Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-01-2011) 15-04-2011, n. 15410 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

v. Rossi Massimo.
Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Firenze confermò la sentenza emessa il 23 gennaio 2007 del Gip del tribunale di Siena, che aveva dichiarato B.M. colpevole del reato di cui all’art. 609 bis c.p., per avere costretto G.M., sua dipendente nella pizzeria da lui gestita, a subire atti sessuali consistiti nel toccamento del sedere e delle parti intime, ed una volta nel palpeggiamento del seno e in un bacio sul collo, e, con le attenuanti generiche e quella della minore gravità, lo aveva condannato alla pena di anni due di reclusione ed al risarcimento del danno liquidato in Euro 100.000,00 in favore della ragazza ed in Euro 25.000,00 in favore di ciascuno dei genitori della stessa.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) assoluta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della attendibilità della persona offesa, affermata soltanto in modo apodittico.

In particolare, eccepisce articolatamente la manifesta illogicità della motivazione:

a) sui motivi di risentimento della parte civile;

b) sulle richieste di sesso orale, rappresentate solo all’ultima udienza davanti al GUP;

c) sulle presunte molestie subite dalla parte civile da parte del B.;

d) sui rimproveri sul luogo di lavoro alla ragazza;

e) sulla chiave del magazzino e sulla presenza il sabato pomeriggio sia del B. sia della moglie;

f) sulle dichiarazioni della C. in merito a presunte molestie da lei subite da parte del B..

2) mancanza di motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della C..

3) mancata assunzione di una prova decisiva espressamente richiesta con l’atto di appello, ossia di escutere gli educatori che erano maggiormente a contatto con la persona offesa.

In data 24.10.2010 il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato. Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, "Ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, ben può tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente, fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata. E ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri aggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi" (Sez. 4, 21.6.2005, n. 30422, Poggi, m. 232018); "In tema di reati contro la libertà sessuale, la valutazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa minorenne, oltre a non sfuggire alle regole generali in materia di testimonianza, in relazione alla attenta verifica della natura disinteressata e della coerenza intrinseca del narrato, richiede la necessità di accertare, da un lato, la cosiddetta capacità a deporre, ovvero l’attitudine psichica, rapportata all’età, a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne in modo coerente e compiuto, e, dall’altro, il complesso delle situazioni che attingono la sfera interiore del minore, il contesto delle relazioni, con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute" (Sez. 3, 26.9.2007, n. 39994, Maggioni, m. 237952).

In sostanza, "la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva" (Sez. 5, 27.4.1999, n. 6910, Gazzella, m. 213613).

Tale attento e penetrante controllo, adeguatamente motivato, di attendibilità oggettiva e soggettiva era dovuto nel caso in esame anche dalla corte d’appello, insieme ad una attenta ed esaustiva valutazione e confutazione di tutte le specifiche doglianze sollevate in proposito dalla difesa con l’atto di appello, anche in considerazione sia del fatto che il pubblico ministero in primo grado aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto, sia di un possibile interesse della persona offesa a causa della elevata entità della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno a lei ed a ciascuno dei suoi genitori, sia infine delle carenze motivazionali della sentenza di primo grado.

Orbene, nella specie sono mancati sia l’approfondito controllo di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa sia il completo esame di tutti gli e-lementi difensivi contenuti nell’atto di appello, sicchè il giudizio di attendibilità del racconto della G. si fonda su una motivazione in molti punti apparente e meramente apodittica ed in altri punti mancante o contraddittoria.

L’imputato aveva eccepito che il racconto della ragazza poteva essere stato determinato dai motivi di risentimento che la stessa aveva nei suoi confronti, per i forti contrasti a causa della qualità e della puntualità del lavoro, per essere stata varie volte rimproverata, per essersi addirittura pochi giorni prima della denuncia tenuta una riunione con la ragazza, la madre di questa e la R., compagna dell’imputato, proprio per metterla in mora sulle sue mancanze e per avvertirla che, se non si fosse comportata bene, sarebbe stata avvisata l’organizzazione che l’aveva in affidamento e che sovrintendeva il suo percorso di reinserimento. La corte d’appello si è limitata ad affermare che la ragazza non aveva alcun motivo di risentimento nei confronti del B. e che anzi gli era grata per averle offerto un lavoro. L’affermazione è apodittica perchè nemmeno da conto che la difesa aveva eccepito: che tutti i testi avevano parlato di forti contrasti con l’imputato per le modalità di lavoro; che la ragazza non aveva mai palesato, nè nella denuncia nè successivamente, i rimproveri sul lavoro fattile dal B. e le sue ingiustificate assenze dal lavoro; che nemmeno aveva riferito della riunione a quattro dove aveva saputo della intenzione del B. di licenziarla con conseguente fine del suo esperimento presso la comunità (OMISSIS).

