Corte Costituzionale, Ordinanza n. 276, legittimità costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Ordinanza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 107, 108,
143, 143-bis e 156-bis del codice civile, promosso dalla Corte
d’appello di Firenze, nel procedimento vertente tra B. E. ed altro ed
il Sindaco del Comune di Firenze, con ordinanza del 3 dicembre 2009,
iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, 1ª serie speciale,
dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2010 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di
appello di Firenze ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e
29 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale degli
articoli 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, nella
parte in cui non consentono il matrimonio tra persone del medesimo
sesso;
che, come la Corte rimettente riferisce, l’ufficiale di stato
civile di Firenze ha respinto la richiesta di B. E. e di R. M.,
diretta ad ottenere la pubblicazione di matrimonio, «ritenendo
l’istituto inaccessibile alle persone dello stesso sesso»;
che il Tribunale di Firenze, al quale gli interessati hanno
proposto tempestivo ricorso, ha confermato il diniego, «considerando
la decisione dell’Ufficiale di stato civile coerente alla
legislazione vigente e all’assetto costituzionale della Repubblica»;
che i richiedenti hanno proposto reclamo alla Corte di
appello di Firenze, osservando quanto segue: a) non e’ reperibile
nell’ordinamento alcuna esplicita definizione del matrimonio, in
effetti mutuata per via esegetica dalla realta’ sociale; b) non vi e’
una disposizione normativa diretta a vietare in modo espresso il
matrimonio tra persone omosessuali; c) l’evoluzione sociale rende
pienamente accettabile l’unione coniugale tra persone dello stesso
sesso; d) la possibilita’ di contrarre matrimonio con la persona
prescelta esprime un diritto inalienabile dell’essere umano; e)
nessuna discriminazione di tipo sessuale puo’ comprimere tale
diritto; f) l’autonomia privata non e’ in grado di sopperire alla
disciplina pubblicistica del matrimonio, sia sotto il profilo delle
garanzie, sia sotto il profilo dei vincoli; g) il divieto di
matrimonio omosessuale non soltanto e’ privo di valida base
normativa, ma comprime un diritto fondamentale della persona, lede il
principio di uguaglianza e comporta una discriminazione basata
sull’orientamento sessuale;
che, pertanto, i reclamanti hanno chiesto, in via principale,
la riforma del provvedimento impugnato, con l’ordine di procedere
alla pubblicazione del matrimonio sulla base dell’interpretazione
evolutiva e costituzionalmente orientata della legge esistente, o
comunque, in via subordinata, di sollevare questione di legittimita’
costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis cod. civ.,
per contrasto con gli artt. 2, 3, 11, 13, 29 e 117 Cost.;
che il Procuratore generale della Repubblica ha espresso
parere contrario all’accoglimento del reclamo;
che, ad avviso della Corte rimettente, la domanda principale
non puo’ essere accolta, in quanto l’art. 12 delle disposizioni sulla
legge in generale «impone d’interpretare le norme senza stravolgere
il significato delle parole attraverso le quali si manifesta
l’intenzione del legislatore e non v’e’ dubbio che nella lingua
italiana per matrimonio s’intenda il "rapporto di convivenza
dell’uomo e della donna in accordo con la prassi civile ed
eventualmente religiosa, diretta a garantire la sussistenza morale,
sociale e giuridica della famiglia" (dizionario Devoto-Oli)»;
che, del resto, il Tribunale ha posto in evidenza i plurimi
riferimenti normativi che, confermando l’analisi etimologica, portano
ad escludere la volonta’ del legislatore di alludere con quel termine
a qualcosa di diverso, ed ha ricordato che non spetta al giudice dare
veste istituzionale, o comunque rilevanza giuridica, ai mutamenti
intervenuti nel costume e nella sensibilita’ sociale, al di la’ di
quanto rientra nel ragionevole esercizio della funzione ermeneutica;
che, invece, secondo il giudice a quo, si deve dubitare della
legittimita’ costituzionale del divieto di matrimonio omosessuale, in
base all’orientamento seguito dal Tribunale di Venezia (ordinanza 3
aprile 2009) e dalla Corte di appello di Trento (ordinanza 9 luglio
2009) che, in casi del tutto analoghi, svolgendo argomenti pregevoli
e di ampio respiro, hanno rimesso gli atti alla Corte costituzionale
per lo scrutinio di legittimita’ del menzionato divieto;
che, «rinviando in linea di massima alle corpose motivazioni
dei giudici gia’ remittenti», la Corte territoriale considera arduo
negare al diritto di sposarsi – non a caso divenuto uno dei cavalli
di battaglia delle militanze omosessuali in tutto il mondo – la
dignita’ di diritto fondamentale della persona, richiamando al
riguardo l’art. 2 Cost., nel cui ambito l’unione coniugale va
ricondotta, come sodalizio in cui si esprime la personalita’
dell’individuo;
che l’istituto de quo esprimerebbe uno dei profili essenziali
in cui si manifesta la dignita’ umana, come «riconosciuto dagli artt.
