Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 15-04-2011, n. 15405

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 6 luglio, il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di Z.R., indagato per i reati di concorso in estorsione continuata, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7, in danno di D.S.S. confermava l’ordinanza del Gip di Catanzaro, emessa in data 1 giugno 2010, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere. Il Tribunale, effettuato un excursus sui principi giurisprudenziali in materia di gravità degli indizi ai fini delle misure cautelari, con particolare riferimento alle dichiarazioni del teste parte offesa, al Tribunale reputava sussistente il quadro di gravità indiziaria per i reati contestati al Z.. Osservava che la deposizione della parte offesa appariva caratterizzata da piena genuinità ed attendibilità in quanto stabilmente ancorata ad una realtà fattuale, nella cui evocazione non emergevano stridenti contraddizioni. Precisava il Tribunale che le dichiarazioni del D.S. erano sconvolgenti nella loro descrizione minuziosa delle continue minacce e violenze fisiche di cui lo stesso era stato vittima, atti volti a costringerlo a corrispondere la somma di Euro 13.000,00 a favore di Za.

J., nonchè a non negoziare due assegni di importo complessivo di Euro 20.000,00 emessi dalla stessa Z.. Tali dichiarazioni risultavano riscontrate dalle registrazioni dei colloqui intimidatori effettuate dalla stessa parte lesa all’insaputa dei suoi interlocutori e dai servizi di osservazione predisposti dalla polizia giudiziaria. Una registrazione, in particolare, effettuata in data 5 marzo 2010, riguardava un colloquio con alcune persona fra le quali era presente lo Z., nell’occasione, uno degli interlocutori aveva rivolto gravi minacce nei confronti della parte offesa.

Quindi il Tribunale concludeva che le emergenze processuali palesavano in maniera evidente il coinvolgimento nell’azione estorsiva da parte dello Z., tenuto conto della circostanza che lo stesso non aveva esitato a porre in essere una strisciante opera diretta a fiaccare la resistenza della p.o. Inducendola a pagare, ingenerando nella stessa il timore, rectius terrore, che dietro quella ingiusta richiesta si celassero interessi facenti capo a terribili sodalizi criminosi. Infine osservava il Tribunale che, sussisteva l’aggravante della matrice mafioso, per il metodo mafioso utilizzato e per il richiamo a personaggi di cui era nota la caratura criminale.

In punto di esigenze cautelari, il Tribunale riteneva concretamente sussistente il di reiterazione di delitti della stessa specie, evincibile dalle specifiche modalità della condotta e dalle circostanze dei fatti di reato. In ogni caso la pericolosità sociale doveva considerarsi presunta, ex art. 275 c.p.p., comma 3, essendo la custodia cautelare in carcere l’unica misura adeguata.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia contestando la sussistenza delle esigenze cautelari. Al riguardo si duole che il Tribunale non abbia valutato gli elementi addotti dalla difesa, consistenti nei certificati di lavoro e nel casellario giudiziario, precisando che l’incensuratezza dell’indagato, il fatto che egli svolgesse una regolare attività lavorativa ed il suo ruolo marginale rispetto ai fatti contestati avrebbero dovuto indurre il Tribunale del riesame a ritenere lo Z. non gravato da esigenze cautelari.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

In punto di esigenze cautelari presunte, va richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui: "Alla stregua del novellato disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, in sede di imposizione di misure cautelari per i reati ivi indicati il giudice deve valutare soltanto se sussistono gravi indizi di colpevolezza e deve adottare la misura restrittiva carceraria, perchè il concorso di esigenze cautelari è presunto dalla legge, in relazione alla elevata pericolosità sociale di autori di gravi delitti ad alto tasso di antisocialità, anche se la legge stessa fa tuttavia salva la prova contraria, che è costituita dall’acquisizione di elementi dai quali si desume l’insussistenza delle medesime. Pertanto, per superare tale presunzione e non applicare alcuna misura cautelare, è necessario che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono o sono cessate le esigenze cautelari ed il relativo onere incombe sull’indagato" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2600 del 03/06/1992 Cc. (dep. 25/06/1992) Rv. 190819).

E’ stato quindi precisato che: "In presenza di gravi indizi di colpevolezza per uno dei reati indicati dall’art. 275 c.p.p., comma 3, deve applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere senza la necessità di accertare le esigenze cautelari, la cui sussistenza è presunta per legge, incombendo al giudice di merito solo l’obbligo di constatare l’inesistenza di elementi che "ictu oculi" lascino ritenere superata tale presunzione" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10318 del 22/01/2008 Cc. (dep. 06/03/2008 ) Rv. 239211).

Nel caso di specie gli elementi addotti dalla difesa, vale a dire lo stato di incensuratezza dell’indagato ed il fatto che costui sia legale rappresentante di una Cooperativa di servizi che ha in appalto la gestione del servizio di trasporto alunni per il Comune di (OMISSIS), sono elementi che risultano "ictu oculi" inidonei a superare tale presunzione. Pertanto nessuna censura è ammissibile nei confronti dell’ordinanza impugnata per non avere il Tribunale tenuto conto di tali elementi, attesa la loro irrilevanza ai fini del superamento della presunzione di pericolosità.

Di conseguenza il ricorso deve essere come premesso dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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