsi e’ configurata dalla norma come
una mera facolta’ delle Regioni e degli enti locali che vi abbiano
interesse («Le regioni e gli enti locali interessati possono
organizzare corsi di formazione e aggiornamento …»), circostanza
che esclude in ogni caso l’attitudine lesiva della previsione.
5. – Va, dunque, dichiarato che non spettava allo Stato e, per
esso, al Ministro dell’interno adottare il decreto impugnato,
limitatamente alla parte in cui disciplina l’attivita’ di
segnalazione di situazioni di disagio sociale.
Il medesimo decreto deve essere conseguentemente annullato in
tale parte, secondo quanto in precedenza specificato.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,
Dichiara che non spettava allo Stato e, per esso, al Ministro
dell’interno, adottare il decreto 8 agosto 2009, recante
«Determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di
osservatori volontari, requisiti per l’iscrizione nell’elenco
prefettizio e modalita’ di tenuta dei relativi elenchi, di cui ai
commi da 40 a 44 dell’articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94»,
nella parte in cui disciplina l’attivita’ di segnalazione di
situazioni di disagio sociale;
Annulla, per l’effetto, l’art. 1, comma 1, limitatamente alle
parole «ovvero situazioni di disagio sociale», l’art. 1, comma 2,
limitatamente alle parole «ovvero del disagio sociale,» e l’art. 2,
comma 1, limitatamente alle parole «, ovvero situazioni di disagio
sociale», del citato decreto del Ministro dell’interno 8 agosto 2009.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Frigo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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