12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10
dicembre 1948, nonche’ dagli artt. 8 e 12 della Convenzione per la
Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali del
20 marzo 1952 e, infine, dagli artt. 7 e 9 della Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, sicche’ ogni
interpretazione riduttiva della prospettive di tutela accennata
sembra del tutto insostenibile»;
che l’art. 3 Cost. impedisce che l’inclinazione sessuale
possa costituire motivo di discriminazione tra i cittadini, onde,
secondo il rimettente, bisogna ritenere garantita dall’ordinamento la
possibilita’ di scegliere un coniuge dello stesso sesso, allo stesso
modo in cui il principio di uguaglianza assicura la liberta’ di
scegliere un coniuge di una certa razza, religione o condizione
personale;
che «il progresso della sensibilita’ comune ha ormai
felicemente emancipato l’omosessualita’ dal ghetto di emarginazione,
se non di aperta repressione, in cui ideologie autoritarie del
passato l’avevano confinata, facendo comprendere e rispettare alla
generalita’ dei consociati "un modo d’essere" (per usare le parole
spese da Corte Cost. n. 165/1985 per i transessuali) che risponde a
moti insindacabili dell’animo umano, di cui la normativa di un
ordinamento civile non puo’ che prendere atto e consentire
l’affermazione, evitando anzi ingerenze e sgombrando il campo da ogni
ostacolo al dispiegarsi del diritto di autodeterminazione di
ciascuno»;
che, inoltre, la trasformazione dei costumi ha portato,
secondo il giudice a quo, al superamento del monopolio detenuto dal
modello della famiglia tradizionale cattolica nel dettare lo stile
dei rapporti di convivenza ed offre esempi sempre piu’ frequenti di
legami alternativi, che aspirano legittimamente ad ottenere dignita’
e riconoscimento istituzionale;
che l’esclusione degli omosessuali dalla possibilita’ di
contrarre tra loro il vincolo coniugale non puo’ fondatamente
discendere, secondo il rimettente, dal rilievo secondo cui l’art. 29
Cost. riconosce i diritti della famiglia come societa’ naturale
fondata sul matrimonio, «sia perche’ la tutela della famiglia
supposta "naturale" potrebbe tranquillamente estendersi ad una
famiglia "meno naturale" o "diversamente naturale" senza per questo
rinnegare se stessa, sia perche’, equiparando aprioristicamente la
"famiglia naturale" a quella composta da uomo e donna, si cade in una
petizione di principio che il giudice delle leggi potrebbe a buon
diritto scardinare, riconoscendo che nella societa’ odierna il crisma
della "naturalita’" puo’ essere tranquillamente riconosciuto anche
alla convivenza omosessuale»;
che, infatti, volendo definire un concetto di unione
coniugale adatto ai tempi, il dato di natura non sarebbe da
considerare immutabile, ma andrebbe filtrato e desunto dagli esiti
concreti dell’evoluzione sociale, come sarebbe desumibile dalle
esperienze storiche nelle varie regioni del mondo;
che, paradossalmente, il vero limite idoneo a frenare
l’allargamento dell’istituto coniugale alle coppie omosessuali
starebbe nella considerazione per cui il «diritto» al matrimonio «non
reca soltanto benefici, ma trascina una nutrita serie di
controindicazioni, ammantando lo sposo di una veste intessuta di
connotazioni largamente coercitive», in quanto comporta «pesanti
limitazioni nella sfera delle liberta’ individuali, quali l’obbligo
di coabitazione, l’obbligo di assistenza morale e materiale,
l’obbligo di fedelta’ sessuale, che sarebbero inconcepibili senza
sottendere il perseguimento di una finalita’ superiore»;
che questa riflessione smentisce apertamente, secondo il
rimettente, la possibilita’ per l’autonomia privata di supplire in
modo adeguato alla disciplina matrimoniale, all’evidenza pervasa da
interessi pubblicistici, sicche’ nessun contratto potrebbe obbligare
alla coabitazione o alla fedelta’ sessuale, ma soltanto il matrimonio
potrebbe assicurare agli omosessuali il conseguimento di tale
risultato, peraltro non privo di costi che nella coppia eterosessuale
(almeno ab origine) trovano corrispettivo nella finalita’ procreativa
e, quindi, si collegano «alla necessita’ di saldare un nucleo stabile
iperprotettivo a fondamento della famiglia»;
che, in quest’ottica, «il divieto del matrimonio tra
