Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-07-2011, n. 15295 Esercizio delle servitù

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Svolgimento del processo

Con citazione del marzo 1997 Q.G. conveniva davanti al Pretore di Macerata S.N. chiedendo che, stante la costituzione per usucapione di una servitù di passaggio a favore del proprio fondo ed in danno di quello confinante dello S., venisse stabilito su quale soggetto dovessero gravare gli oneri di manutenzione della strada e, se su entrambi, in quale misura.

Lo S. negava l’esistenza della servitù e, per l’ipotesi della sua dimostrazione, chiedeva accertarsi l’aggravamento rispetto alle originarie esigenze agricole, essendo stato esteso alle più recenti esigenze abitative e commerciali della famiglia dell’attore.

Con sentenza 30.6.2000 il Tribunale di Macerata dichiarava che le opere necessarie dovessero essere eseguite con spese gravanti per 5/6 sull’attore ed 1/6 sul convenuto, respingeva la riconvenzionale e condannava il convenuto alle spese.

Appellava lo S., resisteva il Q. e la Corte di appello di Ancona, con sentenza 585/2004, rigettava l’appello con condanna alle spese, osservando che l’esistenza della servitù acquisita per usucapione era stata chiaramente dedotta, che l’art. 1369 c.c., comma 3 prevede l’obbligo di contribuzione a carico del fondo servente, che la pretesa di regolamentazione ex post, di volta in volta, non era condivisibile sia perchè il Tribunale si era pronunciato su opere specificamente indicate sia perchè la regolamentazione preventiva poteva essere fatta in funzione della tipologia prospettata.

La mancata integrazione del contraddittorio con un terzo, a fronte della considerazione della ordinanza istruttoria che lo stesso non utilizzava il passaggio, non era suffragata da elementi di prova contraria.

La quantificazione del rapporto era equa e ragionevole.

Ricorre S. con due motivi, resiste controparte, che ha anche presentato memoria.
Motivi della decisione

Con entrambi i motivi si denunziano violazione di norme di diritto e vizi di motivazione.

Osta, tuttavia, all’esame del ricorso la preliminare considerazione che la premessa in fatto è costituita dall’allegazione dell’atto di citazione, della comparsa di risposta, della sentenza di primo grado, di quella di appello, cui si rinvia per i motivi.

Le due doglianze, poi, consistono 1) nel riferimento alla sentenza impugnata con la deduzione che, per non ripetersi, si riporta quanto sostenuto in prime cure e davanti alla Corte territoriale, con brevissimi brani della comparsa di primo grado, dell’atto di appello e della memoria di replica; 2) nel riferimento alla sentenza impugnata e nel rinvio, per dimostrarne la illogicità e contraddittorietà, alla memoria di replica di primo grado ed all’atto di appello.

Ciò premesso, ai fini della sussistenza del requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità per il ricorso per cassazione, è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza, che in esso si rinvengano tutti gli elementi indispensabili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, onde acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si collocano le decisioni censurate e i motivi delle doglianze prospettate (Cass. n. 1355 del 2004).

Di tale consolidato orientamento costituisce particolare ulteriore applicazione la ritenuta inidoneità ad integrare i requisiti tanto della sufficiente esposizione del fatto quanto, soprattutto, della specificità dei motivi il semplice richiamo per relationem alle circostanze esposte ed alle questioni trattate nei precedenti gradi del giudizio (e pluribus Cass. 6.6.03 n. 9060, 1.10.02 n. 14075, 10.4.01 n. 5816, 13.11.00 n. 14699, 7.11.00 n. 14479, 20.4.98 n. 4013, 13.1.96 n. 252, 20.1.95 n. 629).

Nella specie, pur ove si voglia considerare non determinante l’assoluta carenza d’una "premessa in fatto", resta, comunque, che neppure dall’esposizione dei motivi risulta in qualche modo possibile avere una chiara e completa visione così dell’oggetto del giudizio quale originariamente introdotto come della sua trattazione e, di conseguenza, delle precise ragioni delle censure mosse sia con l’appello alla pronunzia di primo grado sia con il ricorso per cassazione a quella di secondo grado, ciò anche con particolare riferimento al vaglio d’ammissibilità delle une e delle altre in relazione al divieto d’introdurre in sede di legittimità questioni che non abbiano formato oggetto di contraddittorio in fase di merito, la cui violazione è rilevabile d’ufficio.

Onde procedere al sindacato sulla pronunzia di merito di secondo grado è, infatti, indispensabile al giudice di legittimità conoscere esattamente quali fossero state le originarie prospettazioni delle parti con domande ed eccezioni nel giudizio di primo grado, quali le decisioni su ciascuna di esse adottate dal primo giudice, quali le specifiche censure mosse a tali decisioni con l’atto d’appello ed in qual modo il giudice del gravame siasi pronunziato su ciascuna delle dette censure, dacchè è in relazione a siffatto svolgimento della dialettica processuale in ordine al thema disputandum devoluto al giudice del secondo grado che la pronunzia conclusiva di quest’ultimo può, poi, con la necessaria cognizione di causa ed in riferimento alle censure mosse con il ricorso, essere valutata in sede di legittimità.

E’, inoltre, da rilevare l’inottemperanza al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 4, dal quale si richiede, come più volte sottolineato da questa Corte, che nei motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 3 i vizi di violazione di legge vengano dedotti, a pena d’inammissibilità comminata dalla citata disposizione, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente s’assumano in contrasto con le norme regolatici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla prevalente dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione d’adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; ond’è che risulta inidoneamente formulata, ai fini dell’ammissibilità del motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3, la critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata dal ricorrente non mediante puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell’ambito d’una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo, bensì mediante la mera apodittica contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Nella specie, poi, la contestuale deduzione di violazione di norme di diritto e di vizi di motivazione esclude che al motivo di ricorso possa essere riconosciuto il requisito della specificità. Donde l’inammissibilità del ricorso e la condanna alle spese.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 1.700,00 di cui 1.500,00 per onorari, oltre accessori.

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