Apodittica è poi anche l’affermazione che la G., a causa della sua età, non avrebbe potuto articolare un piano preciso ed articolato.

La difesa aveva eccepito, come ulteriore elemento di inattendibilità della ragazza, il fatto che questa aveva riferito solo dopo quattro anni e dopo cinque interrogatori, due esami e due querele, che l’imputato le avrebbe fatto richieste di sesso orale ogni volta che lei chiedeva qualche ora di permesso. Anche su questo punto manca ogni motivazione.

La difesa aveva eccepito che tutti i testi avevano categoricamente escluso di avere visto atti di molestia dell’imputato nei confronti della G., e soprattutto di non avere mai notato atti quali toccamenti nel sedere e mani sul seno, sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti delle altre ragazze che lavoravano nella pizzeria. La sentenza impugnata afferma invece che il racconto accusatorio della G. sarebbe stato riscontrato da quello degli altri testi, i quali avrebbero concordemente riferito di un atteggiamento disinvolto dell’imputato che era solito entrare negli spogliatoi e dare baci sulle guance e pacche sulle spalle. Sennonchè manca del tutto la motivazione sulle ragioni per le quali il dare baci sulle guance o pacche sulle spalle costituirebbe una "conferma puntuale" dell’accusa di aver compiuto veri e propri atti sessuali quali toccamenti e palpeggiamenti nelle parti intime, palpeggiamenti all’interno delle mutandine e sul seno, baci sul collo. Anzi, l’esistenza di una prassi di gesti scherzosi invasivi ma non sessuali, avrebbe dovuto comportare una attenta e motivata valutazione per escludere l’eventualità che non si fosse trattato dei medesimi gesti percepiti in modo errato.

La persona offesa aveva asserito che le medesime molestie sessuali e gesti analoghi erano stati compiuti dall’imputato nei confronti di altra dipendente, tale C.. La difesa aveva eccepito che anche questa dichiarazione era falsa perchè la circostanza era stata smentita dalla C., e che le dichiarazioni di quest’ultima dovevano ritenersi veritiere e non compiacenti a causa di presunti obblighi di riconoscenza di questa verso il B., e ciò sia perchè la donna aveva regolarizzato la sua posizione in Italia prima di essere assunta nella pizzeria dell’imputato, sia perchè anzi aveva intentato una causa previdenziale nei confronti dello stesso, sia infine perchè aveva tutto l’interesse a dire di essere stata molestata. La corte d’appello ha invece anche su questo punto affermato con motivazione apodittica che la C. era inattendibile nello smentire gli atti sessuali nei propri confronti a causa dei motivi di gratitudine verso l’imputato, ma senza indicarne le ragioni di tale convincimento e senza esaminare gli elementi in senso contrario addotti dalla difesa.

La corte d’appello ha invece rilevato che la C. avrebbe finito per ammettere che l’imputato entrava negli spogliatoi senza bussare, traendo da ciò elemento di riscontro dell’accusa. Ma anche sotto questo profilo la motivazione è mancante, perchè la sentenza omette di esaminare l’assunto difensivo, secondo cui dalle deposizioni testimoniali emergeva che c’era sia uno spogliatoio (dove i dipendenti lasciavano e si cambiavano gli indumenti esterni tipo i golf) sia un bagno munito di chiusura, dove si cambiavano gli altri indumenti, sicchè l’ingresso della spogliatoio era irrilevante perchè le ragazze non si cambiavano lì.

La corte d’appello afferma che l’imputato sarebbe stato smentito quando ha sostenuto che la ragazza aveva falsamente riferito di avere ricevuto le chiavi del magazzino dalla R., perchè esse erano attaccate alla porta a disposizione dei dipendenti. Anche su questo punto però la corte d’appello ha omesso di esaminare e valutare le considerazioni difensive, secondo cui era stato accertato sulla base delle deposizioni testimoniali che delle chiavi esistevano tre mazzi, di cui uno a disposizione dei dipendenti; che il magazzino era quindi sempre raggiungibile anche dai dipendenti con queste chiavi; che il B. e la R. il sabato erano in pizzeria a turno e che dalle ore 15:00 alle 18:30 circa il B. era a casa con i bambini. Manca anche la motivazione sull’assunto difensivo che il teste B.A. non aveva mai detto che il B. e la R. erano entrambi presenti nel pomeriggio di sabato, circostanza invece smentita dal teste L., e che del resto se fosse stato presente il B. avrebbero dovuto essere con lui in pizzeria anche i bambini, il che invece non era stato asserito da nessuno, mentre sarebbe del tutto ipotetico immaginare che proprio quella volta i bambini sarebbero andati dalla nonna.

La motivazione è infine meramente apparente, risolvendosi in una clausola di stile, sul rigetto per superfluità della richiesta di escutere come testi gli educatori che erano maggiormente a contatto con la G..

In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata per vizio di motivazione con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d’appello di Firenze.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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