omosessuali perderebbe cosi’ ogni sapore discriminatorio per assumere
una funzione addirittura di salvaguardia, nei confronti di chi, non
potendo procreare, verrebbe messo al riparo da impegni che
l’ordinamento considera altrimenti intollerabili»;
che, tuttavia, la finalita’ procreativa, continua ancora il
giudice a quo, svolge ormai un ruolo soltanto tendenziale nel
giustificare l’instaurazione del matrimonio, istituto sicuramente
accessibile alle coppie eterosessuali sterili, «nel perseguimento di
interessi solidaristici e morali che sarebbe palesemente incongruo
precludere alle coppie omosessuali», avuto riguardo anche alle nuove
tecniche di procreazione;
che, pertanto, «l’evocazione dell’originaria finalita’
procreativa alla radice dell’istituto matrimoniale si rivela quanto
meno azzardata allo scopo di rendere accettabile sul piano della
legittimita’ costituzionale la "protezione" degli omosessuali dalla
"schiavitu’" coniugale, sicche’ il discorso non riesce a dissipare
soddisfacentemente i dubbi in precedenza avanzati sulla fisionomia
discriminatoria dell’esclusione»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto in
giudizio con atto depositato l’11 maggio 2010, sostenendo che la
questione sarebbe inammissibile e, comunque, infondata perche’ con
conterrebbe alcun elemento di sostanziale novita’ o diversita’
rispetto alle questioni gia’ risolte da questa Corte con la sentenza
n. 138 del 2010.
Considerato che la Corte di appello di Firenze, con l’ordinanza
indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli articoli 2, 3 e 29
della Costituzione, della legittimita’ costituzionale degli articoli
107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, «nella parte in
cui non consentono il matrimonio tra persone del medesimo sesso»;
che questa Corte, con la sentenza n. 138 del 2010, emessa a
seguito delle ordinanze del Tribunale di Venezia e della Corte
d’appello di Trento menzionate dall’attuale rimettente, ha gia’
esaminato la questione di legittimita’ costituzionale delle norme in
questa sede censurate, in riferimento ai parametri costituzionali qui
richiamati, nonche’ all’art. 117, primo comma, Cost. (che non puo’
ritenersi evocato dalla Corte fiorentina mediante la generica relatio
ai citati provvedimenti del Tribunale di Venezia e della Corte di
appello di Trento);
che, in particolare, con la sentenza n. 138 del 2010 la
questione sollevata in riferimento all’art. 2 Cost. e’ stata
dichiarata inammissibile, perche’ diretta ad ottenere una pronunzia
additiva non costituzionalmente obbligata;
che con la medesima sentenza la questione, sollevata con
riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost., e’
stata dichiarata non fondata, sia perche’ l’art. 29 Cost. si
riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come
unione tra persone di sesso diverso, e questo significato del
precetto costituzionale non puo’ essere superato per via ermeneutica,
sia perche’ (in ordine all’art. 3 Cost.) le unioni omosessuali non
possono essere ritenute omogenee al matrimonio;
che non risultano qui allegati profili diversi o ulteriori,
idonei a superare gli argomenti addotti nella precedente pronuncia;
che, pertanto, la questione di legittimita’ costituzionale,
sollevata con riferimento all’art. 2 Cost., deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile, e la questione sollevata con
riferimento agli artt. 3 e 29 Cost. deve essere dichiarata
manifestamente infondata (ex plurimis: ordinanze n. 42, n. 34 e n. 16
del 2009).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

A) dichiara la manifesta inammissibilita’ della questione di
legittimita’ costituzionale degli articoli 107, 108, 143, 143-bis,
156-bis del codice civile, sollevata, in riferimento all’articolo 2
della Costituzione, dalla Corte di appello di Firenze con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
B) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale degli articoli sopra indicati del codice
civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 29 della
Costituzione, dalla Corte di appello di Firenze con la medesima
ordinanza.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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